Dall’ecstasy
all’inferno

L'intervento

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di Giuseppe Bommarito*

Ballava da ore Elisa. Erano quasi le quattro di mattina, e di smettere proprio non aveva voglia. La musica techno seguitava ad uscire a volume altissimo dalle casse, a 140, 160 battute al minuto, e le vibrazioni sembravano rimbombare nel suo corpo e nella sua mente. Le luci stroboscopiche si illuminavano e si spegnevano con una intermittenza ossessiva. Anche il suo cuore batteva, sempre più forte, inseguendo le battute della musica.

Ballava forte, Elisa, come in uno stato di trance. Sudava, anche i suoi capelli scuri erano ormai bagnati, ma sembrava non stancarsi mai. Il senso della fatica non lo avvertiva più da ore, da quando aveva accettato la seconda pasticca che gli aveva offerto il suo amico Gianni. Non avvertiva più nemmeno il senso del tempo e dello spazio, era completamente a suo agio, senza incertezze, senza timidezze, in quella confusione terribile, con la musica che stordiva. Parlava e rideva con tutti, era in pace con il mondo intero, non aveva paura di niente e di nessuno, provava solo gioia ed eccitazione, era proprio invincibile, almeno così si percepiva.

Sì, era già  entrata nello sballo fumando uno spinello prima di entrare in discoteca e poi, appena messo piede in pista, bevendosi in poco tempo un Cuba libre e una birra. Elisa aveva meno di sedici anni, ma aveva chiesto ad una sua amica maggiorenne di andare al banco per prenderle gli alcolici ed i superalcolici. Subito dopo aveva acquistato la prima pasticca, costo dieci euro, che l’aveva già mandata su di giri ed aveva cancellato ogni disinibizione. Ma l’appagamento totale l’aveva avuto dopo essersi calata la seconda pasticca: ora stava ancora meglio con se stessa e con gli altri, la musica la attraversava letteralmente dalla testa ai piedi, tutti sembravano guardarla e lei sorrideva a chiunque le si avvicinasse. Tra poco, uscita dalla discoteca, avrebbe potuto vedere l’alba di un nuovo giorno, dopo uno notte di sballo e di divertimento senza limiti, proprio come lei desiderava. Il discobus l’avrebbe accompagnata a casa senza problemi e senza che i suoi, tranquillamente addormentati per il rientro sicuro, potessero accorgersi di nulla.

Il dj Sandy, però, non mollava ancora la presa. Mentre le casse continuavano a buttar fuori una musica sempre più assordante e martellante, con un bicchiere in mano urlava al microfono come un invasato:
“Bevete, ragazzi, sballatevi, lo sballo, è un vostro diritto e nessuno ve lo può togliere; sballo, sballo; lunedì si ricomincia, ma stanotte è la vostra notte, abolite il sonno, questa è la vita vera, il resto è merda”.

Elisa fece per andare verso il banco, un’altra bevuta poteva starci bene e a quell’ora nessuno avrebbe controllato se era maggiorenne o no, ma all’improvviso le pareti dela discoteca sembrarono sdoppiarsi e chiudersi attorno a lei e le luci divennero fuochi di artificio che scoppiavano dentro il suo corpo. Il cuore prese a battere all’impazzata, senza un ritmo definito, ora velocissimo, ora quasi al rallentatore, mentre il respiro le stava venendo meno. La gola era sempre più secca, come se, per sopravvivere, avesse bisogno di tutta l’acqua del mondo. Le gambe all’improvviso non le sentiva più. L’ultima cosa che avvertì, prima di cadere a terra pesantemente, fu una girandola di suoni e di colori, che si accavallavano, che si moltiplicavano, che entravano e uscivano dalla sua testa. Poi per Elisa venne la pace, il silenzio assoluto.

I medici del 118, arrivati in un tempo record, la trovarono stesa a terra, priva di sensi, collassata, con le mascelle serrate ed una febbre altissima, che superava i 40 gradi.
Elisa era sul crinale sottilissimo che divide la vita dalla morte. L’ambulanza partì a sirene spiegate verso l’ospedale più vicino, mentre gli amici di Elisa, ancora stralunati, si mettevano le mani sui capelli e pregavano per la sua salvezza.

Come andò  a finire?

Questa volta, in un racconto di fantasia che rappresenta però esattamente la tragica realtà di tutti i fine settimana, un lieto fine ci sta bene. Elisa è arrivata ad un passo dalla morte, ma si è  salvata grazie al tempestivo intervento del 118. Dopo diverse ore di ricovero la sua mente è ritornata ad una apparente normalità, e si spera che non abbia riportato disturbi psichiatrici irreversibili, che prescindono dall’overdose, anche se ci vorranno mesi per capirlo. Psicosi, deliri, allucinazioni, flash back, paranoie, depressioni, i tristi effetti del consumo, a volte anche occasionale, dell’ecstasy, possono manifestarsi, infatti, pure a distanza di diverso tempo, quando ormai si pensa di averla fatta franca.

Dipendesse da chi scrive, ci sarebbe sempre un lieto fine. Purtroppo, nella realtà non sempre funziona così. La morte per ecstasy non è una leggenda metropolitana, nemmeno per la nostra cosiddetta isola felice (che non c’è): nella notte del ferragosto 2004, nel grande parcheggio della discoteca Peter Pan, tra Misano e Riccione, è toccata a V.T., una brava ragazza di 26 anni di S. Severino Marche, un’impiegata modello, anche lei volata in cielo troppo presto.

In discoteca (così come nei rave party) la morte per overdose da ecstasy è purtroppo sempre in agguato, per una serie di fattori predisponenti: la grande disponibilità di pasticche, a costi ridottissimi, e senza una reale possibilità di controllo, sia per gli addetti alla sicurezza che per le forze dell’ordine; il mix, che quasi sempre avviene, anche per i minorenni, tra ecstasy, alcol e altri tipi di droga; l’ambiente chiuso e poco aereato, che, insieme allo sforzo fisico prolungato e non avvertito, favorisce l’ipertermia.

Certo, la discoteca non va demonizzata, è un’attività economica che porta turismo, lavoro e ricchezza, ma è indubbio che questa è la situazione, e questi sono i rischi, per i ragazzi, anche giovanissimi, che la frequentano e che a volte arrivano già “bevuti” e con le pasticche in tasca.
Inutile negarlo. Per tanti, tantissimi, ragazzi, pure minorenni, il consumo di pasticche in discoteca il sabato sera è un’abitudine consolidata, per divertirsi, per stare meglio, per trasgredire, per reggere la fatica ed il sonno, con la morte e le malattie psichiatriche però sempre dietro l’angolo.

Partendo da questa consapevolezza, le domande che tutti, a cominciare dagli stessi ragazzi, dobbiamo farci sono le seguenti: l’unico divertimento possibile nel fine settimana è solo quello nei luoghi dello sballo (dove magari proprio i genitori accompagnano i più piccoli), con il rito sempre uguale del rientro alle sei di mattina, dentro o comunque accanto alla giostra dell’alcol e della droga? E’ possibile che gli stessi ragazzi (almeno quelli più grandi e più consapevoli della rovina che aleggia sopra tutte le giovani generazioni), le famiglie, le istituzioni, la Chiesa, non pensino a creare proprio per i fine settimana luoghi e modi diversi di divertimento e di aggregazione giovanile, dove possano circolare valori positivi, cultura, sport, convinzioni religiose, ideali politici, progetti di solidarietà.

Chi ha idee in questo senso si faccia avanti, prima che sia troppo tardi. Non diamola vinta alle organizzazioni criminali che ingrassano con la droga e che vogliono solo ragazzi annoiati e spenti, privi di valori, di entusiasmo, di determinazione e di fantasia, senza progetti, e incapaci di dire no a chi distrugge la loro vita.

* avvocato e presidente dell’associazione Onlus “Con Nicola oltre il deserto di indifferenza”



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