di Laura Boccanera
Se ne è andato nell’abbraccio dei “compagni” socialisti, dei compagni della Cgil e, naturalmente, in quello più stretto, della sua famiglia, la moglie Michela e le figlie Monica e Alessandra. In tantissimi oggi hanno voluto salutare per l’ultima volta Cesare Sbrascini, morto a 66 anni dopo una breve ed inesorabile malattia (leggi l’articolo). Ma lui sorride ancora, in quella bella foto posta sul feretro, a fianco una bandiera socialista che appone il Presidente del consiglio comunale Ivo Costamagna, come a ricordo di quell’esempio di lealtà civica e di impegno che è stato Sbrascini nella sua vita e nei suoi incarichi di amministratore, sindacalista e politico. Nella Chiesa di San Pietro molti anche gli amministratori: ai margini della navata il sindaco, oggi pomeriggio presente più come amico che non come istituzione e poi ancora assessori, consiglieri e compagni di partito e di sindaco. Una cerimonia semplice, senza fronzoli, così come era Sbrascini, diretto e genuino. Commosso l’addio affidato alle parole di Costamagna: “Non avrebbe gradito che io leggessi il commiato, mi diceva sempre che era meglio parlare in maniera spontanea, non leggere, mi perdonerai Cesare, ma senza qualche appunto non ce la farei, però è successo tutto troppo in fretta e non mi sembra possibile che ti stia portando l’ultimo saluto. Perdo oggi un familiare, un amico, ma sono sicuro che Cesare continuerà a vivere con il suo esempio, con le sue battaglie. Era un uomo straordinario, non è retorico dirlo e voglio ricordare ai suoi nipoti che hanno ereditato un patrimonio di onestà e lealtà. Senza di lui in certi momenti della mia storia personale non ce l’avrei fatta. Ciao Cesare, salutami papà”. Ricorda invece le ultime parole scambiate con Sbrascini Marsilio Marsili della Cgil: “Ci vedevamo spesso dal barbiere, meno di un mese fa mi disse ‘Marsilio la battaglia sulla patrimoniale devi portarla avanti tu, io ormai non posso più’, posso solo assicurargli che ce la metteremo tutta, ciao Sbrascini, come dicevano gli operai edili quando ti salutavano dalle impalcature”.
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