La crisi, i suicidi
e la speculazione

L’ignoranza dei dati e il rischio dell’effetto emulativo provocato dal sensazionalismo dell’informazione

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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

A Brescia un uomo di 41 anni ha ucciso i suoi due figli, una di quattro anni e uno di 14 mesi, gettandoli da una finestra del settimo piano, poi si è rivolto alla moglie per farle fare la stessa fine, ma lei è stata salvata dall’intervento di una vicina. Da ultimo si è buttato nel vuoto anche lui. Nel dar conto di questa tragedia, telegiornali e carta stampata hanno messo in forte risalto, nei titoli, che costui era senza lavoro da circa un anno, salvo poi aggiungere, ma timidamente, all’interno dei servizi e degli articoli, che in passato si era suicidato anche suo padre e che lui, oggi, era da considerarsi benestante, essendo proprietario, fra l’altro, di tre appartamenti.

Sull’inarrestabile alluvione delle speculazioni politiche e giornalistiche cui non par vero di annunciare come imminente lo sfacelo dell’Italia, anche questo allucinante episodio è dunque entrato a far parte della serie dei suicidi imputabili alla crisi economica. Così, da destra, da sinistra , dai grillini, da “Piazza pulita”, da “Servizio pubblico”, da “In Onda”, dal Tg7 e da altri innumerevoli pulpiti piovono insinuanti allusioni e accuse più o meno velate contro il governo. Con l’ineffabile Antonio Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori, che ne ha tratto occasione per confermare una sua recente sentenza: “Questi suicidi stanno sulla coscienza di Mario Monti”. E con la Lega Nord che urla nelle piazze “Monti, sei un assassino!”. E con Beppe Grillo, ma non solo lui, che si scaglia contro lo Stato ed Equitalia definendoli – udite udite! – peggiori della mafia.

Anche da noi, purtroppo, ci sono persone che si sono tolte la vita o hanno tentato di togliersela.   Ben quattro casi, in provincia, nel giro di sole ventiquattr’ore. E Cronache Maceratesi se ne sono doverosamente occupate nell’immediato e coi successivi articoli di Alessandra Pierini e Giuseppe Bommarito. Ma lo hanno fatto con uno stile – un equilibrio intellettuale, un senso di solidarietà umana, un’esitazione, un pudore – ben diverso da quello di alcuni quotidiani stampati, che hanno ceduto alla libidine tutta mediatica di sparare nomi e cognomi, strillare locandine, pubblicare fotografie.

Perdonerete se oso parlare di me e se dico che in lunghi anni di militanza ho sempre creduto che di fronte a qualsiasi fenomeno sociale – specialmente quelli più problematici – il mio primo dovere stesse nel documentarmi sulle cause, sugli effetti e, soprattutto, sui dati. Per cui ora mi chiedo: possibile che l’attuale giornalismo italiano sia così insensibile al principio deontologico di verificare nella realtà in quale misura è corretto stabilire – e con toni apodittici – un rapporto totale, diretto e costante fra suicidi e crisi economica? Mi piego meglio: possibile che a molti dei miei colleghi non venga in mente di controllare se il numero dei suicidi è davvero in forte aumento e qual è davvero l’incidenza della crisi?

Eppure le cifre è facile procurarsele, visto che nel capitolo delle cause di morte l’annuario statistico dell’Istat riserva un elenco proprio ai suicidi. E allora? Evidentemente c’è qualcosa che contraddice la “mission” etica dell’informazione, e sta nella sfrenatezza di cavalcare – peggio, di fomentare – le reazioni emotive, istintive e viscerali dell’opinione pubblica, con quali esiti per la tenuta della coesione civile è facile immaginare.

Dunque i dati. Quelli ufficiali partono dal 1983 e stabilmente si aggirano, in Italia, sui 3.500-4.000 suicidi all’anno, con un aumento fra il 1987 e il 1995, una diminuzione fino al 2009 e una lieve crescita nel 2011. Ragioni economiche? Dalle indagini che sempre si svolgono per tali episodi, queste ragioni non sono né prevalenti né quantitativamente rilevanti. C’entrano, certo. Specie in fasi di depressione, e questa che stiamo attraversando lo è. Ma la vera causa a monte di ogni suicidio è una depressione d’altro genere: quella particolare malattia psichica che, non individuata o trascurata o mal curata, può lentamente condurre a un catastrofico stato di disperazione esistenziale. Poi c’è il cosiddetto motivo scatenante. Ebbene, di gran lunga prevalgono gli stati terminali di gravi affezioni organiche. Seguono gli abbandoni, i tradimenti, le separazioni familiari, i rimorsi, la paura del carcere, le disumane condizioni in cui vive chi vi è ristretto. Infine, sì, le difficoltà economiche: fallimenti, licenziamenti, disoccupazione. Ma queste ultime non vanno mai oltre il 5-6 per cento dei casi (nei primi cinque mesi del 2012 sarebbero meno di ottanta su circa duemila). E ancora, se può interessare saperlo: in Germania, nazione più prospera della nostra, i suicidi sono il doppio che in Italia, in Finlandia, dove la crisi economica non si fa quasi sentire, sono quattro volte di più, e in Grecia, ormai ridotta sul lastrico, sono la metà.

Le speculazioni politiche vanno messe, ahimè, nel conto. Ci son sempre state e la schizofrenica confusione che oggi regna nei partiti (le cause della nascita del governo Monti avrebbero dovuto suggerire una pausa di riflessione alle loro pur legittime ambizioni elettorali, ma così non è stato) si traduce, fatalmente, in demagogia. Tuttavia non sarebbe troppo pretendere che almeno gli organi d’informazione ragionassero su questi dati e si astenessero, in osservanza di sacrosanti principi della loro funzione, dal praticare, per esigenze di vendita, di auditel, di incassi pubblicitari o di padronaggio politico, quel becero disfattismo che sta rischiando di portare – al suicidio, sì – la nostra società. Parole al vento?

Intendiamoci, non mi sogno neanche lontanamente di escludere che fra le cause scatenanti di chi decide di togliersi la vita vi sia anche il tracollo economico e che l’incidenza di tale motivazione possa crescere, proporzionalmente, per effetto della crisi. Però attenzione, soprattutto da parte dei mass media. Ogni suicidio esplode dallo sfacelo del naturale istinto di conservazione, uno sfacelo la cui complessità, direi la sua privatissima e sgomenta misteriosità, esige il massimo rispetto (il massimo di pietà, di compassione, di assorto riserbo) anche in chi lo descrive e indebitamente presume di motivarlo.E se ciò, invece, manca per basse ragioni aziendali o di schieramento, allora non sono i suicidi a doverci allarmare ma, insisto, lo squallido utilizzo che se ne fa.

Ulteriore considerazione. Autorevoli studi neurologici, epidemiologici e statistici di livello internazionale dimostrano con assoluta certezza che l’amplificazione sensazionalistica dei suicidi addebitali alla crisi economica – accadde pure nel 1929 e in altre fasi di recessione – innesca un pericoloso “effetto domino” e determina, per emulazione, altri suicidi. Ciò significa che fra le cause scatenanti c’è, anche e non ultima, l’informazione, la cui utilità sociale, in questo caso, viene meno e si tramuta in grave dannosità. Cari colleghi, vogliamo, sì o no, metterci una manina sulla coscienza?



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