Cemaco, la storia di un carrozzone

LA RICOSTRUZIONE - Il mattatoio pubblico che ha inghiottito milioni di euro. Una vicenda che si intreccia con l'urbanistica e il Centro Fiere di Villa Potenza. Lunedì i bovini e gli ovini tornano in Consiglio comunale

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Ricci Marco
di Marco Ricci
Il Cemaco è un carrozzone costato tantissimi soldi. Un carrozzone nostrano a completa partecipazione pubblica che ha drenato in vent’anni milioni di euro ai suoi soci e che ne ha drenati sopratutto al Comune di Macerata il quale, per una volta nella vita, pare abbia riscoperto il suo fantomatico “ruolo baricentrico nella Provincia” arrivando oggi a possederne il 67%, a fronte di quote assai più modeste della Provincia e di altri nove comuni soci. Quella del Cemaco è una vicenda intrisa di errori, di scelte sbagliate, di management e di guida politica quanto meno inadeguata, di piani industriali fallimentari, una storia che si mescola con l’urbanistica e il “Centro Fiere”, una storia che necessita per forza di cose di un briciola di ironia nel raccontarla.

Il mattatoio pubblico a Villa Potenza

Il mattatoio pubblico a Villa Potenza

Non si può certo dire che Macerata abbondi di bovini e capre, almeno nel senso letterale del termine. Nonostante questo nel 1992 il Consiglio Comunale legittimava la propria partecipazione nella società Cemaco – Centro Macellazione Comprensoriale di Macerata SpA – per realizzare un impianto di mattazione comprensoriale a Villa Potenza. Per i riordinamenti legislativi dell’epoca, Cemaco doveva essere uno dei pochissimi a svolgere il servizio in tutta la Regione. L’idea dunque non era completamente sballata, considerando che avrebbe portato oltre alle mucche anche un po’ di lavoro a Macerata. L’impianto era nato però con un vizio di fondo pesante. A meno di non immaginare che le nostre strade si trasformassero in tratturi in grado di far affluire bestie da mezzo centro Italia, la sua capacità era notevolmente sovradimensionata. In una delle tante relazioni della Comunità Europea si legge infatti che nel 1999 l’impianto poteva macellare 36.000 capi. Questo a fronte dei  47.623  capi abbattuti annualmente in Regione e dei soli 16.417 dell’intera Provincia. E nel 1998, buon per i vegetariani, ne aveva macellati solo 8865, un quarto di quanto avrebbe potuto. Questo anche perché in precedenza era sorto un inghippo. La legislazione italiana rimane più permissiva di quella europea e quei piccoli centri di macellazione che dovevano chiudere non chiudono più. La Regione Marche non li fa chiudere, i Comuni nemmeno perché tanto è quasi tutto sulle spalle di Macerata e da qui in poi – con poche capre, pecore e bovini da matare – per il Cemaco come per la nostra amata compagnia di bandiera sarà un volo in picchiata.

 CemacoUn volo così in picchiata che la società non riesce a tenere i conti a posto. E già nel 2001, tra mutui, debiti con le banche e bilanci in passivo, si tenta anche da noi di emulare Alitalia chiedendo accesso agli Aiuti di Stato per complessivi 750.000 euro. La Commissione Europea impietosita accorda ma a un prezzo. Una riduzione per dieci anni del 16% dei capi da macellare. Ma i capi non erano già pochi prima della prescritta riduzione? Non era stato questo, come ammette la stessa Commissione, il motivo principale del dissesto? Il tentativo è in ogni caso quello di ripianare parte dei debiti e di ammodernare l’impianto. L’ottimistico (o delirante?) piano industriale prevede un ritorno all’attivo entro tre anni. Come vedremo però non ne sarebbero bastati forse neppure tremila e trecentotrentatre. Sugli aiuti europei va fatta un’ulteriore precisazione. Secondo una Legge Regionale dl 1997 i beneficiari dell’intervento “pena la revoca dell’aiuto e il recupero del contributo sono impegnati a mantenere la destinazione, la proprietà e il possesso dei terreni […] per un periodo non inferiore a 5 anni”. Leggiamo bene, “a mantenere la destinazione […] pena la revoca dell’aiuto e il recupero del contributo”. Questo non vuol dire, ovviamente, che Cemaco non si sarebbe potuto lasciare fallire.

 Ma le cose non vanno. E nel 2004 non si trova niente di meglio che provare a dare tutto in gestione ad Apm. Apm guarda i conti, ringrazia e rispedisce gli ovini ai mittenti. Davanti a una società che fa solo buchi – siamo tra il 2004 e il 2005 – per tapparne qualcuno si decide comunque di esternalizzare il servizio. La gestione del centro di mattazione e di parte dell’azienda va in affitto al Co.Zo.Ma – Consorzio Zootecnico Maceratese Servizi, a cui viene trasferito anche il personale dipendente. Da questo momento in poi Cemaco diventa quindi una società pubblica di mattazione che però non matta niente e nessuno. E’ una scatola vuota. O meglio, è una scatola quasi vuota. Perché è piena di debiti e ha un po’ di terra nei pressi di Villa Potenza.

 Dal 2003 al 2005 Cemaco, nonostante il piano industriale che parlava di pareggio in tre anni, perde altri 1,3 milioni di euro. E il quadro finanziario, pur in presenza dell’affitto di praticamente tutta l’attività, non migliora. Tanto che anche l’Assemblea degli azionisti ne deve prendere atto. Il fabbisogno finanziario nei successivi cinque anni per “la prosecuzione dell’attività .[…] e la salvaguardia del patrimonio immobiliare stesso” è stimato in circa 2,2 milioni di euro. Ed ecco di sbincio – nelle pieghe del “patrimonio immobiliare stesso” – spuntare nella tragica vicenda il fantomatico “Centro Fiere.” Perché se il Cemaco non avesse avuto terreni forse non sarebbe stato tenuto in questo pietosissimo stato comatoso né il Comune di Macerata avrebbe acquistato, come vedremo, quote su quote della società. Questo è evidente fin dalle discussione in Consiglio Comunale del 19 Luglio 2004 quando Adriano Ciaffi – tra gli altri – parlerà del valore strategico dell’area edificabile. I terreni dunque fanno miracoli e tengono in vita anche i morti. Raramente, però, li fanno anche risorgere.

mattatoio 1 Così, mentre il Comune di Macerata si auto-invita a prevedere piani di lottizzazione sui terreni del Cemaco, il buco della società viene coperto con l’emissione di altre azioni. Macerata, che evidentemente crede ancora come non mai nel futuro della mattazione, se ne mette in portafoglio altre 9416 per circa 330 mila euro. Ma già l’anno successivo i conti (ovvio) non tornano più. Dunque si svalutano per l’ennesima volta le azioni e si ricorre ad un nuovo aumento di capitale. E cosa fa il Comune? Investe ancora. Unico Ente tra tutti, nel 2007 butta altri 200.000 euro su questa brillante start-up di cui incamera altre 10.267 azioni. I libri in tribunale, no? No, la tragedia dei bovini e dei suini deve continuare.

 Nel 2008 la riqualificazione del Centro Fiere entra ancora più prepotentemente nella storia. Il Comune di Macerata con la delibera n.62/98 va infatti a specificare come dovrebbe avvenire la liquidazione di parte del patrimonio immobiliare di Cemaco, di APM e del Comune che interessano il progetto, “così da permettere al soggetto imprenditoriale aggiudicatario (in funzione del migliore prezzo complessivamente offerto)” di ottenere le aree. Il colpo sarebbe grosso. Quei terreni valgono, ma la guerra tra diverse cordate imprenditoriali sponsorizzate da differenti correnti politiche oltre alla nebulosità dell’ipotetica superstrada nella valle del Potenza portano all’impasse. I bandi vanno deserti. E’ un brutto colpo, talmente brutto che gli altri Enti soci cominciano ad averne abbastanza. Così nel 2010 Provincia di Macerata, i comuni di Montefano, Urbisaglia, Appignano, Recanati, Pollenza e San Severino indicano di voler dismettere le loro quote ritenendo “la loro partecipazione non strettamente necessaria per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali”. Per Macerata invece i bovini contano e la macellazione resta un’attività istituzionale seria. Anche se il Cemaco di fatto non macella più niente da anni oltre i bilanci comunali perché, ricordiamolo ancora, l’attività di macellazione vera è sempre in affitto al Cozoma. Nel frattempo, giusto per non farsi mancare niente, a fronte di ulteriori perdite il capitale si svaluta di altri 400.000 euro. Solo pochi anni prima, così per saperlo, era di 2 milioni.

 Una cosa l’abbiamo compresa. Il Cemaco è un osso duro. E ci riprova. Nel 2011 tenta di vendere almeno l’impianto di macellazione ma il business deve essere così attraente che anche questa volta nessuno compra. O meglio, il Cozoma vorrebbe comprare ma per i Soci del Cemaco il prezzo è troppo basso. 800.000 euro che non basterebbero per estinguere i debiti. E già, perché nel frattempo – quando si dice credito facile! – Cemaco si è indebitato per un totale di almeno 1,7 milioni di euro, perdendo oltretutto le non piccole cifre di 363.000 nel 2007,  310.000 nel 2008, 133.000 nel 2009, 172.000 nel 2010 e 171.000 nel 2011. Fanno secchi 1,1 milioni di euro in cinque anni a fronte di un capitale sociale che si è letteralmente “squartato”, tanto per usare un gergo in uso nei macelli. Ma ora, cosa si fa?

 Affermare che noi maceratesi potremmo averne abbastanza di suini, pecore e bovini è forse minimizzare la faccenda. Questa volta però ci viene parzialmente in soccorso il Decreto Legge n.78 del 2010 che impedisce alle amministrazioni pubbliche aumenti di capitale, trasferimenti straordinari e aperture di credito alle società partecipate non quotate che abbiano il bilancio in passivo da almeno a tre anni. E il Cemaco – grazie a Dio a questo punto – in questa sventurata categoria di società pubbliche non solo ci rientra ma ci rientra alla grande. Così l’assemblea dei Soci – sostanzialmente Macerata che possiede il 67%, la Provincia il 10%, Treia il 9%, il resto dei Comuni solo spiccioli – ci riprova con nuovo e più vantaggioso (per il Cemaco) contratto di affitto al Cozoma. Sull’affittuaria si scaricano anche le spese di manutenzione della struttura, unitamente alla prospettiva di vendita di circa 3 ettari di aree (sempre loro) con cui coprire i buchi degli esercizi precedenti. Siamo dunque davanti al tentativo di ripianare le perdite, di estinguere i mutui e in prospettiva di porre fine a questa pietosa vicenda.

 Che però la delibera che si andrà a discutere nel prossimo Consiglio Comunale (domani, lunedì 13 maggio) parli ancora di attività di mattazione come di “servizio pubblico” fa  vagamente sorridere anche i più accaniti vegetariani. In ogni caso i punti veri che muovono la Giunta sono altri due. L’intenzione non far fallire il Cemaco ma di governarne la chiusura nel modo più dignitoso, politicamente ed economicamente meno svantaggioso possibile. E il nodo della valorizzazione terreni, terreni che in un ipotetico futuro (2100-2150 d.c.?) potrebbero servire all’agognata riqualificazione del “Centro Fiere.” Operazione che però, ricordiamo, si è già arenata anni fa e che non si capisce perché debba ripartire adesso. Inoltre un emendamento proposto dal PD e sottoscritto da quasi tutta la maggioranza vorrebbe garantirne il riscatto al Comune e all’altra partecipata che è da sempre l’ultima speranza della politica quando vuole scaricarsi di qualcosa. Ovvero APM, società a totale partecipazione comunale il cui scopo sarebbe forse quello di farci pagare le bollette meno care piuttosto che comprare terreni. Con il rischio, ovvio, che il Centro Fiere non si faccia e che l’APM oltre a sborsare i soldi per l’acquisto ci paghi anche le tasse sopra per chissà quanti anni. Immaginiamo anche, in un eventuale futuro, cosa possa significare in termini di trasparenza infilare in una grossa operazione urbanistica una società pubblica come APM. APM che però, già una volta, davanti al Cemaco ha avuto il coraggio di alzare le mani.

 Finita qui? Chissà. Perché sempre lo stesso emendamento intende dare mandato al Sindaco di acquisire le quote in dismissione da parte degli altri soci. A titolo non eroso, però. E ci mancherebbe! Mica siamo così fessi da pagare per intascarci debiti, noi! Debiti che comunque – a titolo non oneroso o oneroso che sia – ricadrebbero almeno politicamente sul Comune che si andrebbe ad addossare da solo tutta la gestione del Cemaco.  Ma una pietosa fine a tutta questa vicenda invece di rilanciare ogni volta non è proprio possibile? A volte si ha l’impressione di assistere allo strazio di un giocatore davanti a una sfortunata giornata di roulette. La sfortuna accanisce? E allora raddoppio. Ma alla fine chi paga? Ad ogni modo, prima del Consiglio Comunale, ci permettiamo di lanciare una proposta anche noi. Vendere ad Alitalia e – parafrasando il celebre libro di Radice e Ravera – avere finalmente dei “bovini con le ali.”

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TORNA A RIUNIRSI IL CONSIGLIO COMUNALE

Il presidente Romano Mari ha convocato, per lunedì 13 e martedì 14 maggio alle ore 16.30, due nuove sedute per il Consiglio comunale.
I lavori dell’assise cittadina inizieranno con la discussione dell’ordine del giorno, presentato dal consigliere Ivano Tacconi dell’Udc, relativo alla rete di distribuzione del gas metano nel quartiere Vallebona cui seguirà quella dell’atto di indirizzo per l’attuazione di operazioni finalizzate al risanamento del Cemaco.
Il Consiglio si occuperà poi delle delibere relative all’integrazione di un articolo del Regolamento edilizio, alla documentazione tecnica e all’approvazione dello schema di convenzione da stipulare con il soggetto attuatore dell’IDEC 23 in viale Indipendenza e agli indirizzi per avviare la procedura di affidamento della gestione dell’autostazione di piazza Pizzarello.
Il Consiglio comunale prenderà poi in esame due mozioni: la prima riguardante l’adesione del Comune di Macerata alla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, presentata dalla presidente della Commissione consiliare IV Gabriella Ciarlantini dei Verdi Macerata, la seconda, relativa al personale per la sicurezza, presentata invece dai consiglieri Deborah Pantana e Francesco Luciani del Pdl. Nel caso in cui la seduta del 14 maggio vada deserta, la seconda convocazione è fissata alle 16,30 del 16 maggio.



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