Il pasticcere Ettore Natali,
da San Maroto a Roma e ritorno:
«Sogno di vedere la mia casa ricostruita»

STORIA - Il racconto di una vita di lavoro e passione. L'infanzia a Pievebovigliana, i lutti della guerra, la periferia romana in espansione, il ritorno a Visso, il dramma del terremoto e l'orgoglio delle origini: «Il mio è un mestiere bellissimo io l'ho fatto con amore. Ai nipoti dico siate determinati, fate una cosa alla volta e fatta bene, con passione»

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Ettore Natali

 

di Gabriele Censi

A otto anni il primo paio di scarpe, il regalo della mamma che di lì a poco moriva sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale, tre quarti di secolo dopo vede invece le ferite del sisma 2016 sulla sua casa a Visso. La storia di Ettore Natali, classe 1933, pasticcere finissimo, è piena di episodi che sono memoria che insegna. Una vita tra le Marche e Roma, rimanendo con orgoglio legato alle origini: «Sono marchigiano e me ne vanto, noi marchigiani ci facciamo sempre onore, ovunque siamo andati abbiamo fatto bella figura», risponde così alla domanda sulla sua identità. Lavoro duro, fame, sacrifici, una bella storia d’amore con Teresa, due figli e 5 nipoti.

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La chiesa di San Giusto

I primi anni li ha passati a San Maroto, frazione di Pievebovigliana, nota per la sua chiesa di San Giusto, uno tra i più importanti monumenti romanici della regione (lo scorso maggio è stato completato il restauro). Vive nella casa del contadino della sua famiglia che era di origini benestanti, una bisnonna era contessa. Lui discendente della stirpe più povera ha visto il papà partire in cerca di fortuna nella capitale, lasciandolo con la nonna, la mamma e i quattro fratelli, il primo spostamento nella vicina frazione di Cupa. «Un’infanzia povera – ricorda Natali – si viveva di cose raccolte, con poco. Era una festa quando era il tempo della pista e i bambini facevano il giro delle case con uno spiedo da riempire con pezzi di lardo». Il primo insegnamento della mamma fu quando dopo aver portato a casa il ricco bottino, bussò alla porta un mendicante per chiedere qualcosa da mangiare. Lei gli diede un pezzo del maiale del suo spiedo: «Rimasi stupito, “Perché mamma dai via la mia parte…? chiesi, “Ha bisogno anche lui e merita rispetto, potevi essere tu al suo posto” rispose».

Ettore-Natali-2--325x183Già a sei anni fu portato come “garzoncello” in una casa di contadini a Pievebovigliana. Si facevano piccoli lavori e faccende, in una famiglia con un genitore invalido, una figlia zitella, un figlio partito per la guerra e un altro diciottenne che fu portato via dai rastrellamenti dei tedeschi: «Io lo volevo salvare – continua Natali – ero piccolino ma sveglio, quando sono arrivati i tedeschi abbiamo provato a tenerlo nascosto, offrendo ciauscolo e vino, ma non c’è stato niente da fare. Trascinato via tra le urla e i pianti della madre, ha fatto 5 anni nei campi di lavoro». Tanti altri episodi vissuti in prima persona durante la guerra come quando vide i tedeschi pronti a far saltare in aria la centrale idroelettrica. Tentativo poi sventato.

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La casa lesionata

A 14 anni, dopo un breve ritorno a San Maroto dallo zio, nella comodità della grande casa dei Natali («si fa per dire perché a quei tempi di comodo non c’era niente»), il viaggio a Roma. Il lavoro, con vitto e alloggio, in una pasticceria-pizzeria nel quartiere San Lorenzo iniziava al mattino presto e finiva di notte tardi, sette giorni su sette. «Più avanti nel tempo ci davano mezza giornata a settimana di riposo per andare a trovare i parenti o per una passeggiata in centro. Tra la pasticceria e la pizzeria ho scelto la prima che per me è un’arte ed ho imparato il mestiere. Dopo alcuni mesi da militare a Palermo e Trento, con la grande nevicata del ’56 (dal forno al frigorifero, sette coperte ogni letto, scarpe incollate a terra per il ghiaccio, sono stato congedato per una otite) ho ripreso il lavoro a Trastevere e poi a Centocelle». Il quartiere dove viveva la donna della sua vita, Teresa, 70 anni insieme: Nessuna tentazione o tradimento? «Non ce ne era bisogno, ci siamo voluti sempre bene, siamo stati insieme nel bene e nel male, con pazienza e sopportazione nei momenti difficili».

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Il matrimonio di Ettore e Teresa con la torta da lui realizzata

La famiglia di Teresa Gatti, (anch’essa di origine marchigiana, Casavecchia di Pieve Torina), diventa la sua famiglia, il matrimonio il 2 giugno 1957 e dopo qualche anno la svolta con l’apertura di una pasticceria propria. Teresa al banco e lui in laboratorio. In un quartiere popolare non c’era la stessa clientela del centro e lui educa i clienti alle sue specialità diventando il primo della zona, profiteroles, charlotte, torte nuziali e la fornitura anche per il carcere di Rebibbia: «Il direttore un giorno mi chiama “Devi fare 100 paste per una scommessa, le vuole mangiare tutte un detenuto, non me lo fare morire…”. Poi rividi dopo qualche giorno il protagonista dell’impresa: “Eccome qua, me le so’ magnate io!”, mi disse con soddisfazione». Insomma nessuna lima nelle torte. «Avevo la piena fiducia di tutti, guardie e carcerati, ci sono stati anche dei matrimoni in cella e la torta l’ho fatta io. Si lavorava molto, con la testa e con le mani».

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Ettore con la famiglia a Visso

La famiglia si allarga con Angelo e Anna Rita, Ettore ha potuto completare solo gli studi elementari, loro invece si diplomano e prendono la propria strada che non coincide con l’arte del papà, la femmina bancaria, il maschio autista di scuolabus a Firenze. «Ai nipoti dico siate determinati, fate una cosa alla volta e fatta bene, con passione. Il mio mestiere è bellissimo, il fornitore portava zucchero, farina e uova, poi stava a te la trasformazione, cremore e bicarbonato per la lievitazione e tanta fantasia. Più avanti sono venute le industrie a proporre miscele e preparati. Ho detto grazie ma non fa per me, io faccio “il pasticcere”». Tra gli amici anche Angelo Frontoni, il celebre fotografo delle dive, con il benessere il richiamo delle Marche si concretizza nell’acquisto di una bella casa nel centro di Visso che diventa la dimora estiva della famiglia mentre per le cure degli acciacchi dell’età sceglie l’ospedale di Camerino. Il suo desiderio è che sia ricostruita la casa distrutta dal sisma. «Io non credo che potrò vederla ma spero che se ne occupino i miei figli e nipoti, tornerò comunque per l’ultimo viaggio, i due fornetti che abbiamo acquistato nelle parte nuova del cimitero hanno retto alle scosse. I marchigiani lavorano bene».

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