Guerra di religione per una parola

TRA IRONIA E REALTA' - Matteo Ricci o Padre Matteo Ricci? La situazione è grave ma non seria, diceva Flaiano

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di Giancarlo Liuti

Già ferita da polemiche su gravissime questioni politiche, sociali ed economiche (il dilemma epocale di fare o non fare un monumento, vi pare poco?), Macerata è sull’orlo di una guerra di religione che dalla curia vescovile è passata al consiglio comunale e minaccia di riversarsi fuori coinvolgendo il popolo intero in cruente lotte fratricide. Una guerra, sia chiaro, che per gli altissimi valori in campo e l’inconciliabilità fra opposte visioni del mondo assume lo stesso rilievo storico delle Crociate, della battaglia di Poitiers, della battaglia di Lepanto, di Giovanna d’Arco e della Vandea. Chi ne sarà il vincitore? L’esito è misterioso, visto che per il momento si è mosso un solo esercito e l’altro, che non dovrebbe essergli da meno, ha scelto la tattica dell’attesa e si limita a timide azioni di contenimento. Una cosa, comunque, è certa: dopo questo conflitto fra titani, un conflitto che forse provocherà distruzioni e spargimenti di sangue, Macerata non sarà più la stessa. Chiunque ne sarà il vincitore le toglierà l’ormai logoro appellativo di “Città della pace” e in suo proprio onore la chiamerà in un altro modo, con mausolei, statue e lapidi in gloria degli eroi che l’avranno combattuta: da una parte il generale Claudio Giuliodori, il luogotenente Ivano Tacconi e la cobelligerante Deborah Pantana, e dall’altra, per ora, un solo condottiero, Filippo Mignini, giacché il resto dello stato maggiore si mantiene astutamente nell’ombra. E Adriano Ciaffi? Non si è schierato, ma secondo la sua natura potrebbe avere un ruolo decisivo nell’intuire e nell’assecondare i disegni del destino.

Qual è il supremo ideale per il quale ci si sta battendo? Non la libertà, non l’eguaglianza, non la fede, ma qualcosa di ben più importante: una paroletta da mettere o non mettere nella segnaletica stradale. Considerando che già esistono denominazioni ufficiali per scuole pubbliche e associazioni culturali, come l’Istituto tecnico per le attività sociali ‘Matteo Ricci’ e l’Istituto ‘Matteo Ricci” per le relazioni con l’Oriente, del quale fanno parte Regione, Provincia, Comune, Diocesi e Università, questo giornale aveva lanciato la proposta di chiamare Macerata “Città di Matteo Ricci”. Apriti cielo! “Lui era un gesuita”, ha tuonato il vescovo, “e la scritta ha da essere ‘Città di Padre Matteo Ricci’. Chi non è d’accordo compie un’operazione di disonestà intellettuale!”. Preceduto dalla notoria veggenza profetica del congelato presidente della Provincia Franco Capponi (“Intravedo demagogiche spinte anticlericali”), l’infocato appello vescovile è stato presto raccolto da Ivano Tacconi, consigliere comunale dell’Udc, che con toni vibratissimi se l’è presa con un convegno della Chiesa Metodista (toh!) patrocinato dal Comune il cui annuncio non conteneva la parola ‘Padre’ e ha concluso con un lacerante grido di dolore: “Ma cosa stiamo diventando? Ci rendiamo conto che Padre Matteo Ricci si sta rivoltando nella tomba?”. Miscredenti, voleva dire, profanatori del sacro.

Gli ha fatto eco Deborah Pantana, consigliere del Pdl, che oltre a presentare una mozione nella quale si vieta al Comune di patrocinare manifestazioni dove il nome di Matteo Ricci non sia preceduto dalla qualifica di ‘Padre’, ha suggerito di chiamare Macerata ‘Città della lirica e di Padre Matteo Ricci’, idea poi abbandonata perché si è scoperto che in quel di Pechino il nostro Ricci non cantò mai la Turandot nei panni del principe Calaf. Intanto il professor Mignini, direttore dell’Istituto ricciano per l’Oriente, va manifestando propositi radicalmente diversi: non solo eliminare la parola ‘Padre’ ma anche il nome ‘Matteo’, giacché la fama universale del personaggio è meglio espressa dal solo cognome, come si fa con Petrarca, Garibaldi, Einstein. Quindi ‘Macerata, città di Ricci’. Non male, no? Nient’affatto, l’oltraggio supererebbe ogni limite.

Nessun politico, intanto, si è esposto pubblicamente contro quest’idea di aggiungere, sempre e comunque, il titolo di ‘Padre’. Paura di apparire marxisti leninisti? La solita storia degli equilibri interni al Pd? Attendismo? Ricerca di un faticoso compromesso, magari sostituendo la parola ‘Padre’ con quella, meno impegnativa, di ‘Babbo” o “Papà”, o con quella, meno diretta, di ‘Zio’o ‘Nonno’? Oppure mettendo un più evasivo ‘P. Matteo Ricci’? A Macerata, fra l’altro, esiste una scuola materna che s’intitola addirittura ‘P. M. Ricci”. Non sia mai! Queste due lettere – pm – alludono ai pubblici ministeri e fanno ribollire le coscienze del centrodestra.

Ciò non significa però che negli ambienti cosiddetti laici si rinunci al confronto duro in campo aperto. Al contrario, in previsione della imminente resa dei conti ci si muove nella clandestinità, predisponendo, come per la Resistenza, luoghi di raccolta (in montagna, in montagna!), depositi di armi, parole d’ordine, messaggi ciclostilati. Da notare, in preparazione del peggio, la guerriglia dei volantini. A uno, diffuso dalla Curia (“Onora il Padre e la Madre, impone il quarto comandamento), si risponde energicamente con quest’altro: “Un turista arriva a Macerata e legge ‘Città di Padre Matteo Ricci’, poi va in piazza, guarda la facciata del Comune e legge ‘Civitas Mariae’. Allora si chiede: ma cos’è, una città o un seminario? Via, la madre è già stata onorata, adesso basta”.

Le fiamme covano sotto la brace, il momento dell’urto frontale si avvicina, in questura si teme che la situazione precipiti. Fra l’altro circolano notizie nient’affatto tranquillizzanti. Nel sottopasso di viale Trieste sarebbero comparse scritte sin troppo esplicite: ‘Dio è con noi!” da una parte, ‘A morte i preti!’ dall’altra. E pare che di notte ronde animose già percorrano le vie agitando bastoni e inneggiando alla mischia. Non solo. Si mormora che sere fa, a Collevario, un focolarino sia stato legato a un albero, ustionato da mozziconi di sigaretta e tatuato con irriferibili frasi blasfeme. Poche ore dopo, la vendetta: un anziano giacobino sarebbe stato accerchiato da un gruppo di neocatecumenali che al suo rifiuto di recitare il rosario l’avrebbero colpito con una scarica di calci al basso ventre. Per correttezza va detto che queste notizie non sono state confermate dalle fonti ufficiali e forse non rispondono al vero. Ma può darsi che le si voglia tacere per non fare allarmismo. Insomma, Dio (o Padre Matteo Ricci, o P. Matteo Ricci, o P. M. Ricci, o Matteo Ricci, o Ricci) ce la mandi buona. In fondo, come diceva Flaiano, la situazione è grave ma non seria.



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