Storie di frati senza brache

Il processo a Juccio che "non portava panni di gamba"

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Frate effigiato ad una parete del bar Vecchia Treia

 

di Gabor Bonifazi

In una volta a lunette del bar vecchia Treia  sono incorniciati i volti di 10 personaggi illustri  che ci portano indietro nel tempo alla scoperta di curiose storie.

Stando al novelliere trecentesco Franco Sacchetti, anche a Treia (antica colonia romana, distrutta dai Saraceni nel IX secolo e risorta col nome di Montecchio; nel 1790 Pio VI le ridette l’antico nome di Treja. Ora Treia) arrivò l’inquisitore per uno strano processo che vagamente ci riporta a Il nome della rosa di Umberto Eco. Infatti alla novella CXVI del Trecentonovelle, lo scrittore narra del processo ad un prete per via del suo comportamento lascivo: «E mi conviene pur tornare nelle Marche, però che di piacevoli uomini sempre è stata piena. Fu nella terra di Montecchio già un prete, il quale avea nome Juccio, il quale era cattivo di ogni crimine di lussuria e aveva l’usanza d’andare senza panni di gamba. Avvenne per caso che, arrivando un inquisitore dell’ordine di santo Francesco, questo prete Juccio li fu accusato de’ suoi cattivi costumi; e fra le altre cose fu detto all’inquisitore che elli non portava panni di gamba; e quindi che, senza brache, non si poteva cantar messa». Nel corso del dibattimento prete Juccio prese l’inquisitore “alli testicoli con altre appartenenze e disse”: «Perché tenete voi questo pascipeco? (eufemismo erotico dal significato immediato: pasci pecore Ndr). Questo è quello che va facendo le cattivanze e contra li comandamenti di Dio» e tirando quanto più poteva, diceva: «Non lascerò il tuo pascipeco finché non mi prosciogli di tutte le cose che il mio pascipeco ha fatto».

La-barista-del-Vecchia-Treia

La barista del Vecchia Treia

Naturalmente l’inquisitore l’assolse e se ne andò da Treja “con la borsa e il pascipeco molto ristretto, e fortemente indolenzito” e, siccome andava a cavallo, era molestato anche dalla sella a più non posso. Come al solito il Sacchetti conclude la novella con l’insegnamento: “E così questi clerici marchigiani, andando sbracati, sono sì fieri che ogni persona fanno venire a ubbidienza, se non s’abbattessino a messer Dolcinbene, che gli sapea capponare”.

(segue)



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