di Michele Carbonari
«Dopo la malattia che ho avuto, non ho più paura di morire. Prima al solo pensiero rabbrividivo o speravo di soffrire il meno possibile. Ora, invece, quando sarà, so quello che c’è, almeno per me: qualcuno che mi aspetta». È la «bellissima e stupenda sensazione» di Betty Tantucci, autrice del libro “So che ci sei”. La 52enne di Urbisaglia, che ha studiato da chef ma si ritrova tappezziera a causa del Covid 19, racconta la sua esperienza extracorporea, vissuta durante i tre mesi di rianimazione all’ospedale di Macerata. «Ho pensato e scritto il libro perché sono tornata da una grande malattia, che si chiama Seu atipica, è molto rara. In quel periodo sono stata in coma e quindi ho scritto quello che ho visto di là. Io sono stata sempre cattolica, quindi paragono quel posto al Paradiso. Ma non è detto che una qualsiasi altra religione non lo possa considerare come un altro luogo in cui si starà meglio o si passerà oltre una volta morti. Io lo posso chiamare Paradiso anche in base a quello che ho provato: leggerezza dell’anima, tranquillità, pace e felicità. Quando ripenso a quello che ho vissuto lì, mi si lucidano gli occhi. Mi capita tutti i giorni, specialmente quando il mio pensiero va a mio padre: mi ritengo la donna più fortunata della Terra per averlo rivisto, dopo sei lunghi anni dalla sua morte».
Betty Tantucci è rimasta colpita dall’incontro che ha avuto con suo padre e racconta il colloquio avvenuto con lui in un passaggio di quei mesi di rianimazione, «fuori dal tempo e dallo spazio». «Io gli dicevo che non volevo andar via dal posto in cui ero andata nel momento della morte: “babbo, io qui sto benissimo”. Ricordo un giardino bellissimo dai colori vivi, una panchina e mio padre, come se fosse più giovane di venti anni. Lui invece mi diceva di andarmene. Alle sue parole io reagivo male. Gli spiegavo: “qui non mi fa male più niente, non mi mandare di là (nella Terra, ndr). Lì sto male, sto attaccata a dei fili, ho forti dolori”. Volevo rimanere con lui, perché stavo benissimo e in piena pace. Io non ho un paragone terreno a quello che ho provato di là, qui sto malissimo e non sto in pace. Vivo e porto avanti la vita perché ho i figli e un lavoro, ma non è la stessa sensazione».
Nel corso del tempo Betty Tantucci ha iniziato ad informarsi e a leggere libri che trattavano storie simili alla sua. Per questo, sotto il lockdown, ha scritto la sua autobiografia «erano giorni duri: ho pianto, non ho dormito e a volte non ho mangiato». La 52enne di Urbisaglia è entrata a far parte di un progetto di Jonathan Arpetti e David Miliozzi, curatori di Marche d’autore. Nella collana di racconti verrà edito anche un altro testo da lei scritto, che parla di un vino cotto marchigiano. Tutt’ora, però, deve fare i conti con i problemi che la malattia le ha lasciato. «Ad oggi mi rimane difficile memorizzare le cose, vado avanti grazie a degli stratagemmi che l’ospedale mi ha dato e che mi ha insegnato. Un po’ mi aiutano anche le tecnologie e il cellulare, però la memoria è danneggiata e difficilmente tornerà. La malattia ha portato via una parte della mia vita, la più bella. Avevo il matrimonio e i figli piccoli: è una cosa che mi ferisce tanto, per una madre è bruttissimo non sapere più certe cose. Se osservo le vecchie foto devo chiedere e ricevere delle risposte perché non ricordo nulla. Stranamente, però, ricordo per filo e per segno tutto quello che ho visto quando sono morta. In totale ho fatto quattro mesi d’ospedale, di cui tre in rianimazione; questo problema ha innescato altri problemi e ancora adesso sono in cura. Ma la tempistica che ho vissuto quando sono volata via non la saprei dire: non c’è uno spazio e non c’è un tempo».
Oltre all’incontro con il padre, Betty Tantucci ha vissuto altre esperienze e una riguarda il rapporto con i medici che l’hanno seguita all’ospedale. «Questa è stata la prima e la più breve. In sala operatoria ero fuori dal mio corpo, perché vedevo infermieri, dottori e quello che stavano facendo. Ma in realtà era come se vedevo un’altra persona. Ai medici ho riportato tutto: “mi avete operato, fatto questo e quell’altro”. E loro mi hanno detto: “ma eri sotto anestesia, come fai a saperlo?”. E io: “in realtà stavo di fianco a voi”. Mi sono resa conto di essere da un’altra parte perché mi sono vista sopra il tavolo della sala operatoria. In particolare ricordo la frasi di un dottore: “ io sono un uomo di scienza, non capisco come mi puoi riferire quello che io facevo mentre tu eri in coma».
Non è stato sicuramente facile per i familiari vivere i momenti difficili dell’ospedale: «Mia figlia è un’infermiera, quindi anche lei non riesce a capire quello che le dico. Però mi ripete sempre: “guarda mamma, l’importante è che stai qui con me”. I miei figli sono stati molto male mentre stavo per morire, la cosa è stata lunga e tre mesi sono tanti. Da parte mia c’è grande rammarico perché non avrei mai voluto dare un dispiacere così grande ai figli – racconta la Tantucci, che è stata contattata da altre donne che avevano vissuto la stessa esperienza -. Una ha voluto incontrarmi e abbiamo parlato per un giorno intero delle stesse identiche cose, almeno a livello di sensazioni. Ci accavallavamo per parlare. Un’altra invece non se l’è sentita di vedermi, perché ogni volta che parla di questi argomenti le ricordano cose che l’hanno fatta star male. Ancora non se la sente, ma mi ripete che “l’importante è che ci sei”».
La Tantucci ha ben impresse le emozioni e le sensazioni piacevoli vissute nell’esperienza extraterrena, per questo insiste nel raccontare quello che ha vissuto nell’al di là, durante il periodo di rianimazione dell’ospedale di Macerata (a cui andrà l’incasso della vendita del libro “So che ci sei”). «Dopo la morte terrena io mi auguro di tornare in quel posto, faccio di tutto per tornarci perché secondo me bisogna meritarselo. Non credo che sia dato a tutti, di questo ne ero pienamente consapevole. La mia vita ora è legata a questo: al mantenimento di certi valori. Ad esempio, non reagisco alle cattiverie di certe persone. In passato mi succedeva, ora invece mi controllo. È brutto dirlo, ma io qui sulla Terra non ci sto bene. La realtà è questa: quello che ho vissuto là è tutt’altra cosa. Quando parlo di quel posto a me si lucidano gli occhi, sento la mancanza. Alla fine di tutto vorrei far passare il messaggio che bisogna migliorare, tutti. Ci dobbiamo mettere in testa che quando ce ne andiamo da questo mondo non ci portiamo via niente di quello accumulato. Io in ospedale non avevo neanche il mio pigiama. La vita ha valori più importanti. Dopo tutto questo problema non ho più paura di morire. Prima al solo pensiero rabbrividivo o pensavo di soffrire il meno possibile. Ora invece, quando sarà, so quello che c’è, almeno per me: qualcuno che mi aspetta. Questa sensazione è bellissima, stupenda».
Vorrei crederci ma mi è difficile!
Bellissimo messaggio
Chi vincerá la Champion League?
Non è che non ci credo m penso che ci sia qualcosa a livello celebrativo ancora attivo che permette ciò che vi capita di vivere.......
Gloria a diooo
che bello il paradiso
Sei stupenda
Ciao... Dove posso acquistare il tuo libro?
Io le credo!!!
See lallero
Che dire... Sono pienamente d'accordo con te... Anche io per un problema cardiaco purtroppo circa 10 anni fa sono stata in coma e purtroppo mi ha lasciato un grave danno... Non ho più la memoria .... Vado avanti per la mia famiglia ... Ho avuto altre esperienze negative... Adesso il mio motto è Non mi impiccio e... Avanti a tuttaaaaa (è dura durissima ma... Viva la Vitaaaaaaa ).... Leggerò il tuo libro
Che bello!
Io non ho mai avuto la paura della morte. Io ho paura di andare via troppo presto e far soffrire ad altri
Storia emozionante e complimenti per aver avuto il coraggio di raccontarla, tante persone hanno queste esperienze ma poi per paura non dicono nulla.
Mi piacerebbe incontrarti anche io ho avuto unesperienza simile
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Che Dio ti benedica sempre ❤️.
Già Platone nel Gorgia 492e aveva scritto: ”davvero non mi stupirei, se Euripide, che non era di Borgoratto Mormorolo, dicesse la verità quando afferma: chi sa se il vivere non sia morire e il morire vivere?”.
Cronache potete anche indicarci come o dove trovare il libro? O il numero della signora per contattarla
Per la signora Paciaroni. Potrebbe chiedere del libro alla biblioteca di Urbisaglia :
http://www.bibliotecadiurbisaglia.it
Peraltro a Borgoratto Mormorolo c’è più rispetto verso Euripide e Platone che a Citanò…
Bella storia, ma dubito che sia morta, fino a che c’è attività cerebrale. Quello che fa pensare, è che raccontava ai medici cosa facevano a lei quando era in sala operatoria, ed i medici hanno annuito.
Cara Betty, purtroppo leggo questo articolo sulla tua morte con molto ritardo. Lo reputo interessantissimo in quanto è la verità di ciò che accade dopo avere lasciato il corpo fisico. Evidentemente hai dei meriti se ti sei ritrovata “probabilmente” nei piani alti del “piano astrale”, il piano degli “impulsi e delle emozioni”, e lì avere incontrato tuo padre (sì, generalmente dopo avere confrontato e scaricato impulsi ed emozioni più materiali l’aspetto fisico migliora molto anche in età). Sgombriamo subito il campo dalla opinione della scienza medica che ti dice che queste “visioni” sono frutto dell’etere che ti ha addormentato durante l’operazione. Nè si convincono quando dici loro di ciò che stavano parlando al momento dell’operazione. Non dico che dovrebbero conoscere gli scritti della Teosofia, che parlano dei vari corpi invisibili dell’individuo che si spostano sui vari piani invisibili, che sono oltre quello fisico in cui ti muovi con il corpo fisico. Ma se conoscessero gli scritti del noto psicoterapeuta Roberto Assagioli forse capirebbero di più di cosa è un essere umano e lo aiuterebbero di più con la medicina. L’argomento servirebbe di più a psicologi e psichiatri. La Teosofia servirebbe di più alla Chiesa, poichè le darebbe quelle conoscenze che le farebbero capire che molto di ciò che è “mistero” nei Sacramenti altro non è che scienza applicata per lo Spirito. Evitando così di mettersi a fare ecologia, psicologia, buonismo, diritti gay ed altre amenità.
Ti è capitato ancora di andare dall’altra parte, in quella che viene chiamata “oltretomba”? Veramente ci vai ogni volta che ti addormenti: esci dal corpo attraverso la sommità del capo, dal quello che viene chiamato chakra e che viene aperto con l’acqua battesimale e poi richiuso col Sacro Crisma. Non è una cosa di “fede”, ma solo una tecnica del Sacramento del Battesimo. Sì, attraverso quell'”aperura” tu vai nei vari piani piani immateriali. Se non ne parlano i Vangeli, ne parla il Corano, ovviamente non in forma tecnica. Ma potresti andarci volontariamente e senza eccessivo sforzo di volontà. L’unico pericolo – raro – è che mentre sei “fuori” un altro spirito umano o altra entità potrebbe entrare e prendere possesso del corpo. Ma c’è sempre “qualcuno” che ti guarda le spalle: un “maestro”, o l’angelo custode.
Mi congratulo per la tua esaltante esperienza. Se la Cirinnà, o la Boldrini, o Zan facessero questo tipo di esperienze, probabilmente si convincerebbero che politicamente potrebbero aiutare l’individuo con leggi che terrebbero conto della vera identità dell’essere umano e non con leggi che materializzano sempre di più nella trappola degli “impulsi e delle emozioni” di tipo molto basso e materiale.
Non dimenticare mai che l’esperienza che hai avuto è perchè te la sei meritata.