di Gabor Bonifazi
Egle, la maestra della prima elementare, forse perché formatasi sotto l’ancien regime, amava ripeterci: “Sotto la neve pane. Questa neve è manna per l’ambiente, la natura, l’agricoltura e i nostri polmoni”. Mentre ora tutti si lamentano per i disagi procurati dalla recente nevicata, per noi bambini di via della Pace (ora Maffeo Pantaloni) la neve era una gran festa. Allora via Zorli non esisteva, e nel 1956 potevamo sciare e ruzzolare tra lu scarcalacciu e Monte Ciuccio. Alle nostre maglie di lana ruvida era attaccata con una piccola spilla a balia un cuscinetto di stoffa benedetta, chiamata Pazienza, da cui o per cui bisognava sempre e comunque portare pazienza.
Un ricordo particolare va alla stufa a segatura, alla Radio Marelli, agli amici abitanti nei dintorni del Mulino Vignati e soprattutto al giorno in cui andai a comprare una scarcarella da Magnì per catturare gli ignari passerotti che non caddero mai nella mia trappola. Mi piace sottolineare la grande umanità che poteva respirare in quella via chi come me abitava in uno di quegli orribili condomini appena costruiti da Lattà. Non c’erano i supermarket e il lattaio ancora arrivava fin fuori l’uscio con il bidone del latte, c’erano invece il negozio di Sale e Tabacchi di Staffolani dove si potevano acquistare i quaderni neri e le maschere di carnevale, la bottega de lu varviere Mazzoni con cavalluccio e calendarietti sexy, il negozio del fruttivendolo Marcolini dove acquistare i portogalli (arance) e lo spaccio di Lapponi anche per un etto di conserva sfusa.
Insomma quella sì che era una Macerata a misura d’uomo, dove si bussava al vicino con una tazzina in mano per chiedere in prestito un po’ di sale o un po’ di zucchero. Nel 1956 mio padre fece bene a documentare la nevicata attraverso una foto, da cui in verità più che il luogo si può notare l’abbigliamento di allora. Infatti mi immortalò insieme a mia sorella Waifra, nel momento in cui ruzzolavo sulla neve, su una pellicola Ferrania attraverso l’obiettivo Galileo di una macchina fotografica analogica dal simpatico nome: Condoretta.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
cmq era una famiglia “evoluta”: nel 1956 avere sci (anche se probabilmente erano di legno) e macchina fotografica era da pochissimi
Elio Lapponi, Alberto Cresci,Vignati,Franco Coppari e il fratello…una gran bella banda nei dintorni del mulino Vignati che a forza di trovarsi a giocare insieme poi finimmo tutti all’oratorio salesiano ai tempi di don Paciaroni …davvero sotto la neve il pane e UNA MACERATA A MISURA D’UOMO
@ Goffredo Bernabucci
Angelo, Andino, Andrea Lapponi, Enzo Andrenelli, Fausto Coppari, Fabio Morresi, i fratelli Tulli etc e un po’ più giù, dove era il forno Tamburini, il mitico Umberto Berti, mentre più su, dov’era il palazzaccio col ballatoio, i fratelli Silvano ed Eugenio Ferri. E’ vero, finimmo quasi tutti all’oratorio salesiano con il buon Paciaroni, ma passando prima per l’oratorio e la chiesa del Sacro Cuore. Quante messe in latino ho servito da chierichetto con Andrea Vignati che spesso tra un messale ed un’ampollina scoppiava a ridere!
Caro Goffredo, ti ricordo in Motom nel periodo della consegna degli elenchi telefonici e anche come buon pescatore.
stupende foto, stupendo commento. La mia ammirazione.
Signorinella pallida,
dolce dirimpettaia del quinto piano,
non v’è una notte ch’io non sogni Napoli,
e son vent’anni che ne sto’ lontano!
Al mio paese nevica,
e il campanile della chiesa è bianco,
tutta la legna è diventata cenere,
io ho sempre freddo e sono triste e stanco!
Lenta e lontana,
mentre ti penso suona la campana
della piccola chiesa del Gesù
e nevica, vedessi come nevica ….
ma tu, dove sei tu?
Bei tempi di baldoria,
dolce felicità fatta di niente:
Brindisi coi bicchieri colmi d’acqua
al nostro amore povero e innocente.
Negli occhi tuoi passavano
una speranza, un sogno, una carezza ….
avevi un nome che non si dimentica,
un nome lungo e breve: giovinezza!
Amore mio!
Non ti ricordi che, nel dirmi addio,
mi mettesti all’occhiello una pansè
e mi dicesti, con la voce tremula:
“Non ti scordar di me!”
E gli anni e i giorni passano,
uguali e grigi, con monotonia,
le nostre foglie più non rinverdiscono,
signorinella, che malinconia!
Tu innamorata e pallida
più non ricami innanzi al tuo telaio,
io qui son diventato il buon don Cesare,
porto il mantello a ruota e fo’ il notaio.
Il mio piccino,
sfogliando un vecchio libro di latino,
ha trovato, indovina, una pansè ….
perchè negli occhi mi spuntò una lacrima?
Chissà, chissà perchè!
Lenta e lontana,
mentre ti penso, suona la campana
della piccola chiesa del Gesù ….
e nevica, vedessi come nevica ….
ma tu …. dove sei tu?