Il Covid non esiste per 3 milioni di italiani,
la terra è piatta e il 5G ci controlla
«Teorie alimentate da insicurezza e paura»

IL RAPPORTO CENSIS 2021, con il capitolo "La società irrazionale", fotografa alcune credenze che stanno prendendo piede nel Paese: dal campo medico e scientifico, a quello storico o tecnologico, eccone alcune. Ne abbiamo parlato con la sociologa di Unimc Alessia Bertolazzi

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di Giovanni De Franceschi

«Un’onda di irrazionalità, un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà circostante. Dalla medicina alla tecnologia, nulla sfugge al tritacarne dell’irrazionale» e delle teorie cospirazioniste. Benvenuti in casa Italia, anno 2021, il secondo della pandemia da Covid-19. L’annuale rapporto del Censis ha fotografato anche quest’anno la società italiana e con un capitolo intitolato “Gli italiani e l’irrazionale” ci ha messo davanti a uno specchio dove per certi è difficile riconoscersi. Se non, appunto, concedendo un profondo sonno alla ragione. Come è possibile infatti credere che il Covid non esista o che la terra sia piatta? Come nascono le teorie che portano quasi la metà degli italiani a credere di essere vittima di una sostituzione etnica? Oppure di essere cavie delle big pharma? Ne abbiamo parlato con Alessia Bertolazzi, docente di Sociologia all’Università di Macerata.

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Alessia Bertolazzi, docente di Sociologia a Unimc

Ma andiamo con ordine e partiamo dalla fotografia che ci ha restituito l’indagine del Censis. Per il 5,9% degli italiani (cioè circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste, il 31,4% degli italiani oggi si dice convinto che il vaccino è un farmaco sperimentale e che quindi le persone che si vaccinano fanno da cavie, il 10,9% sostiene che il vaccino è inutile e inefficace e quindi il 12,7% degli italiani trae la conclusione che la scienza provoca più danni che benefici. Secondo il Censis, l’irrazionalità «ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti collettivi di protesta che quest’anno hanno infiammato le piazze: per il 67,1% degli italiani esiste uno “Stato profondo”, cioè il potere reale è concentrato, in modo non pienamente democratico, nelle mani di un gruppo ristretto di potenti, composto da politici, alti burocrati e uomini d’affari; per il 64,4% le grandi multinazionali sono le responsabili di tutto quello che ci accade; per il 56,5% esiste una casta mondiale di superpotenti che controlla tutto». E ancora «la variante cospirazionistica, tendente alla paranoia, ispirata alla teoria del “gran rimpiazzamento” ha contagiato il 39,9% degli italiani convinti del pericolo reale della sostituzione etnica». E sono diffuse anche quelle che il Censis chiama tecno-fobie:  il 19,9% degli italiani considera la tecnologia 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone. Fino ad arrivare al negazionismo storico-scientifico, con il 10,0% degli italiani convinti che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna e il 5,8% sicuro che la Terra sia piatta.

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Scritte comparse davanti ad alcune scuole di Macerata

Insomma, un’irrazionalità talmente pervasiva che è arrivata a mettere in dubbio ogni certezza, anche medica o scientifica, e non nel solco dello spinoziano “dubito ergo sum”, ma come «fuga fatale nel pensiero magico» da una realtà complessa e difficile da spiegare.  Come dire, ci si rifugia nell’irrazionale perché dà risposte più semplici dà sicurezza, paradossalmente dà più certezze. Ma non solo, perché non sempre una bassa scolarizzazione basta a spiegare l’aderenza a teorie cospirazioniste. Ci sono anche fattori che si rifanno al singolo individuo, alla comunicazione, alla società. «C’è una parte di studi – spiega Bertolazzi, sociologa Unimc – che punta l’attenzione sui tratti della personalità, nel senso che ci sono persone più inclini a credere alle teorie cospirazioniste. E queste sono, per esempio, le persone che hanno scarsa fiducia negli altri o i narcisisti. Perché i narcisisti? Perché il fatto di credere a queste teorie fa credere alle persone di essere speciali, come a dire: “Io ho trovato la verità mentre voi, la massa, non avete accesso alle informazioni che ho io». Un’altra parte di studi punta invece sull’ambiente informativo.

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Foto da un convegno di terrapiattisti

«Secondo questi studi – continua Bertolazzi – i flussi informativi generati dai media in generale e dai social media in particolare creano terreno fertile per la crescita delle teorie cospirazioniste. Nei social media si creano queste camere di risonanza, in cui le persone entrano in contatto e sono esposte a informazioni che vanno semplicemente a confermare quello in cui già credono. E così si crea il meccanismo cognitivo del pregiudizio di conferma: in queste camere di risonanza le persone trovano conferme ai propri pregiudizi». Poi c’è il contesto sociale che può far da detonare. «I contesti sociali dove c’è la percezione di una situazione economica in peggioramento, dove le persone sperimentano maggiore insicurezza lavorativa, sono i contesti dove più spesso emergono teorie cospirazioniste -aggiunge la sociologa – altri studi ancora mettono in evidenza come un contesto generale di incertezza e rischio, come quello attuale legato alla situazione pandemica, possa essere più fertile per la nascita di teorie cospirazioniste. Per esempio, uno studio di Hofstadter del 1964 mette in relazione l’aumento dei flussi migratori con il diffondersi di teorie cospirazioniste, un forte cambiamento sociale che può sembrare minaccioso dà adito a queste teorie. Teorie che, appunto, danno risposte semplici a problemi complessi e quindi rappresentano delle scorciatoie».

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Un cartello dei no vax

Cosa si può fare allora per contenere quest’onda di irrazionalità? «Bisogna agire innanzitutto sull’ambiente informativo – risponde Bertolazzi – con l’adozione di strumenti e meccanismi per ridurre il più possibile la circolazione di disinformazione. A livello macro sociale, invece, occorre creare un ambiente il più possibile certo, la comunicazione istituzionale deve chiara e ridurre l’incertezza, cosa che non sempre è avvenuta e questo è un aspetto tipicamente italiano. In altri Paesi la comunicazione del rischio è molto centralizzata, ci sono pochi esperti che sono titolati ed autorizzati a parlare, in Italia invece c’è la mediatizzazione della comunicazione scientifica, un’invasione di esperti nei media. E una comunicazione incerta offre terreno fertile alle teorie cospirazioniste». Proprio una ricerca Unimc che è in via di pubblicazione ha preso in esame la comunicazione alla fine della prima ondata, quando il mondo scientifico era diviso tra chi sosteneva che la pandemia fosse già finita e chi invece continuava a predicare calma. «Questa comunicazione incerta – conclude la sociologa – abbiamo visto che non solo crea terreno fertile per le teorie cospirazioniste, ma polarizza completamente il dibattito. E questa è la cosa peggiore che si possa fare in un contesto già incerto di suo, perché si crea un mix micidiale».

 

 

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