Le persone straordinarie si rivelano tali soprattutto quando si comportano da persone normali. E a questo proposito vorrei ricordare un episodio, straordinario e al tempo stesso con una sua straordinaria normalità, che in un pomeriggio agostano del 1969 accadde nella redazione maceratese del Resto del Carlino. Squillò dunque il campanello, si aprì la porta automatica ed entrò un signore di mezza età che indossava occhiali da sole, colletto bianco, giacca blu, pantaloni e mocassini neri. Noi eravamo in sei, Mario Battistini, Alfredo Mattei, Mario Stoccuto, Mariano Lattanzi, Andrea Francalancia e il sottoscritto. Ci parve di conoscerlo, quel signore, per averlo già visto in un paio di manifestazioni pubbliche, ma vestito così era un altro. E sul momento restammo interdetti. “Buongiorno”, disse lui togliendosi gli occhiali e mettendosi a sedere davanti a una macchina da scrivere, “sono Tonini, il nuovo vescovo”. E aggiunse: “Ragazzi, come va?” “Buongiorno, monsignore”, rispondemmo alzandoci in piedi e guardandoci, perplessi, fra noi.
Che io ricordi in maniera così dettagliata questo fatto e addirittura abbia elencato, quasi a far da testimoni, i nomi di chi vi assistette sconfina nella futilità, ma bisogna comprendere la nostra sorpresa perché, abituati com’eravamo a scorgere nel vescovo una figura di superiore e paludato distacco istituzionale (era ancora presente l’immagine di Silvio Cassulo, scomparso l’anno prima per le conseguenze di un incidente stradale), facevamo fatica a identificare un vescovo in quell’uomo che si presentava come uno di noi. Fu lui a condurre il discorso, informandosi sulle questioni del giornalismo di provincia (“Io ho un debole per la comunicazione con la gente”), chiedendo notizie sulle condizioni sociali della città (“Ancora non la conosco bene, datemi una mano”) e raccontandoci, fra l’altro, l’ottima impressione ricevuta dall’avere assistito alla “Forza del destino”allo Sferisterio col celebre baritono Piero Cappuccilli (“Grande spettacolo, alla fine mi sono congratulato con Carlo Perucci, il sovrintendente”). Probabilmente – e i più arcigni commentatori di Cm mi perdoneranno – non pensai di chiedergli se avesse pagato il biglietto d’ingresso o, cosa grave, fosse entrato gratis, ma ricordo di avergli detto che anche il suo arrivo nella nostra diocesi poteva essere stato guidato dalla forza del destino. Era soltanto una battuta per cavarmi dall’imbarazzo, ma bastarono pochi mesi per accorgermi che sì, la forza del destino c’entrava, ed era quella, potentemente innovatrice, di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano Secondo. Ersilio Tonini, insomma, era il messaggero, qui da noi, di quel coraggioso passo avanti della Chiesa.
Corsi e ricorsi della storia, affinità che paiono strane – ma ci sono – tra le istituzioni della religione e quelle della politica. Ersilio Tonini fu vescovo di Macerata per sei anni, fino al 1975, allorché venne nominato arcivescovo di Ravenna (appena giunto in quella città andò ad abitare in un modesto appartamento e concesse la residenza ufficiale a un’associazione per il recupero dei tossicodipendenti). Sei anni nei quali l’opera sua si ispirò ai valori sociali e indirettamente politici di quel Concilio, cedendo ai contadini le terre della diocesi, appoggiando qualsiasi iniziativa tendente a limitare la presenza della curia in economia, intervenendo con severità su alcune parrocchie gestite in modo affaristico, non stancandosi mai di sottolineare, nelle omelie, nei giornali, nel suo stesso stile di vita, la sostanza spirituale e morale della propria missione, sempre a sostegno degli umili (non si contarono, in quegli anni, le sue visite, quasi in incognito, nelle case delle famiglie in difficoltà per malattie o per ristrettezze finanziarie).
Ho parlato di affinità con la politica locale. Ebbene, proprio in quel periodo si consolidò, a Macerata, la “nuova frontiera” dei cosiddetti “kennediani”, con Giuseppe Sposetti che per l’appunto fu sindaco dal ’67 al ’75. E fra il vescovo Tonini e la parte più avanzata del partito cattolico maceratese emerse, ciascuno nel proprio ambito, un’evidente sintonia. E quella fu una stagione di buona politica. Ma, ripeto, corsi e ricorsi. Pian piano, a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, lo spirito rivoluzionario del Concilio giovanneo s’indebolì fin quasi a spegnersi in una sorta di ritorno all’ordine, il che avvenne, da noi, coi pur amati vescovi Tarcisio Carboni, prematuramente morto, anche lui come Cassulo, in un incidente stradale, e Luigi Conti. E infine con Claudio Giuliodori, giunto nel 2007 e già nella sua prima omelia dichiaratosi critico – per non dire polemico – su ciò che restava della “nuova frontiera”, i cui eredi, intanto, erano andati subendo il logoramento dei tempi. E adesso? Il vescovo Giuliodori – non amatissimo, se posso dirlo – se n’è andato e non sappiamo chi lo sostituirà.
Ma ecco, ancora e sempre, i corsi e ricorsi della storia: le improvvise dimissioni di Papa Ratzinger e l’imprevedibile ascesa al soglio pontificio di Papa Bergoglio che non senza un profondo significato ha assunto il nome di Francesco e per tanti versi sembra la reincarnazione di Giovanni XXIII, un ritorno all’afflato conciliare degli anni sessanta e settanta. Come sarà, dunque, il vescovo che verrà? Un altro Tonini? E come sarà la politica? Se ne parlerà fra una ventina di mesi, alle elezioni per il nuovo sindaco. La maggioranza che oggi sostiene – sostiene? – Romano Carancini qualcosa della “nuova frontiera” ce l’ha (meglio: ce l’aveva, all’inizio) ma il mare in cui naviga è pieno di insidie: la crisi economica, i dissidi interni al suo schieramento, le turbolenze nel Pd, il crescente, confuso e rabbioso disincanto popolare. Chi vivrà vedrà. Da laico, comunque, penso che un altro Tonini non sarebbe male.
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Questa volta te l’appoggio tutta intera, caro Giancarlo. Credo proprio che la città abbia bisogno di un nuovo Tonini, come pure di un nuovo Carboni. Un Vescovo, cioè, che non abbia paura – alla fine delle cerimonie ufficiali – di scendere tra la gente piuttosto che sparire nei meandri della cattedrale per ritirarsi nei suoi appartamenti. Con Tarcisio Carboni era diventata una tappa fissa: alla fine delle sue Messe, la gente lo attendeva sul sagrato del Duomo e lui arrivava, sorridente, intrattenendosi con tutti. In una cosa non mi trovi d’accordo: Carboni non fu uomo di ritorno all’ordine, bensì prosieguo poderoso dello slancio iniziato da Tonini (i due, non a caso, rimasero sempre ottimi amici, e Tonini tornava ogni anno a Macerata per qualche giorno di vacanza, cosa che non ha più fatto successivamente). Carboni fu missionario in Brasile e conservò per tutto il suo ministero quello slancio evangelizzatore, che campeggiava anche nel suo motto episcopale: “Praedica Verbum”. Erano due uomini di Dio tout court, Mons. Tonini e “il santo Vescovo Tarcisio” (come ribadiva spesso Mons. Conti). Che Vescovo ci vorrebbe, allora? Un Vescovo col cuore e l’umanità, la fede e la sapienza di Mons. Tonini e di Mons. Carboni: vissuti tra gli ultimi, diventati grandi rimanendo piccoli, amatissimi e indimenticabili ancora oggi da tutti quanti.
ma nessuno tiene conto che gli ultimi vescovi di macerata hanno avuto la grossa presenza di cl?