Pubblico è bello…
ma non è sufficiente
per garantire efficacia

L'intervento

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Dall’avvocato Renato Perticarari:

La notizia della proposta di una modifica dello Statuto Comunale per l’introduzione di un art. 2-bis, che tratterebbe (così si legge nel comunicato pubblicato sul sito del Comune) “l’accesso all’acqua come diritto umano universale” ed altro ancora (come chiarirò nel prosieguo) mi ha fatto chiedere, in particolare in questa fase di grande difficoltà economica, cosa possa portare ad un uso della politica così fuorviante, demagogico e strumentale su tale materia.

Ritengo doveroso che tale domanda venga posta e le concomitanti circostanze di non avere interessi di alcun genere nel settore idrico, di non avere responsabilità dirette ed apicali nella politica ed infine di avere – così dicono – una qualche competenza in materia, rendono più facile per me porre la domanda. E ne spiego i motivi.

Ma prima vediamo in sintesi i punti cardine dell’ipotizzato nuovo art. 2-bis dello Statuto; in esso si direbbe che:

1. l’accesso all’acqua è un diritto umano universale;
2. il Comune riconosce il diritto umano all’acqua e il suo status come bene comune pubblico;
3. tutte le acque sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo i criteri di solidarietà;
4. la proprietà delle reti deve essere mantenuta in ambito pubblico;
5. la gestione del servizio idrico integrato deve essere affidata ad un ente di diritto pubblico;
6. il Comune deve considerare il servizio idrico integrato come servizio pubblico locale privo di rilevanza economica.

Ebbene, una prima perplessità (ma è la minore) viene dalla ritenuta correttezza di inserire in uno Statuto Comunale una norma con tutte le suddette previsioni; le prime tre, e forse la quarta, sono probabilmente compatibili con lo strumento statutario, ma sarebbe almeno onesto dirsi che esse (ormai patrimonio indiscusso e condiviso da tutti) non hanno alcuna portata innovativa né aggiungono nulla a quello che la legge già, ovviamente, fissa e che molti ignorano ed altri fanno finta di ignorare.

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L'avvocato Renato Perticarari

Infatti, quanto ai primi tre punti, l’art. 15, comma 1-ter, della Legge n. 166/2009 già afferma che “Tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore e di piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche, il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche, in particolare in ordine alla qualità e prezzo del servizio, garantendo il diritto alla universalità ed accessibilità del servizio».

Quanto al quarto punto, invece, il comma 5 dell’art. 23-bis DL n. 112/08, già prevede che: “Ferma restando la proprietà pubblica delle reti, la loro gestione può essere affidata a soggetti privati”. E qui siamo già, come è intuibile, in un terreno più scivoloso; infatti, la legge afferma la proprietà pubblica delle reti, ma ipotizza che la loro gestione possa essere privata. Ebbene, poiché le decisioni in tale materia non spetterebbero in nessun caso esclusivamente ad un Comune, ma semmai all’Autorità d’Ambito, viene da chiedersi cosa accadrebbe se la sola Macerata si dotasse di un vincolo statutario simile e, in ipotesi, la nostra Autorità si orientasse per un affidamento a privati della gestione delle reti (che, è bene dirlo, è cosa ben diversa dalla gestione del servizio idrico). Ma tant’è; diciamo che, seppure con i problemi evidenziati, anche il quarto punto potrebbe ritenersi “statutariamente” compatibile.

Ma qui ci fermiamo.

Nel senso che i successivi punti 5 e 6 – a legislazione vigente – sono esercizio di pura e pericolosa demagogia, fissano principi contra legem, ed infine vanno anche contro quanto affermato dalla stessa Corte Costituzionale e dalla Comunità Europea.

La pretesa di vedere affidata esclusivamente ad un “ente di diritto pubblico” la gestione del servizio idrico integrato (punto 5), basata poi sulla affermazione secondo cui tale servizio non ha rilevanza economica (punto 6), va contro le regole fissate dall’art. 23-bis del DL n. 112/08 e ribadite nel suo Regolamento attuativo (DPR n. 168/2010), che con l’art. 4 comma 2 fissa paletti rigidissimi (e sostanzialmente ostativi) anche solo per poter pensare di tentare un affidamento in house; va contro il comune buon senso e, infine, va contro quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 325/2010, che ha spazzato via la “bufala” del servizio idrico quale servizio privo di rilevanza economica e che porterà anche alla inevitabile dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 40 della recente legge regionale di assestamento del Bilancio, viziata da analoga demagogia, e la cui illegittimità era stata da alcuni già preconizzata. Insomma, a legislazione vigente, la proposta è irricevibile.

Ebbene, come sia serio – nonostante tutto questo – avanzare una tale proposta di modifica dello Statuto comunale è domanda che è lecito porsi. Ed è altrettanto lecito chiedersi quale voglia essere l’obiettivo – vero – di tale proposta, visto che i profili di insostenibilità sopra esposti non possono essere sfuggiti ai proponenti, almeno quelli più avveduti.

La risposta possibile appare solo una: si è ben consapevoli della insostenibilità delle tesi avanzate, ma si vuole dare un mero segnale politico all’opinione pubblica. Come dire: noi vogliamo questo e lo scriviamo anche nello Statuto… se, poi, si dovrà andare in tutt’altra direzione, sappiate che è colpa di qualcun altro.

E’ questo un modo corretto di affrontare il problema, che esiste e che io certamente non nego ? Direi proprio di no, visto che quel “qualcun altro”, questa volta, è la Legge, è la Comunità Europea, è la Corte Costituzionale (che non è buona solo quando si occupa di “legittimo impedimento”).

Illudere i cittadini che modificando lo Statuto si assicura la natura “pubblica” del servizio idrico è irresponsabile e, quel che è peggio, impedisce di affrontare il problema nei suoi veri e concreti snodi. Quelli che, effettivamente, consentono di garantire un serio controllo pubblico del servizio, ma che comportano anche una seria assunzione di responsabilità da parte della politica, dei suoi amministratori ed anche delle strutture amministrative degli enti, ma forse è proprio per questo che a tali snodi nessuno vuole pensare, preferendo baloccarsi dietro modifiche statutarie tanto fantasiose quanto illusorie.

L’equivoco – sapientemente indotto – secondo cui solo la natura pubblica del soggetto gestore garantirebbe il controllo pubblico sul servizio è una vera e propria stupidaggine; è lo stesso equivoco, per esempio, su cui si sono fondate – dal 2008 – le errate scelte strategiche del Cosmari circa la pretesa – ormai negata apertamente dalla legge, ma c’era chi lo sosteneva anche nel 2008 ! – di gestire in house providing il ciclo dei rifiuti provinciale.

Il controllo pubblico è garantito da ben altro; le “buone pratiche” di gestione dei servizi pubblici sono assicurate da ben altro che non la natura pubblica del soggetto gestore o la proprietà pubblica delle azioni delle società di gestione; la “parentopoli” scoppiata nelle Società pubbliche di Roma….ma anche in qualche caso nella nostra realtà, è la prova che “pubblico” non è sempre uguale “corretto” o “efficiente”. La garanzia viene innanzitutto da seri contratti di servizio e, poi, da una seria capacità degli enti di verificarne il corretto rispetto…….ma questi sono gli snodi veri che non si vogliono affrontare, pensando illusoriamente (almeno per chi è in buona fede) che gli stessi possano essere superati attraverso l’affidamento del servizio “ad un ente di diritto pubblico”.

E’ anche su questi temi che una forza politica “di governo”, come per esempio il PD, deve misurarsi senza cedere alla demagogia.

Renato Perticarari

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