di Giancarlo Liuti
Il 4 giugno scorso, quattordici giorni fa, il Consiglio di Stato ha emesso una sentenza inoppugnabile con la quale ha annullato le elezioni provinciali dello scorso anno e ha ordinato che, in attesa di nuove elezioni, l’autorità amministrativa, ossia il prefetto, nomini un commissario. Tutto molto chiaro. E lo è da quattordici giorni.
Comprendiamo l’amarezza di Franco Capponi, che dopo appena un anno si vede sottrarre la vittoria ottenuta alle elezioni del 2009 (una vittoria piuttosto netta, ma se, allora, la Lam fosse stata ammessa alla gara, forse lui non sarebbe stato eletto al primo turno – prevalse col 51,3 per cento – e l’esito del successivo ballottaggio con Giulio Silenzi avrebbe avuto qualche margine d’incertezza).
Ci rendiamo conto anche di un’altra cosa, la più importante. Ed è che in piena crisi economica questa sentenza crea seri problemi di stallo operativo e anche di spesa a un ente cui sono affidate competenze di rilevante portata pubblica. E Capponi ha ragione quando afferma che sarebbe stato molto meglio per gli interessi del territorio provinciale se questo intoppo non ci fosse stato.
Ma ci ribelliamo alla colossale presa in giro dell’opinione pubblica (la consapevolezza dei cittadini è il primo pilastro della democrazia) che per quattordici giorni è stata fatta da quasi tutti gli esponenti politici, da quasi tutte le associazioni di categoria, da un gran numero di sedicenti esperti di diritto e perfino da qualche ente pubblico, fra l’altro nell’assordante silenzio di autorevoli cattedre universitarie. Pulpiti, questi, dai quali si è continuato ad auspicare un accordo fra Capponi e Gentilucci e a seminare l’illusione che una siffatta e fantomatica intesa avrebbe potuto scongiurare il ritorno al voto. Una colossale presa in giro, ripetiamo, perché, dopo quella sentenza, un eventuale accordo fra le parti in causa non avrebbe raggiunto in alcun modo lo scopo di restituire regolarità alle elezioni annullate.
Con ciò non intendiamo demonizzare a priori l’idea di un accordo, anche se poco nobile, anche se basato su reciproche concessioni di potere personale. La politica non è nuova a simili soluzioni, che al limite possono rivelarsi addirittura provvidenziali quando servono, come in questo caso, ad evitare esiti infausti per il bene comune. Ma l’accordo andava fatto prima della sentenza. E ce n’era tutto il tempo. Il ricorso al Consiglio di Stato fu presentato il primo aprile e Gentilucci avrebbe potuto ritirarlo in qualunque momento. Ma, ripetiamo, prima della sentenza. Non dopo. Dal primo aprile al quattro giugno sono trascorsi ben 153 giorni, pari a 3.672 ore. Per quale motivo fra Capponi e Gentilucci non c’è mai stato alcun serio tentativo di mettersi intorno a un tavolo e valutare il rischio, soprattutto per Capponi, che il Consiglio di Stato annullasse le elezioni? Forse Capponi era troppo sicuro, sbagliando, delle proprie ragioni? Forse Gentilucci era troppo sicuro, sbagliando, delle proprie sotterranee e tardive capacità di manovra? E che ne pensavano i rispettivi legali? Dimenticanze? Eccessivi ottimismi giurisprudenziali? Fiducia extragiuridica in qualche intervento dall’alto dei cieli? In san Patrizio, patrono di Treja? In Maria Assunta, patrona di Pieve Torina? Insistiamo: 153 giorni, 3.672 ore. Perché non si è fatto nulla quando tutto poteva essere fatto? E’ troppo pretendere una risposta chiara a questa domanda? Inutile, adesso, piangere sul latte versato. Inutile – e gravemente lesivo del sacrosanto diritto dei cittadini di capirci qualcosa – agitare l’ingannevole scaricabarile dell’accordo mancato. Ma quale accordo? Se anche fosse stato raggiunto, sarebbe stato vano. Ormai la frittata era fatta.
Quattordici giorni di sotterfugi, insinuazioni, sospetti, travisamenti, rimpalli, speranze infondate. Spargendo a piene mani l’idea che fosse possibile fare (lo strombazzatissimo mito del fare!) qualsiasi cosa in barba a qualsiasi principio. E portando acqua al mulino di quella crisi di legalità che a grandi passi si sta facendo largo, in Italia, nella coscienza collettiva e individuale. Con l’informazione costretta a disinformare e a recitare il mortificante rosario – mortificante per se stessa, ma soprattutto per l’intera comunità provinciale – dei forse, dei chissà, degli spiragli, dei colpi di scena, dei misteriosi assi nella manica (ancora ieri un giornale ha scritto che Capponi “percorrerà tutte le possibili vie legali per evitare il ritorno alle urne”. Col commissario già insediato?).
Rivediamo, allibiti, questi quattordici giorni. Il sette giugno Gentilucci intima l’ultimatum a Capponi: accordo entro quarantott’ore o niente. Ma quale ultimatum, se i giochi sono chiusi? Lo stesso giorno Capponi apre a Gentilucci: forse lui può rinunciare all’esecuzione della sentenza, parliamone. Ma quale rinuncia, se il tempo è scaduto? L’otto giugno Gentilucci dice che tocca a lui portare la sentenza in Prefettura e se non ce la porta tutto può cambiare. Brillante soluzione giuridico-postale, no? Il dieci giugno Gentilucci assicura che la trattativa è iniziata e procede bene. Ma quale trattativa, se tutto è deciso? Lo stesso giorno Capponi va a Roma, apprezza la disponibilità di Gentilucci e dichiara di sperare in una svolta liberatoria. Ma quale svolta, se la strada non ha più né bivi né curve? Lo stesso giorno Capponi dice che “con questa magistratura non possiamo prevedere nulla perché noi non abbiamo agganci politici”, la qual cosa significa che per le precedenti sentenze del Tar, a lui favorevoli, gli agganci li aveva (davvero edificante, questa uscita, da parte di chi riveste una carica istituzionale). L’undici giugno il coordinatore provinciale del Pdl dice che se la Lam può fermare la sentenza si sbrighi, un accordo è ancora possibile. Ma chi potrà fermare una sentenza irrevocabile? Il dodici giugno Capponi risfodera, sempre con eleganza, la propria sensibilità istituzionale: “Credo più nella Provvidenza che nella Giustizia”. E l’altro giorno allude a oscure macchinazioni fra Gentilucci e la sinistra, se ne dichiara “indignato”, chiede a Gentilucci un ultimo “gesto nobile”. Ma quali macchinazioni e quale gesto se l’arbitro – il Consiglio di Stato – ha già fischiato e la partita è finita?
Poi, sempre Capponi, annuncia di ricorrere alle corti europee e di citare per danni – 1.700.000 euro, più o meno – i magistrati autori della sentenza, che lui definisce scandalosa. Ma quale scandalo? Vero è che sull’errore di data contenuto nella lista Lam vi sono stati pronunciamenti diversi da parte di diversi organi giudicanti e che l’errore è stato considerato grave da alcuni e non grave, infine, dal Consiglio di Stato. Difformità di valutazioni, insomma, secondo un’interpretazione più rigidamente formale, prima, e più attenta, dopo, alla realtà sostanziale. Una difformità certo singolare e magari sorprendente. Ma perché scandalosa? E’ forse scandaloso che un imputato venga assolto in primo grado, condannato in appello e assolto in Cassazione?
Ed ecco il solito ritornello dei nostri incredibili tempi: la colpa non è dell’aver ignorato o sottovalutato le possibili conseguenze di quel ricorso, la colpa è dei giudici. E dunque delle toghe rosse – ma quante sono! – che si annidano pure al Consiglio di Stato. Attenzione: riempirsi ogni volta la bocca con la parola “verità”, la parola “gente”, la parola “trasparenza” e la parola “legge”, ma poi prendere a pesci in faccia la verità, la gente, la trasparenza e la legge significa gettare discredito sulle basi della nostra convivenza civile.
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Se posso dare il mio tanto piccolo quanto insignificante contributo alla discussione vorrei far notare che al di là delle interlocuzioni della politica e dei politici, basti guardare i fatti per capire che in questa Nazione c’è qualcosa che non funziona. Primo fra tutti non funziona il sistema di presentazione delle liste elettorali che ad ogni tornata elettorale lascia un codazzo di polemiche e di ricorsi. Poi non funziona il sistema giudiziario che come successo in questo caso si esprime in via definitiva su una materia amministrativo/elettorale dopo un anno dalle elezioni addirittura contraddicendo le sentenze espresse in 4 precedenti gradi di giudizio. In tutto questo marasma chi ha sbagliato? La LAM che ha voluto fino in fondo appurare le proprie ragioni? I 23 giudici che hanno deciso di escludere la LAM dalla competizione elettorale? I giudici del Consiglio di Stato che hanno stravolto il giudizio? Coloro che si sono costituiti in giudizio per non consentire la riammissione della LAM? Tra tutti questi quesiti la cosa che non mi lascia dubbio è che l’unico incolpevole della situazione è il Presidente Capponi e tutti gli ormai ex Amministratori della Provincia che si vedono usurpata una carica legittimamente conquistata e gli elettori che vedono azzerata la loro volontà (alla faccia della democrazia!). Ora un’ultima domanda sorge spontanea…. chi paga?
la nostra è stata una lunga, irresponsabile, vergognosa mistificazione
è facile eraldo sapere chi paga basta fare 1800000 euro costo elezioni diviso cittadini della provincia di mc e la soluzione è fatta.
poi come sempre per recuperare questi soldi basterà fare qualche taglio qua e la e i conti torneranno. che problema c’è
“C’è un giudice a Berlino” è la frase divenuta proverbiale che avrebbe pronunciato un mugnaio prussiano quando, qualche secolo fa, ebbe una controversia con il re di Prussia. Di fronte alla prepotenza del sovrano, il suddito vessato esprimeva così la sua fiducia nell’intervento di un giudice che avrebbe rimesso le cose a posto.
Oltre che a Berlino il giudice è anche a Roma ma Capponi e Gentilucci si sono sempre comportati come se non ci fosse e, come stigmatizza l’articolo, come se la correttezza delle operazioni elettorali fosse un dettaglio e tutto dipendesse solo dai loro accordi.
Ho scritto altrove che sono stati entrambi dei dilettanti allo sbaraglio, assistiti però da fior di uffici legali (questi però dilettanti non erano).
Ora che fare? Accettare serenamente di andare a votare, ma senza commettere l’errore di votare, da un lato e dall’altro, chi ha dato così ampia prova di presunzione e di scarsa sensibilità politica.
Voglio ringraziare la LAM perchè ci ha fatto scoprire un nuovo modo per far cadere una amministrazione provinciale, comunale e perchè no il governo di un paese… semplice… facciamo una lista, sbagliamo l’anno sul timbro della raccolta firme… veniamo giustamente esclusi dalle elezioni… e se non ci piace l’amministrazione vincente … presentiamo ricorso… ed alla fine ci danno ragione…
spettacolare!!!! …funziona!!!!!
penso proprio che bisognerà fare così…. :-)))
GRANDE SERGIO!! IDEA MERAVIGLIOSA 🙂 quale nome daremo a questa lista?? nel caso della provincia di macerata si potrebbe chiamare “ME NE FREGO DI FAR PAGARE AI CITTADINI 1.800.000,00 € MA VOGLIO UNA POLTRONA COMODA COMODA” (alla faccia dei poveracci che non hanno più un lavoro e non sanno come andare avanti)
Dell’artigian frabbicator di viole
noi Magno appogiam i suoi conncetti
“ognun può fare e dir ciò che vuole”
siam pronti a mostrar i nostri petti
a pugnar sul ciglio della barricata
i diritti a difender dei più negletti
però tra alcun una vocina è serpeggiata
siccome non tutti l’hann ben compresa
ci domandiam per chi sta fervida sparata
questa somma lezion di civica pretesa
questo magnificar di toghe sentenzianti
questo menar lezion sulla contesa
questo versar di lagrime strazianti
s’una democrazia ormai morente
rassegnati buonom senza rimpianti
AI PIU’ HAIME’ NON FREGA PROPRIO NIENTE