Il post Micam di Confindustria: da sinistra Roby Spernanzoni, Enrico Ciccola, Salina Ferretti, Gabriele Micozzi, Carlo Cipriani e Michele Luconi
di Laura Boccanera (foto Federico De Marco)
Non c’è ancora l’inversione di tendenza che ci si aspetta da anni, ma il Made in Italy del comparto calzaturiero Fermano-Maceratese continua ad essere apprezzato da buyers e mercato.
Alla chiusura del Micam l’umore degli imprenditori calzaturieri non è al massimo, ma c’è la soddisfazione per il riconoscimento sui prodotti. Al Cosmopolitan di Civitanova, di ritorno da Milano gli operatori del settore di Confindustria stilano un bilancio della fiera più importante del settore e delle prossime novità, prima fra tutte il tentativo di rilancio creando un marchio di riconoscibilità e promozione, la Shoes Valley. Di questo, ma anche di politiche nazionali ed europee si è parlato questa mattina. Presenti Salina Ferretti, presidente della sezione calzature di Confindustria Macerata e vice presidente Assocalzaturifici, Enrico Ciccola presidente della sezione calzature Confindustria Centro Adriatico, Roby Spernanzoni imprenditore, Francesco Carpineti e Michele Luconi del calzaturificio Dis e Gabriele Micozzi curatore dello spin off Live dell’Università Politecnica delle Marche. «Il momento è ancora molto turbolento – ha affermato la presidente Ferretti – il Micam si è mostrato in linea con le edizioni precedenti, ci sono state 43mila visite. Eravamo molto preoccupati perché quest’anno il retail ha avuto un inverno difficile, con poco freddo e varie difficoltà che hanno contratto le vendite quindi tutto sommato siamo contenti per le conferme. Vero è che le aziende marchigiane si sono presentate alla grande, i clienti ci riconoscono innovazione e un campionario importante».
Una situazione comunque da monitorare, soprattutto per le esportazioni (critico il mercato russo e quello interno) e per l’occupazione. «Permane lo stato di crisi – aggiunge Ciccola – si sono persi due terzi degli occupati e molte aziende hanno chiuso, è una perdita di know how». E’ proprio per arginare e in qualche modo tentare di rendere maggiormente competitive le piccole e medie imprese che Confindustria, in collaborazione con l’università ha il progetto di creare un brand unico sotto il quale racchiudere e raccontare il mondo della calzatura. Non solo il prodotto, ma anche quel know how di competenze che si stanno perdendo e che fanno la ricchezza di un territorio, la Shoes Valley appunto. Lo spiega il docente di marketing Gabriele Micozzi che ha curato gli step progettuali dell’idea. «Abbiamo fatto uno studio ed è emerso che molti dei brand più importanti che rimandano all’Italia nell’immaginario collettivo sono consorzi. E’ il caso del Parmigiano Reggiano, del Chianti. Creare un brand – ha sottolineato Micozzi – che riunisca tutti i produttori locali significa rafforzare tutti. Occorre non essere primi di una squadra che perde, ma secondi o terzi di una squadra che vince. Non c’è più tempo e va fatto un salto strategico». Il progetto prevederà la creazione di un logo, di un brand e attività di turismo industriale, promozione e una sceneggiatura del racconto dello Shoes Valley, oltre che attività di incoming di buyers e designer. Questa dovrà diventare per tutti il cuore della progettualità e della produzione di calzature, riconoscibile in tutto il mondo».
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“Shoes valley”…ma parla come magni! La zona delle scarpe, questo era e questo è.
E no, sennò! hai voglia tu… a mettere pollici versi: mi fate un baffo! finché non si è entrati nel mercato globale, nell’euro e l’Europa, la nostra regione Marche era a capo della manifattura calzaturiera insieme alla Lombardia al Micam. Ne so qualcosa personalmente io, che nel 1982, da dipendente di un’industria locale calzaturiera, portammo a casa ben circa 1 milione di commesse in 3 giorni. 1 milione di allora: capito?
Pardon: non un milione, ma 1 miliardo di allora, per un’impresa con 3 dipendenti in tutto e che perlopiù faceva export.
Ma i tempi non sono quelli degli anni 80′.non voglio ripetermi per le cause catastrofiche cui siamo giunti,ma uno dei tanti motivi,è che anche altri paesi hanno cominciato a produrre calzature a basso costo.