«Iva sulle perdite e Imu sui capannoni,
meccanismi assurdi per le aziende»

ECONOMIA - Gabriele Miccini, ceo della Giessegi di Appignano, parla di alcuni dei problemi che interessano le imprese
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Lo stabilimento della Giessegi ad Appignano

 

Un fatturato da 126 milioni di euro (nel 2018), 100.000 metri quadri di area produttiva, 580 lavoratori e una crescita costante negli anni. Sono questi alcuni numeri che caratterizzano la Giessegi spa di Appignano, una delle realtà industriali più significative nel settore arredamento in Italia e non solo. Da oltre 30 anni alla guida dell’azienda c’è il ceo Gabriele Miccini, che è stato capace di trasformare una realtà di provincia in un competitor internazionale. Ma anche per un colosso quotato in borsa, le condizioni per investire in Italia sono diventate sempre meno attraenti. Figurarsi per i più “piccoli”.

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Il ceo Gabriele Miccini

«La nostra è un’azienda sana e solida e va avanti – spiega Miccini – ma non è così per tutti e molti finiscono per ritrovarsi fuori mercato. Questo non fa che rispecchiare l’andamento dell’Italia, segnata da una crescita vicina allo zero. Ma al di là dei problemi cronici del nostro Paese, penso per esempio alla tassazione eccessiva e all’elevato costo del lavoro, vorrei concentrarmi su due fattori su cui bisognerebbe intervenire: l’Iva sulle perdite e l’Imu sui capannoni». Per quanto riguarda il primo punto, Miccini ritiene sia un meccanismo assurdo. «E’ inconcepibile – aggiunge – che si paghi l’Iva sulla vendite entro i 15 giorni successivi, perché se poi l’acquirente fallisce è un costo che non si recupera più. Tanto per fare un esempio, noi dobbiamo ancora recuperare 800mila euro dal primo fallimento del Mercatone Uno nel 2013. E in totale dal 1997 ad oggi ne dobbiamo recuperare 2,5 milioni. Il punto è che solo quando si chiude definitivamente un fallimento è possibile rientrare delle somme e nello stesso tempo i fornitori sono sempre gli ultimi ad essere pagati. Quindi spesso a noi, a procedura completata, non rimane proprio niente». L’altra questione riguarda quindi l’Imu sui capannoni, che per la Giessegi fanno circa 300mila euro l’anno. «Qui il problema – continua il ceo dell’azienda – è che solo il 20% si può conteggiare tra i costi, sul resto bisogna anche pagare le tasse e questo a prescindere che il capannone sia attivo o meno. E’ chiaro quindi che di questi tempi in Italia è davvero difficile rientrare di un investimento per un capannone e di conseguenza se un imprenditore non ha la certezza di un ritorno economico, invece di investire per produrre ricchezza e lavoro, sceglie di investire in strumenti finanziari. Ecco su questo vorrei riflettessero i nostri politici».

(redazione CM)



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