di Mario Monachesi
Quanti di noi, di una certa età, da ragazzi si sono sentiti dire da mamme e nonne: “vamme a rcoje ‘na rampatella (mazzetto) de finocchju servaticu, che stasera cucino le cucciole”. E noi ubbidienti e contenti “de magnà’ un piattu gustusu, dittu anche la carne de li puritti”, ci avviavamo con allegria e spensieratezza “otra pe’ li greppi de le strade”. Certamente le strette e magari polverose vie di comunicazione di allora non subivano tutto l’inquinamento automobilistico di oggi.
“Co’ lu finocchju servaticu”, in campagna, ” otre a le cucciole de tera, quanno lu venerdì passava lu pesciarolu, che orda ce se facia anche li cucciulitti de mare. Le vergare lo usava inoltre pe’ la fava in porchetta, pe’ lu cunellu in porchetta, per l’agnellu in porchetta e l’ommini pe’ la porchetta vera e propria de porcu”. Anche “pe’ lu prisuttu interu in porchetta”.
A tempo di olive, “ce se preparava l’acqua pe’ la salamoia” (acqua, sale e tronchetti di finocchio selvatico, bolliti) per mantenerne gli acini nei barattoli di vetro.
In alcune zone del maceratese, c’era chi lo aggiungeva nei carciofi in pentola e nella preparazione della “jia strinata”. Soprattutto era parte importante di un piatto di profonda tradizione locale: “Li zampitti” di maiale in porchetta alla maceratese. Era una pietanza da leccarsi i baffi. La ricetta per 4 “zampitti” vede “ducento grammi de pummidori (pelati), ‘na costa de selliru, menza cipolla, du’ aji, du’ ramitti de magghjorana, cento grammi de finocchju servaticu, menzu vecchjé’ d’ojo de jia (meglio se del “Piantone di Mogliano”), un vecchjé’ d’acqua”, sale e pepe. Pulire bene “li zampitti de porcu” e lessarli in acqua leggermente salata per un’ora. Una volta lessati, tagliarli in 4 / 5 pezzi. In un tegame capiente versare versare l’olio e far rosolare il sedano, cipolla, aglio e la maggiorana, tutto tritato finemente. Far cuocere un po’ ed unirvi il finocchietto selvatico tritato. Appena il soffritto è pronto, aggiungere i pomodori e far cuocere per un quarto d’ora. Porre quindi gli zampetti nel tegame, aggiustare di sale, versare un po’ d’acqua e cuocere per una mezz’ora ancora a tegame coperto. Una volta pronti, servire ben caldi con a portata di mano dell’abbondante pane fresco, per una degna scarpetta. Ps: “A li zampitti” vi si possono aggiungere “le ‘recchje e lu musittu de lu porcu”,
Il finocchio selvatico (Foeniculum vulgare), detto anche “finocchina” o “finocchietto”, è una pianta aromatica, rustica, che cresce a cespugli in modo spontaneo e perenne. Molto comune dalle nostre parti. Possiede foglie che ricordano il fieno (da cui il nome “Foeniculum”) di colore verde e produce in estate ombrelle di piccoli fiori gialli.
È pianta tipica mediterranea, in greco antico veniva chiamata “marathon” come la regione dell’Attica dove cresceva in maniera diffusa. Non ė molto noto il fatto che essa condivide parte della sua storia con la disciplina olimpica della maratona. Secondo un’antica leggenda greca, infatti, il soldato ateniese Filippide attraversò correndo, un campo di “marathon”, lungo ben 42 km, per annunciare ai suoi concittadini la vittoria sugli spartani. Ancora oggi la matatona olimpica ha una lunghezza pari a 42 km.
Il finocchio selvatico era già presente nel mito di Prometeo, si tramanda infatti che l’Eroe dell’Olimpo, sede degli Dei, abbia portato agli uomini il dono più prezioso, il fuoco, nascosto nel fusto cavo del finocchio.
Le prime informazioni su questa pianta risalgono alla civiltà assiro-babilonese, dove veniva già utilizzata per alleviare il mal di stomaco e solo più tardi se ne scoprì anche le proprietà diuretiche. Gli Egizi l’avevano tanto in considerazione, da inserirla spesso nelle scritture dei loro papiri. Ippocrate, uno dei primi medici, la prescriveva nel trattamento delle coliche infantili. Gli atleti greci ne mangiavano i semi per conservare peso e forma fisica. Nel mondo Romano il “foeniculum vulgare” (finocchio selvatico), era parte integrante della dieta alimentare, sia dei legionari che dei gladiatori. Plinio il vecchio nella sua Historia Naturalis ne esaltava le numerose proprietà, capaci di curare ben 22 malattie. I semi hanno proprietà digestive, depurative e antispasmodiche. Curano i crampi addominali, il meteorismo, le dispepsie, le coliche gassose sia degli adulti che dei bambini. Hanno effetti benefici anche sulle secrezioni catarrali. Essiccati emanano profumo intenso e sono perfetti per aromatizzare salumi, formaggi, pane e dolci. Le foglie consumate cotte o crude agiscono sull’apparato gastrointestinale. Esse hanno sapore di anice e oltre ad insaporire i cibi, alcuni le utilizzano anche per arricchire le insalate.
Una curiosità, il detto “farsi infinocchiare” (farsi fregare) deriva dalla consuetudine che in un tempo passato avevano gli osti disonesti. Quella di far assaggiare un piatto di finocchio selvatico agli avventori, prima di servire loro vino scadente. Il finocchio selvatico, infatti, consumato crudo, altera le papille gustative facendo sembrare buono anche il vino più scarso. Attenti quindi agli antipasti a base di questa pianta, “non ve faciate ‘nfinocchjà'”.
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Lu fenicchiu sarvaticu. No? 🙂