«Chi non ha un palato educato
al ristorante cerca moda e apparenza»

L’INDAGINE di Ugo Bellesi sui ristoranti della provincia. Protagoniste di questa puntata Anna, Barbara e Tiziana del ristorante “Dario” di Porto Recanati. Il ruolo degli Istituti alberghieri. Puntare soprattutto sul turismo fuori stagione

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Ristorante “Dario”: la signora Anna e le figlie Barbara e Tiziana

di Ugo Bellesi

L’indagine che stiamo portando avanti su “Dove va la ristorazione della nostra provincia” sta producendo i primi risultati positivi nel senso che, attraverso le interviste ai cuochi o ai titolari dei ristoranti emergono delle idee nuove e proposte concrete. Così abbiamo sentito parlare di “innovare la tradizione” ma anche di “tradizione rivista in chiave moderna anche grazie alle nuove tecniche di cottura”, oppure della necessità di “raccontare ai commensali, specie se stranieri, la storia del piatto che stanno gustando”. Sono emersi anche altri due elementi importanti come la “necessità di consorziarsi” e in particolare di perseguire l’obiettivo di assegnare alle nostre ricette la De.Co, cioè la denominazione comunale di origine, specificando, dopo una ricerca storica, “le loro caratteristiche organolettiche legate al territorio”.
Oggi il sondaggio prosegue con l’intervista a tre protagoniste del successo che da anni sta avendo il ristorante “Dario” di Porto Recanati. Si tratta della signora Anna e delle figlie Barbara e Tiziana, che rappresentano la terza generazione di una famiglia impegnata ad alto livello nel settore della ristorazione.
I clienti del territorio quali piatti preferiscono?
«La clientela locale tendenzialmente ricerca i piatti della memoria rivisitati che però siano ben presentati».
Quali invece le preferenze dei turisti?
«I turisti che non ci conoscono si lasciano consigliare. Ma seguono anche le recensioni e comunque si lasciano convincere dal passaparola. In pratica seguono le tendenze del momento, anche se, negli ultimi anni, cercano anche loro i piatti più identificativi del ristorante e del territorio».
C’è una differenza tra le scelte dei giovani e quelle dei meno giovani?
«I giovani seguono sicuramente la moda del momento, mentre gli anziani vanno alla ricerca della materia prima più particolare, quella di nicchia. Senza dubbio però il gap non è tra giovani e anziani, ma tra chi è abituato a mangiare bene anche a casa propria, perché allora cerca anche nel ristorante la qualità alta del prodotto e cioè freschezza a km zero. E’ questione di educazione del palato, il quale va educato quotidianamente. Chi non ha questa possibilità quando va al ristorante cerca solo la moda e l’apparenza».
Come si spiega che i ragazzi prediligano il sushi?
«Si spiega con il fatto che è diventata una moda»
 La ristorazione nel maceratese negli ultimi tempi è migliorata o è in stallo?
«In questo momento storico c’è un grande divario tra chi si è fermato e chi punta sull’eccellenza e sulla qualità».
E’ vero che i giovani cuochi puntano all’innovazione e poco alla tradizione?
«Sicuramente si»
Quali suggerimenti vorreste dare agli Istituti alberghieri per avere futuri cuochi di valore?
«Imparare a conoscere innanzitutto la materia prima e riconoscere poi il valore dei prodotti del territorio. Secondariamente bisogna saperli valorizzare al meglio. In ultima battuta debbono avvalersi della tecnica come supporto al proprio lavoro».
Cosa vorreste consigliare ad un giovane che entra nel mondo della ristorazione?
«Prima di tutto non voler ottenere risultati immediati e poi non arrendersi alle prime difficoltà. Questo è un mestiere di grandi soddisfazioni ma non si può prescindere dalla gavetta. Quindi necessitano costanza e abnegazione, oltre alla passione quotidiana, alla curiosità e alla voglia di crescere. Il talento, se c’è, va di pari passo al duro lavoro».
Perché nessuno dei nostri ristoranti riesce ad ottenere una stella Michelin?
«In questo momento storico ottenere una sella Michelin potrebbe non essere vantaggioso. Rimane il fatto che per molti è un punto di arrivo, mentre a nostro avviso, dovrebbe essere il risultato di un percorso di un lavoro svolto bene. Confidiamo comunque che, vista l’energia positiva emersa negli ultimi due anni nelle Marche, a breve arriveranno altre stelle».
Quali le iniziative da prendere per sviluppare maggiormente il turismo enogastronomico?
«Bisognerebbe puntare sul turismo non solo di massa estivo, ma soprattutto su quello fuori stagione, più attento a conoscere e scoprire la storia, la cultura, il cibo e le tradizioni della nostra regione. Sarebbe molto interessante portare il turista in autunno o a primavera quando la natura e la campagna maceratese e marchigiana in generale danno il meglio di sé».
Risposte chiare e piene di significato. E a questo proposito ci piace ricordare una bella frase della regista Lina Wertmuller, recentemente scomparsa: «Le Marche? Le ho anche recentemente riscoperte: i cieli autunnali, le dolci colline e il mare da cui nascono profumi e cibi unici». E concludiamo con un episodio verificatosi qualche tempo fa ma assai significativo. Un signore che abita in un paese non lontano dalla nostra città è venuto a Macerata per fare acquisti in un negozio gestito da due giovani. Mentre discutevano sul prezzo di un oggetto uno dei due commercianti chiede al cliente da dove venisse. Quando ha saputo il nome della cittadina in cui il cliente abitava il giovane ha interloquito: «E’ il paese dove c’è quel ristorante strano…» Al che l’interlocutore ha chiesto: «Perché strano?», ricevendo questa risposta: «Perchè prepara stoccafisso, baccalà, tagliatelle, fagioli con le cotiche, vincisgrassi, zuppa inglese e cose del genere…»
Ogni commento ci sembra inutile.



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