di Marco Ricci
Dell’intervento di ieri di Monsignor Giuliodori non possiamo non riconoscere alcune caratteristiche che di questi tempi sono piuttosto rare. La franchezza con cui ha parlato e il coraggio nel sostenere posizioni non esattamente condivise dalla cittadinanza maceratese. Sono perfino umanamente comprensibili (ma non certo condivisibili) gli accenni di rabbia presenti nel discorso di ieri. Egli tiene alle celebrazioni Ricciane. Si è speso per dare lustro a questo anniversario e si è speso in ultimo anche per il progetto del monumento al gesuita maceratese. Questo va riconosciuto. E che gli ultimi avvenimenti abbiano potuto procurargli delusione, finanche dolore, lo ritengo naturale e di questo nessuno può gioirne. E’ umana la delusione, capita a ciascuno di noi. E può capitare anche chi riveste ruoli importanti in una comunità. Ed è anche possibile – come afferma il Vesvovo – che la discussione di queste settimane in qualche circostanta possa aver ecceduto nei toni e nei giudizi.
Ma tutto questo non può giustificare l’arroganza, i toni minacciosi, l’insofferenza verso le posizioni altrui, l’entrata a gamba tesa nelle decisioni amministrative, i termini offensivi nei confronti di chi è portatore di idee diverse, di responsabilità diverse, di chi per suo compito instituzionale è tenuto a considerare esigenze più ampie, problemi differenti, tempi differenti in cui effettuare le scelte per il bene complessivo della cittadinanza.
I ripetuti attacchi al Sindaco in un’occasione pubblica in cui rappresentava la città sono stati francamente sconcertanti, irrispettosi del ruolo istituzionale di chi – peraltro cattolico e praticante – che è stato da noi cittadini democraticamente eletto e che per sua responsabilità istituzionale è tenuto a compiere scelte che al Vescovo possono non piacere ma che tengono conto delle esigenze della comunità intera e del momento storico gravissimo in cui stiamo vivendo.
Esseri laici, caro Monsignor Giuliodori, non significa soltanto valorizzare le differenze, come ci ha spiegato lei con sommo disprezzo della nostra pochezza intellettuale. Essere laici significa avere l’umiltà di pensare di non avere per partito preso ragione e che forse una parte di ragione può averla anche chi non considera il monumento a Matteo Ricci una delle priorità della nostra città. O a chi quel monumento non piace, o ancora a chi – a differenza sua e anche mia – vede in Padre Matteo Ricci unicamente una figura di umanista e non anche di uomo di fede come giustamente fa lei.
Detto questo è stato sconcertante sentir paragonare la redazione del Resto del Carlino – per il solo fatto di aver riportato la critica di Vittorio Sgarbi al monumento – a chi ha infangato il direttore Boffo con accuse vergognose e infamanti. Ed è incredibile in una città come Macerata – aperta, tollerante, accogliente verso gli stranieri, sempre estranea agli eccessi e alla violenza anche verbale pure nei momenti più difficili della nostra storia repubblicana – sentir definire con sprezzante alterigia spazzatura CronacheMaceratesi, chi ci lavora, chi ci collabora, chi interviene nei suoi dibattiti ed esprime liberamente le proprie idee.
Alla faccia della laicità, monsignor Giuliodori, del rispetto anche umano e del confronto tra opinioni diverse. Ho letto anche io – come molti altri maceratesi – le Cronache ricciane che lei ha citato nel suo discorso. E in quelle pagine non ho mai trovato un solo punto in cui Matteo Ricci definisce spazzatura le opinioni altrui, i riti, le pratiche diversi dai suoi, neppure davanti all’infanticidio – che di certo biasimava con tutte le sue forze – ma che nel cinquecento veniva spesso praticato tra le genti cinesi più povere. Eppure lei questo termine lo ha riversato su di noi, senza comprendere che i toni si sono accesi quando un po’ tutti ci siamo sentiti definire da lei “miopi” e “provinciali”, senza che in noi aleggiasse alcuno spirito anticlericale quanto un semplice dettato di parsimonia e di cautela nell’utilizzo del denaro pubblico.
Ed è stato sconcertante il tono minaccioso, intimidatorio, con cui il Vescovo – non solo da uomo di fede ma più che altro da uomo di potere – promette di intervenire costantemente nelle decisioni che riguardano la vita amministrativa di questa città. Questo è il punto grave, inammissibile, della vicenda e che non può lasciare indifferente nessuno, credente o non credente che sia. Perchè quello a cui abbiamo assistito è stato un attacco violentissimo alla laicità dello stato, alla separazione tra Chiesa e Stato, alle regole che sono fondamento della nostra Costituzione e del nostro vivere comune.
Ed è stato avvilente che il centrodestra – ignaro e inconsapevole – applauda e si stringa attorno al Vescovo in un ritrovato clericalismo da avanspettacolo o che frange dei partiti di maggioranza prestino il fianco a questi attacchi, tutti assolutamente incapaci di rendersi conto della gravità delle dichiarazioni alle quali avevano appena assistito. Dichiarazioni che travalicano la sfera della fede per entrare a piedi pari in quella dell’amministrazione e del potere, con una sua indicibile, corposa e ripetuta ostentazione da parte del Vescovo. Davanti a quello che è successo ieri, infatti, non si può neppure tentare minimamente di negare che Monsignor Giuliodori non abbia fatto questo, che non abbia cioè ostentato il suo potere temporale in modo ripetuto e minaccioso. Egli si è mosso come uomo non abituato ai no ma abituato ad impore le proprie idee, abituato al comando più che al dialogo. Così, sotto gli occhi del Sindaco, del Prefetto, del Rettore dell’Università, ha ostentato con rara arroganza questo potere nel momento in cui ha comunicato ai presenti di avere – di sua iniziativa – chiesto alla Fondazione Carima di spostare i fondi (peraltro pubblici) dal momumento a Matteo Ricci al restauro della Chiesa di San Giovanni. Egli fa e disfa e le autorità civili – secondo la sua visione – debbono prendere atto e tacere. E se la Fondazione si è prestata a questo gioco senza avvertire l’Amministrazione Comunale, questo sarebbe un gesto inqualificabile non solo di rara scortesia ma di cui peraltro andrà verificata la correttezza formale visto e considerato che la Fondazione ha delle regole ben precise per l’utilizzo dei propri fondi. E si badi bene. Non è questione del merito del restauro di San Giovanni che la città apprezzerebbe. E’ questione del modo, del tempo e del luogo della decisione, aspetti non secondari per una lettura complessiva della vicenda e per lo scontro che il Vescovo ha voluto aprire con la città e con il suo Sindaco, Sindaco che ha cercato di far valere gli interessi complessivi, peraltro sempre in modo estremamente rispettoso del ruolo e della persona di Monsignor Giuliodori.
Ora, avendo io recentemente pubblicato un intervento per lo più ironico su questa testata a proposto del monumento a Matteo Ricci – tralasciando il delirio complottista a cui non la ragione ma semplicemente il buon senso non intende rispondere – non voglio personalmente replicare alla spazzatura con cui il Vescovo con pastorale spirito caritatevole ha coperto anche me. Mi domando però se egli abbia compreso davvero questa città. Una città abituata a figure pastorali umili, ricchissima di volontariato ma assolutamente spiazzata davanti a questi invadenti interventi della Diocesi nella sfera pubblica. E mi domando se egli ne abbia compreso davvero lo spirito di tolleranza, di vera laicità, di apertura, di confronto mai estremo e di generosità che pur con tutti i nostri difetti contraddistingue la nostra comunità. E mi domando in ultimo – laicamente e senza rancore – se questa figura faccia bene o male a Macerata, se sia di stimolo o di scontro, di unione piuttosto che di preoccupante divisione tra credenti e non credenenti, una divisione che non ha mai avuto motivo di essere fino a ieri e che non dovrà averne da oggi in poi.
So che il Vescovo è molto attento ai giovani, è preccocupato del disagio sociale che cresce e di una certa pigrizia – reale – che investe Macerata. In questo personalmente lo apprezzo. Ma qui le questioni sono altre e sono più gravi.
Qui non è in gioco un monumento e neppure uno sfogo di rabbia al limite del comprensibile. Qui è in gioco una inteferenza continua e ripetuta nel tempo nella vita amministrativa prima e sulla stampa adesso, un’interferenza che per il ruolo che Monsignor Giuliodori riveste travalica la libertà di pensiero e gli ambiti rispettabili della fede. Qui è in gioco la credibilità della vita amministrativa, culturale, sociale di Macerata, è in gioco il confronto aperto tra diversi pensieri, come è in gioco la credibilità dei partiti politici di questa città – in primis del Partito Democratico – un cui eventuale silenzio davanti a queste dichiarazioni sarebbe quanto meno imbarazzante.
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Chiedo, a chi è capace, di fondare un gruppo facebook di protesta contro il vescovo, per poi contattare gli alti vertici del Vaticano e mostrargli l’odio che sta seminando nella nostra tranquilla città.
L’inutile statua era il mezzo per arrivare al fine di acquistare punti bonus agli occhi della gerarchia, per essere ricollocato in qualche posizione più importante.
Per andarsene da Macerata aveva puntato tutto su Matteo Ricci: la statua -inutile- sarebbe stata la celebrazione della vanagloria e il pass per tornare a volare alto e non essere relegato in questa inutile diocesi.
Il giochino non gli è riuscito e si è reso conto che, rischia, di rimanere in panchina per molto, visto che finito Ricci non avrà poi molte altre occasioni per stare sotto i riflettori a livello internazionale…
Ecco pertanto le risposte stizzite, gli attacchi ignoranti, le offese, il linguaggio forbito (tradito però dagli atteggiamenti di supponenza che lasciano presagire che avrebbe voluto replicare con un linguaggio da scaricatore di porto).
Il giochino gli si è rotto in mano ed adesso lui rischia di dover rimanere, per chissà quanto tempo, in questa città lontana dal centro dell’Impero, piena di zotici, ignorantui, culturalmente miopi…
gli stipendi dei vescovi si aggirano sui 2000 euro mensili,quello di un operaio sui 1000,ma la differenza è che l’operaio ha una famiglia a carico.Reputo vergognosi certi comportamenti!
tanti dicono “voglio entrare in politica! che quelli hanno sempre da mangiare e i soldi
non gli mancano mai!”
e visto che i credenti diminuiscono ogni anno che passa in futuro dovremo aspettarci persone che affermeranno “voglio diventare prete! loro non pagano le tasse e possono permettersi quello che vogliono!”
Premesso che concordo pienamente con quanto scritto – dall’autore oggi e in precedenza, da altri in altri articoli, nei commenti dei lettori e in generale da Cronache Maceratesi – vorrei provare a vedere una nota positiva, in questa che nel suo complesso è una vicenda spiacevole e imbarazzante (e a tratti grottesca, tragicomica e, appunto, “trash”), nel giusto sdegno che si percepisce, identico, in tutti i maceratesi.
Spero che questo sdegno non si esaurisca però in proteste e contro-offese, che non si esprima anch’esso nel linguaggio dell’odio e dell’intolleranza bieca, ma sia lo spunto per mostrare un comune spirito cittadino NON miope, NON zotico, NON ignorante.
Progetti, soluzioni alternative, un dibattito pubblico che dalla querelle sulla statua porti ad una nuova (e sana) attenzione per le celebrazioni ricciane possono essere un modo per trasformare un’offesa – alla Città, a Matteo Ricci, allo spirito religioso e al senso civico, all’Università, alla giustizia, all’arte, etc. – in un’occasione.
Come portavoce del mio partito ho già fatto pervenire questa posizione in un precedente comunicato, pertanto non ritengo si debba tornare ulteriormente sulla questione, da un lato perché l’appello alla ‘credibilità’ non diventi un pretesto per la ‘visibilità’ dei partiti, dall’altro perchè l’autore espressamente sollecita (‘in primis’) un partito specifico che è il PD.
Personalmente vorrei piuttosto notare che in gioco c’è la credibilità della Chiesa: il nostro Vescovo dovrebbe (essere sollecitato a) scusarsi, e prima ancora – perché le scuse siano sincere, ci hanno insegnato al catechismo – a pentirsi per il suo evidente peccato di hybris.
Ma certo non lo si può obbligare, tantomeno odiare: si può solo prendere atto con dispiacere ed amarezza di una sua evidente inadeguatezza, pastorale e spirituale, dal momento che ad oggi sono solo le pecorelle ad ammonirlo e a biasimarlo per i suoi pensieri, le parole, le (tentate) opere e (purtroppo poche!) omissioni.
Io l’unico astio lo vedo in questi commenti, non nelle parole pronunciate dal Vescovo. Lui ha detto la sua su questioni sulle quali sentire un suo commento è giusto. Giusta la sua idea di celebrare Ricci con una statua. Condividerla o meno è certo questione di libertà d’opinione ma gli argomenti piagnoni-pauperistici mossi contro il progetto sono ridicoli. La Chiesa è un’istituzione, e fra gli scopi che si prefigge c’è quello di indicare alla gente come esempi dei personaggi che l’hanno resa illustre e hanno onorato la loro missione. La Chiesa non è la Caritas, che deve occuparsi di opere di carità, appunto, e assistenza. La Chiesa è “anche” la Caritas, ma non solo. Nei lunghi secoli che furono necessari a edificare il Duomo di Milano o la Cattedrale di Chartres le persone morivano come le mosche per le carestie: e quindi la Chiesa non avrebbe dovuto raccogliere denaro per queste opere? Probabile che al Vescovo, notando atteggiamenti così cacodubbistici emergere nella comunità maceratese, siano cadute le braccia. Normale. Sugli accenni fatti dal Vescovo nel suo discorso di volere, d’ora innanzi, essere presente e intervenire di più nelle discussioni sulla vita cittadina, l’articolista dice che questa sarebbe una minaccia di ingerenza clericale nella vita dei maceratesi? Badabum! Ma allora siamo al 1870! Se Giuliodori parla così non è più quella bella e umile figura di silenzioso pastore integrato nella nostra bella realtà maceratese cui i suoi predecessori ci avevano abituati, ma un nuovo Pio IX! L’articolista e i suoi simpatizzanti vadano in girotondo intorno alla Curia, anche a far tempo da subito, ché la situazione richiede la mobilitazione delle belle anime. Beh! Che dire? Naturalmente incoraggiamenti al Vescovo perché prosegua nella sua strada. Poi che uno così qui ci voleva proprio, d’accordo o meno che sia io, o che in futuro possa essere con tutte le sue opinioni. Ma io, se uno ce le ha diverse dalle mie (come per esempio lo sarebbero se fosse vero che il Vescovo abbia rimbrottato il Carlino per avere riportato un commento estetico negativo di Sgarbi al progetto della statua), non penso che siano in gioco la sua credibilità o che vada allontanato dalla funzione che ricopre.
@giandorico bonfranceschi
i miei complimenti!il suo intervento si commenta da solo.
manca solo di dire che una nuova grande cultura cattolica e’ vitale per sconfiggere l’imminente invasione mussulmana anche con l’uso delle armi,ma non fa niente,si capisce ugualmente tra le righe.
e complimenti anche a lei personalmente,crede davvero in quello che ha scritto?
onore ai veri preti che di sicuro non si riconoscono in queste parole
Per Filippo Vannucci: so poco di “veri preti”, e non saprei insegnare al Vescovo cosa siano. Ma lei non sarà un vero fanatico?
@bonfranceschi
come sa poco di veri preti?
quelli in africa,asia,america latina o scampia,cep di palermo per fare qualche esempio.addirittura ne trova pure a mc,lo sa?
per veri intendo quelli che si fanno 40 km al giorno per prendere l’acqua da un pozzo, per farne un’altro di esempio.
veri preti che si offenderebbero se sentissero le sue parole credo,come l’atteggiamento di chi lei tanto difende,neanche le desse da” mangiare”….o sbaglio?
fanatico io?mah non so me lo sto chiedendo spesso sinceramente,ma credo di essere piu’… stanco se cosi si puo’ dire
saluti
Credo che il commento di Cerasi sia quanto di più vicino alla realtà possa esserci riguardo a questa vicenda…
Sulle parole del Vescovo di Macerata si è sviluppato un bel dibattito, ben rappresentato nell’ampio spazio offerto da Cronache Maceratesi. E tra i tanti interventi come sempre si distingue per il bello stile quello di Marco Ricci. Al di là delle opinioni, tuttavia, mi sembra eccessivo sostenere che sulla questione del monumento al gesuita Matteo Ricci sia in gioco la credibilità dei partiti (così il titolo dell’intervento) o perlomeno la credibilità dei partiti di centro sinistra dei quali il PD fa parte.
Credo invece che l’assenza di prese di posizione ufficiali e magari anche ponderose, pro o contro il monumento (se me n’è sfuggita qualcuna chiedo venia), sia riconducibile ad una serie di circostanze oggettive.
La prima è che la materia è di competenza dell’apposito comitato per le celebrazioni Ricciane che, in un contesto di iniziative varie, aveva anche previsto l’erezione di un monumento (più che una statua). Sembra evidente che, nel momento in cui gli auspicati finanziamenti nazionali son venuti meno in ragione (anche) dei tagli preoccupanti nel settore culturale, tale iniziativa ben poteva scontare ritardi se non eliminazione dal novero delle cose da fare. Diveniva quindi oggettivamente una possibilità, una scelta del Comitato, non una certezza.
La seconda è che, a ben vedere, almeno un aspetto della questione assomiglia ad una tempesta in un bicchier d’acqua: se non ho capito male gli enti che avrebbero dovuto concorrere con la Fondazione al finanziamento dell’opera si sono più o meno espressi per una modalità di erogazione del denaro diluita nel tempo, sia in ragione dei tagli di cui sopra sia della necessità (obiettiva ed indiscutibile) di garantire in prima battuta, con le scarse risorse finanziarie disponibili, bisogni socialmente più rilevanti (questa perlomeno la posizione dell’amministrazione cittadina). Il sindaco di Macerata ha espresso tale prudente posizione ed è per me da condividere. Quindi è ragionevole attendersi – o sperare, per chi ciò desidera – che in fine il monumento siarealizzato (risorse permettendo) e che sia all’altezza dello spessore storico e culturale della città di Macerata e dell’importante personaggio.
Un terzo profilo che emerge è poi quello relativo agli affidamenti pregressi in merito alla fattibilità dell’opera: sembra di capire che vi sia da un lato la linea di pensiero vescovile che dava la cosa per fatta, dall’altra quella degli altri partecipi al comitato per le celebrazioni Ricciane che esprimono una posizione più sfumata. Sul che, francamente ed in attesa di lumi, non vedo come possano (e se sia opportuno) che interloquiscano i partiti. Al più, come tutti, credo sarebbe interessante avere qualche notizia in più, tanto per la cronaca quanto per completezza di informazione.
Ciò detto (naturalmente in estrema, e come tale insufficiente, sintesi) resta aperta la questione vera sulla quale Ricci (Marco) chiede una presa di posizione, in particolare al PD e che non riguarda più di tanto Ricci (Matteo): a dire se, con l’intervento del Vescovo e sempre andando per sintesi, non si sia inferto un vulnus al rapporto di reciproca autonomia tra chiesa e municipalità in ragione dei toni e dei contenuti dell’argomentare di Monsignor Giuliodori.
Come segretario del PD non mi sottraggo, precisando che quanto segue è il mio pensiero non essendosi il PD, nei suoi organismi, occupato della vicenda.
Io credo che le sfere della fede e quella della politica non debbano vedere reciproche ingerenze. Penso che tra Chiesa e Stato (nelle sue molteplici articolazioni) debba esservi rispetto e reciproca comprensione e che ognuno deve svolgere il compito cui è chiamato: non entrerò quindi in alcun ragionamento sulla figura del Vescovo e del suo rapporto con i fedeli non avendone alcun titolo specifico.
Ritengo però che il Vescovo, allorquando ha levato la critica di “laicismo” nei confronti delle posizioni diverse emerse in materia, abbia imprudentemente fatto di ogni erba un fascio.
Non escludo che alcune tra le tantissime opinioni espresse nel corso degli ultimi giorni possano essere state giudicate dal Vescovo a tratti eccessive e fors’anche ingiuste, così come eccessive ed ingiuste a molti sono apparse le parole pronunciate all’Università lunedì scorso (il parallelo con il caso Boffo è oggettivamente improprio): tuttavia, a mio sommesso parere, quale che sia l’opinione che il Vescovo si è fatto di tali parole ciò non giustifica una critica che mi è apparsa oltremodo severa ed ai limiti della ricevibilità.
Macerata non è una città “laicista”, è una città laica.
E’ laica perché, oggi, le istituzioni sono laiche per definizione.
E’ laica perché, come dimostrano tra l’altro i lettori ed i commentatori di CM, discute apertamente di tutto.
E’ laica perché è pronta a cambiare opinione se le circostanze ciò impongono o suggeriscono.
E’ laica perché ricca di un cattolicesimo aperto e democratico che ama discutere, che rispetta intrinsecamente le regole della democrazia ed il principio di separazione (proprio lunedì scorso il circolo De Gasperi ha organizzato una bella e partecipata iniziativa su questi temi), un cattolicesimo che comprende la differenza tra i convincimenti personali e le regole di condotta proprie e l’agire delle istituzioni pubbliche, che sono rette da regole altre, finalizzate alla ricerca del bene comune ed alla convivenza pacifica e solidale di tutti i cittadini, secondo il dettato costituzionale che inibisce disparità di trattamento per fede, razza, colore, sesso, condizioni sociali.
E’ laica perché con questo cattolicesimo democratico hanno convissuto e concorso al governo della città le tante articolazioni della sinistra riformista e democratica, senza particolari sconquassi nei rapporti con le istituzioni ecclesiali.
E’ laica perché fa convivere ispirazioni diverse senza violare il principio di non contraddizione, come plasticamente dimostrato dalla pacifica convivenza delle plurime targhe in memoria del Garibaldi liberatore e socialista con quelle che ricordano la vocazione di città Mariana vicine all’omaggio a Giordano Bruno ed al libero pensiero: e non è cosa da poco, tanto che a volte penso che dovremmo essere un po’ più orgogliosi di noi stessi.
Di questa laicità aperta, tollerante con gli altri, disponibile ai nuovi contributi, il Partito Democratico vuole essere espressione concreta, a partire dalla sua composizione plurale per ispirazioni e provenienze. Gli ultimi risultati elettorali dimostrano peraltro che, al di là delle questioni legate alla crisi generale del sistema dei partiti – che è cosa in larga parte vera e seria – la città di Macerata ha compreso il messaggio politico di cui siamo portatori.
Si può fare di meglio, si può fare di più, certo: ci impegneremo per questo.
E su questo spero che il da me molto stimato Marco Ricci comprenda come non sia poi essenziale che il PD si esprima politicamente sui toni o sulle parole usate dal Vescovo nel ragionare intorno alla questione del monumento, parole probabilmente uscite d’impulso e non scelte accuratamente, eccessive nell’asprezza che è spesso figlia dell’amarezza, a mio avviso sproporzionate rispetto al tema in discussione ed alle conclusioni cui si stava pervenendo. Credo che Ricci (padre Matteo) potrebbe essere d’accordo con me se è vero come è vero che (utilizzo con scherzosa improprietà quanto prescrive la Ratio Studiorum, alias l’ordinamento scolastico dei collegi dei Gesuiti, edizione del 1616 aggiornata nel 1832) il professore “… deve scegliere accuratamente le questioni…”. E le questioni di cui oggi intende interessarsi il PD sono per lo più altre, rilevanti per il futuro della nostra città.
Per il resto mi sembra che gli interventi su CM ed i commenti dei lettori siano del tutto autosufficienti.
Caro Bruno,
il mio intervento ovviamente non chiedeva ai partiti una presa di posizione sulla statua(cosa peraltro già fatta dal sindaco qualche giorno fa) e convengo con te che questa vicenda per molte ragioni abbia assunto toni da autentico psicodramma.
Quello a cui mi riferisco invece è all’attacco all’autorità civile fatta dall’autorità religiosa in una circostanza pubblica come quella di due giorni orsono, attacco molto più grave di quelli portati agli organi di stampo. Questo è secondo me il punto centrale che oltrepassa la legittima amarezza del Vescovo e i toni non certo edulcorati da lui utilizati.
Mi stupisce sinceramente che i partiti di maggioranza – dal PRC all’IDV – non abbiano trovato due parole due in difesa del Sindaco davanti a questo attacco a lui mosso. Personalmente ritengo che Romano Carancini debba sentire la vicinanza dei partiti (ed in primis del PD perchè partito di maggioranza relativa) nella sua azione quotidiana, e ancora di più quando le sue decisioni vanno a scontrarsi con un altro potere non certo ininfluente nella vita cittadina di Macerata.
Non sono uomo di scontro per mia indole e credo tu lo sappia, ma ritengo – magari esagerando – che in alcune circostanze sia necessario mettere paletti e apertamente schierarsi.
Grazie della tua lunga risposta e della tua attenzione.
Per Marco Ricci: relativamente alla questione “politica” che leggo nel dibattito con Bruno Mandrelli ( non Giordano) a proposito del ruolo dei partiti di maggioranza che non si sarebbero schierati a favore del Sindaco, suo malgrado, entrato nella polemioca curiale, debbo sottolineare che come capogruppo dell’IDV esplicitai il mio pensiero sulla stampa, così riassumibile: ” il monumento non ora”, per la verità, ironicamente aggiunsi” la gente guarda la TV e non le statue”. Ritengo poi che un partito non debba partecipare, affatto, al “dopoteatro”, soprattutto se c’è l’aria di un incidente diplomatico. La tessitura del rapporto Stato-Chiesa è “preliminare” rispetto al Consiglio comunale. Voglio dire, avviene in altri reparti, come sempre. L’arte della diplomazia è una dote e, anche, un segno di intelligenza. Che il Vescovo abbia “sbagliato e deragliato” è vero,e anche questo ho scritto. Non sbaglia, però, il Vescovo, nella primaparte del suo discroso quando punta sulla conservazione del Padre Matteo Ricci e non semplicemente Matteo Ricci. Ma questo, ovviamente, non riguarda la statua.
Caro Bruno,
è sempre un piacere leggere le tue cose sempre tanto garbate e quanto raffinate. Anche in questo caso l’immagine precede la narrazione: pluralismo, Civitas, Giordano Bruno fino a quel Garibaldi che socialista. non poteva esserlo in quanto il Partito socialista venne fondato nel 1892, cioè dieci anni dopo la morte dell’Eroe dei due mondi.
E’ come chi vuole arruolare Filippo Corridoni tra i fascisti ed altri nello stesso tempo tra gli antifascisti. Peccato che il sindacalista rivoluzionario e interventista mori sei anni prima della fondazione del PNF.
Garibaldi appartenne ad una associazione segreta, ma questa è un’altra storia. Con la solita stima e simpatia Gabor
Caro Gabor, grazie per la cortese precisazione. Naturalmente non mi riferivo al socialismo nazionale “ufficiale” che correttamente ricordi prendere le mosse nel 1892. Mi riferivo a periodi precedenti e Ti riporto un pezzo apparso sull’Avanti nell’ormai lontano 2003 (reperibile su internet se hai voglia di leggerlo per intero).
“La storiografia risorgimentale ha prestato scarsa attenzione al socialismo di Giuseppe Garibaldi. La sua azione politica, pervasa da sincera umanità, s’inserisce invece in quelle tendenze ideali che hanno caratterizzato il socialismo nel suo sviluppo originario. Come egli stesso ricordò più volte, fu nel 1833, durante un viaggio per l’Oriente, che conobbe le idee umanitarie e sociali di Saint-Simon. Il contatto con un gruppo di sansimoniani, guidati da Emile Barrault, e linfluenza di Saint-Simon lasciarono nel giovane Garibaldi (allora venticinquenne) un’impronta indelebile. Quel socialista francese, che predicava il libero sviluppo delle facoltà umane attraverso il ritorno all’interezza armonica della natura, orientò Garibaldi nella sua successiva evoluzione politica. I primi rapporti di Garibaldi risalivano agli anni Trenta del secolo XIX………Dal suo ritorno in Italia nel 1848 fino agli anni 1860-61, Garibaldi fu impegnato nelle sue gesta di condottiero militare e il suo rapporto col socialismo sembrò dileguarsi o quasi. Fino al compimento dellUnità dItalia, i rapporti di Garibaldi con il movimento socialista divennero sempre più scarsi. La recente storiografia suole infatti farli decorrere dal IX congresso delle società operaie (Firenze, settembre 1861), che lo scelse come presidente e lo elesse membro della commissione permanente. Da quellanno non ci fu congresso che non invocò ladesione di Garibaldi e non lo invitò a partecipare; al decimo congresso delle società operaie (Parma, ottobre 1863) apparve addirittura come un nume tutelare. Solo con la nascita dellAssociazione Internazionale dei lavoratori (settembre 1864), Garibaldi divenne un personaggio di primo piano nellambito di quella democrazia europea, che si richiamava agli ideali della Rivoluzione francese. Il suo strenuo appoggio allindipendenza della Polonia e della Romania accentuò la fama di Garibaldi, che in breve tempo diventò lincarnazione delle aspirazioni al riscatto dei popoli oppressi. Nellaprile 1864 la visita di Garibaldi a Londra ricevette la calorosa accoglienza delle società operaie inglesi, che gli tributarono numerose manifestazioni di simpatia. Ma esse non riuscirono a coinvolgere anche Karl Marx, affinché sottoscrivesse un messaggio di saluto alleroe della democrazia italiana. Nonostante gli insulti feroci a Garibaldi da parte di Marx, che conservò sempre un atteggiamento critico nei suoi confronti, questo viaggio fu seguito con vivo interesse dalla stampa progressista europea. Dagli esuli tedeschi Garibaldi ricevette un Indirizzo, in cui fu salutato come il propugnatore della libertà, luomo che ha combattuto su due emisferi per il progresso, il diritto umano e lo stato libero. Nel settembre 1867, quando a Ginevra fu costituita la Lega per la pace e la libertà sotto gli auspici di Victor Hugo, di John Stuart Mill e dello stesso Garibaldi, questi professò un forte pacifismo. Contro la guerra sostenne lopportunità dun arbitrato internazionale, diretto ad eliminare i contrasti fra le nazioni su un piano di civile democrazia. Latteggiamento incerto della Lega di fronte alla Comune di Parigi, assunto al congresso di Losanna (1871), non gli impedì di prenderne le difese, pur ritenendola una sventura mondiale per gli eccidi della guerra civile. Quello della Comune, per Garibaldi, restò però uno straordinario avvenimento, una nuova e sfortunata tappa di quel lungo processo di emancipazione economica e morale della classe lavoratrice, che prese avvio dalla Rivoluzione francese dell89. Con la difesa appassionata della Comune di Parigi, che pur accentuò i contrasti nelle prime organizzazioni operaie e socialiste, Garibaldi divenne in breve tempo il principale veicolo del passaggio di ampi strati del democraticismo risorgimentale verso il socialismo. Nelle posizioni garibaldine, infatti, si riconobbero i gruppi riuniti attorno a La Plebe di Enrico Bignami, il giornale operaista destinato a svolgere un ruolo di primaria importanza nel periodo della prima Internazionale. Provenienti dalle file garibaldine, quasi tutti i collaboratori (Achille Bizzoni, Angelo Umiltà, Luigi Perla, Ferrero-Gola) accolsero la visione eroica del loro maestro, ma anche lumanitarismo democratico e internazionalista, il laicismo anticlericale e la fede nel riscatto dei più deboli. Alla sua nascita (4 luglio 1867), La Plebe non esitò a pubblicare una lettera di approvazione e di incoraggiamento da parte di Garibaldi. E alcuni anni dopo, il 9 novembre 1871, il periodico pubblicò altresì una polemica lettera di Garibaldi a Giuseppe Petroni, direttore della mazziniana Roma del popolo, per confutare alcune affermazioni riguardanti lInternazionale e la Comune. Larghi entusiasmi – oltre al gruppo de La Plebe – riscosse Garibaldi a Firenze, dove la sezione dellInternazionale contava nel giugno del 1871 circa 300 soci, tra i quali numerosi erano i garibaldini, che avevano combattuto con lEroe a Mentana o nellarmata dei Vosgi. A Torino, quando nellottobre 1871 si costituì la sezione dellInternazionale, lassemblea inviò al generale un telegramma. Ma a fare del garibaldinismo un elemento fondamentale delle origini del socialismo italiano contribuirono i socialisti romagnoli (Erminio Pescatori, Celso Ceretti e Lodovico Nabruzzi): nel dicembre 1871 il Fascio operaio di Bologna inviò a Garibaldi il programma e lo statuto, quasi ad attestare la fedeltà alle sue idee. In una lettera del 13 marzo 1872 Garibaldi accolse lo statuto della nuova associazione e inviò la sua quota mensile di socio; come pure ammise di condividere il tentativo dei socialisti romagnoli di unificare le varie organizzazioni democratiche esistenti in Italia in organismi disposti a superare le divergenze ideologiche e a lottare per un programma concreto di emancipazione sociale. Tuttavia Garibaldi non fu molto entusiasta, quando i socialisti romagnoli imboccarono una via di conciliazione tra garibaldinismo e bakuninismo, auspicando un programma comune basato sullemancipazione del proletariato mediante la lotta contro i privilegi, lautogoverno dei liberi comuni e la loro federazione universale. Così Garibaldi non mancò di manifestare diffidenza personale per Bakunin e sfiducia nelle sue idee utopiche e irrealizzabili. Durante la conferenza di Rimini (4-6 agosto 1872), egli avversò lindirizzo dei delegati romagnoli, che accolsero il programma bakuniniano, pur respingendo le tesi fatte votare da Marx alla conferenza londinese del 1871, perché intrise di comunismo autoritario. Vicecersa Bakunin criticò Garibaldi, perché questi – proprio quando si dichiarava socialista o internazionalista – metteva in guardia dalle esagerazioni anarchiche, dagli eccessi dei dottrinari, intenti solo a inventare paradossi con lo scopo ben preciso di spaventare il mondo. La guerra al capitale, la collettivizzazione della terra, labolizione dello Stato furono considerati paradossi che ritardavano leliminazione delle sperequazioni sociali. Questatteggiamento rese Garibaldi inviso agli anarchici, i quali più volte lo definirono un confusionario per il suo militarismo rivoluzionario e per la sua idea di una dittatura elettiva. In realtà, lavversione di Garibaldi allistituto parlamentare fu dettata dallassenza di una struttura politica unitaria, che garantisse piena autonomia ai corpi intermedi (comuni e regioni) e ricorresse allarbitrato internazionale riguardo alla futura organizzazione politica europea. Al IV congresso della Lega (Lugano, 23-27 settembre 1872), egli – pur non partecipandovi personalmente – sostenne la subordinazione della politica alla morale, la Federazione repubblicana europea e la sostituzione delle milizie nazionali agli eserciti permanenti. Nellultimo decennio della sua vita, Garibaldi ripose piena fiducia in un progetto di vaste e profonde riforme istituzionali e legislative, desideroso di battere nuove vie per realizzare il sogno sansimoniano duna società diversa, da lui stesso presentato nel capitolo conclusivo de I Mille. Ma il suo contributo più importante fu diretto soprattutto a scongiurare il pericolo di nuove guerre per ununione completa delle nazioni libere e per il conseguimento della pace universale. Così continuò negli anni successivi fino alla morte (1882) ad inviare messaggi augurali ai giornali e ai congressi socialisti, testimoniando anche a favore degli internazionalisti del 1875.”
Come vedi, l’attribuzione non era poi così errata. Un caro saluto.