di Maurizio Verdenelli
Do you remember ‘Briscoletta’? “Un nome, una marca, una garanzia” diceva di sé, lui sorridendo e riecheggiando il ‘grido di guerra’ commerciale dell’amico fraterno Cesarino ‘Il Toscano’, il più formidabile venditore che i mercati ambulanti della provincia maceratese avessero mai conosciuto dal dopoguerra agli anni del boom. In realtà si chiamava Pietro Baldoni e fulminava ogni volta l’incauto che l’avesse appellato ‘signor Briscoletta’ ammonendo che egli era ‘Baldoni del Messaggero’: ‘era questo il massimo del suo sussiego’ ricordava Sandro Stacchietti che l’aveva un po’ preso a modello di vita personale.
Il capo fiero, perché non si può finire in bellezza con le amarezze che l’età avanzata ti riserva, Pietro il Grande alias lo ‘zar delle Casette’ (così definito da Luciano Magnalbò in un memorabile articolo pubblicato dal ‘Carlino’) se ne andò la ‘notte delle streghe’ a Villa Potenza, all’alba del 30 ottobre di 20 anni fa, travolto alle spalle da una potente auto tedesca –la cui marca era negli ultimi giorni suoi oggetto di strali dapprima misteriosi poi quanto mai preveggenti. Stava chiudendo a chiave l’auto che il fedele cane Brio aveva imparato ad aprire per seguirlo anche nel baretto dove lui faceva sosta per il caffè prima della battuta di caccia. Era un sabato, andava a San Lorenzo di Treia, nel bel casotto da appostamento ereditato qualche mese prima dall’amico Fedro. L’avrebbe aperto per un altro amico, ‘Ginetto’ che quando sopraggiunse sul luogo dell’incidente tirò dritto ignorando che sotto quel lenzuolo giacesse Pietro. Storie intrise di amicizia, sentimento che per lui era superiore all’amore stesso. Cesarino se n’era andato quasi un quarto di secolo prima con la promessa estrema che si sarebbero rivisti un giorno. Una settimana prima che venisse ucciso dall’auto (il conducente non si fermò, tornando indietro solo dopo) Briscoletta aveva iniziato a sognare tutte le notti Il Toscano: non era mai successo prima. All’amico Ferretti confidò in quei giorni: “Tutti abbiamo un destino, Pino” avendo forse chiaro il destino incombente. Con Cesarino, nei suoi sogni era entrato anche e sopratutto il fratello eroe, il sottufficiale di Marina, medaglia di croce al valore, Manlio Baldoni, imbarcato sul sottomarino Scirè, terrore della guerra dei mari, ‘tradito’ dal codice Enigma ormai a conoscenza degli alleati. Che tesero un’imboscata agli eroici marinai italiani all’imbocco del porto canale di Haifa.
Stadio dei Pini, 4 giugno 1957. Pietro Baldoni con l’amico Tullio Moneta con la divisa della banda in cui suonava il trombone. Il primo a sinistra è Marco Machella, atleta specialista di 200 e 400 metri
Furono trucidati tutti senza pietà, inseguiti fin sul spiaggia: erano oltre 40. Un equipaggio cui non fu perdonato l’eroismo nonostante la generosità usata verso gli equipaggi delle navi che nel Mediterraneo siluravano. Pietro quando morì, era ancora all’oscuro delle modalità della crudele fine di Manlio. Tuttavia aveva ferme nel cuore le ultime parole del fratello, nella sua ultima licenza: “Non tornerò più, Mussolini ci ha mandato a fare una guerra senza speranza. Pensa tu ai nostri genitori”. E dunque si indignò molto, per mesi e mesi, quando il Tg3 Marche disdegnò un semplice servizio video all’inaugurazione del monumento ai marinai a S.Croce. Ricordo ancora le sue parole di fuoco all’allora direttore generale della Rai, incrociato a Fabriano, per la visita di San Giovanni Paolo II da me forse improvvidamente indicato. Era del mestiere, eccome! Pietro Baldoni fotoreporter principe ‘del Messaggero’.
Briscoletta è il primo a destra, al centro sono io. Fulvi mi sta accanto. In primo piano Giancarlo Pantanettti, poi Giuseppe Pioli e (pure!) Guido Garufi
All’inizio aveva lavorato con il ‘Carlino’ di Giancarlo Liuti e la sua tecnica era smisurata. Riusciva a fotografare di notte senza flash, per evitare sequestri di rullino. E non sbagliava in genere un colpo. Si racconta che con appena dieci scatti disponibili, riuscì a fotografare le due formazioni e a fissare nella pellicola tutti i gol di una memorabile Maceratese-Torres finita 5-3! Era inoltre l’anima della squadra, anzi ‘il secondo allenatore in campo’. La sua voce baritonale spingeva ‘i ragazzi’ ad andare sempre avanti. Racconta Giancarlo Nascimbeni: “Temevano più lui che il presidente. Una volta il nostro capitano protestò chiaramente a torto con l’arbitro per un rigore ‘solare’ fischiatoci contro: era stato Pietro a chiedere quel diversivo per avere il tempo di raggiungere la porta avversaria”. E diceva Pino Ferretti ‘Il tarantino’: “Ed io facevo la stessa cosa, quando dovevo parare un penalty. Sentivo la voce dell’amico che urlava: ‘Ferro! Ferro! correndo a perdifiato verso la mia rete. Palleggiando lo aspettavo: così fui pure una volta squalificato”.
Il suo cuore era allo stadio. Giovanni Pagliari, sedicenne gli disse: “Briscolè, non sciupare la pellicola per me….E lui invece: ti vedo veloce, scattante. Farai strada”. Amatissimo da Dino, fratello di Giovannino. Venti anni fa, il maggiore dei fratelli Pagliari allenava la Maceratese che vinse, il giorno dopo l’incidente mortale a Villa Potenza, con il Sassuolo (3-0). Negli spogliatoi, commosso, Dino dedicò il successo all‘amico Briscoletta’. E Maurizio Mosca: “Nel 1960 ero raccattapalle titolare della Maceratese. Ricordo quell’uomo che mi ordinava di non dare fastidio e nelle domeniche più fredde, paterno mi diceva: ‘o coccu ma chi te lo fa fare?”. E nel 1996, da presidente soffrivo: c’era la promozione in ballo e sempre lui, Pietro che mi apostrofava alla stessa maniera: ‘o coccu ma chi te lo fa fare?”.
Tanti poeti hanno scritto dell’epopea di ‘Briscoletta and Friends’ (il titolo è quello di un libro ormai introvabile, edito da Pierino Bellesi, a cura di Libero Paci, che gli dedicò i suoi ultimi racconti, Maurizio Lombardi e del sottoscritto). Tra questi l’indimenticabile Egidio Mariotti, Cesare ‘Cisirì’ Angeletti, , Marco Spaccesi, Mario Monachesi e Guido Garufi: “Ci vorrebbe un lampo un fulmine una saetta/veloce rapida improvvisa/o il tuo occhio magico/brillante/ che la vecchiaia tua e della tua città/ non offusca non cela non nasconde/ ma riverbera di vita di gioia antica….
Quando morì il consiglio comunale (sindaco Anna Menghi) deliberò di dedicare a lui e tutti i fotoreporters maceratesi un angolo della città: promesse da marinaio. Tuttavia in suo ricordo, al cine teatro Italia, andò in scena un partecipato evento -nel libretto di sala tra i presentatori anche un ‘certo’ Neri Marcorè. Aprì Giorgio Pagnanelli, il clou? il ritorno sul palcoscenico di Ugo Giannangeli in una riedizione memorabile de ‘Le Litanie’ di Affede.
Trovare una foto di Briscoletta fu piuttosto arduo: non amava farsi ritrarre lui che pioniere dei selfie girava con una micro macchina, a mò di pistola che estraeva puntualmente per fotografare i maceratesi che conosceva praticamente tutti. Una galleria impressionante di ritratti. Ma lui, no. Permise di essere fissato dall’obiettivo solo in pochissime occasione da contare su una mano per di più monca. Con Carlo ‘Mattu’ Perugini, inseparabile amico; con i compagni dell’Istituto Salesiani intorno a don Ennio Pastorboni (l’immagine di Pietro è quella di uno dei ragazzi di don Bosco ‘pitturati’ nella lunetta della chiesa dell’Istituto), con Silvio Spaccesi e il grande Josè Carreras: la lirica era un’altra delle sue passioni. Al ricchissimo amico Colonna (ex allievo salesiano) che voleva pagargli ogni volta che tornava da Milano la tazzina alla Romcaffè, si opponeva dicendo: “Momo, i tuoi miliardi usali per farti gli impacchi!”. E giù grandi risate. Ad Enrico Mattei -sua icona con Beniamino Gigli: le foto con i lumini accesi erano sul comò di casa- che inaugurava il Motelagip e che lo invitava a lavorare al ‘Giorno’ di Milano, rispose: “Ingegnere, ho mamma a Macerata ed ho promesso a mio fratello di non lasciarla mai più”. Quando la bara uscì dalla chiesa delle Casette, il suo quartiere, Ivano Tacconi – che la portava in spalla- mi disse: “Con Pietro se ne va per sempre la cara, vecchia Macerata”. Pensavo ad un esagerazione del momento, poi ho compreso sopratutto in questi ultimi anni che aveva visto lontano.
RICORDO
Chi per salire scende?/Pietro per raggiungere le stelle/e nonno Glenn di questi giorni/è sceso a Villa Potenza/con un fucile/per sparare battute ai passeri/e colpi anche se teneri/ai manichini assurdi./Poi è sceso ancora/anche dalle ruote/quelle disegnate a matita:/l’alba con le labbra del caffè/invocava il suo bacio a lampi onesti/e un ulteriore colore./Due passi e sarebbe stata/un’altra carezza prima di partire/un altro giorno/un’altra margherita,/ma il Discovery del centro della strada/non ha avuto pazienza/cattivo preciso ha urlato/Pietro andiamo./E Pietro/staccandosi con coraggio da Brio/e salutando la terra/con il nome ‘Briscoletta’/scritto in rosso sulla rampa/è sparito dietro/il primo lenzuolo bianco del paradiso.
Mario Monachesi (1.11.1998)
Grande Pietro, il mio ricordo è immutato ed immutata la commozione. Incrociandomi per il centro storico mi chiamavi "Chesimó", come mi definì un giorno Sante Monachesi (quel Chesimò alias Mario Monachesi musicista futurista maceratese). Un grande abbraccio ti raggiunga lassù. Un grande grazie anche a Maurizio Verdenelli. Anche a Maurizio io debbo tanto.
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Complimenti Sig. Verdenelli, un ricordo bellissimo e commovente. Si potrebbe organizzare per questi personaggi maceratesi, ne cito alcuni: Lu toscanu, Fruscì, lu Ricciu, Cecalò e tanti altri una mostra fotografica con aneddoti di una Macerata che non c’è più.
come diceva il grande poeta libanese: finitu è lu tempu de li briscoletta, mo vene lu tempu de li scopettì…
Da Nicola Colonna, riceviamo:
Leggendo il bell’articolo del giornalista Verdenelli “Do You Remember Briscoletta?” pubblicato su Cronache Maceratesi, sono ritornato ai ricordi di quando, giovane studente a Milano, mio padre Girolamo Colonna mi raccontava con nostalgia della sia vita da studente ai Salesiani a Macerata. Fra i tanti nomi dei suoi amici Maceratesi mi colpiva in modo particolare la figura di un certo “Briscoletta”.
Sarà stato per il soprannome ma forse ancor di più per il fatto che fosse fotografo (ho sempre avuto una passione sfrenata per la fotografia) per me il signor Briscoletta è sempre stato una figura mitica.
Devo dire che purtroppo non l’ho mai conosciuto personalmente.
Mio padre ha sempre vissuto per lavoro a Milano con la sua famiglia viaggiando per il mondo ed esportando i suoi impianti industriali che progettava e realizzava, ma ha sempre ritagliato una parte del suo tempo per venire a Macerata, orgoglioso e memore delle sue origini e dei suoi amici Maceratesi.
Riprendendo la sagace battuta di Briscoletta “Momo – così era chiamato dagli amici mio padre – i tuoi miliardi usali per farti gli impacchi”, orbene quando Momo smise di girare il mondo per lavoro decise di ritornare con la famiglia a Macerata dove si progettò e costruì la villa per trascorrere serenamente l’ultima parte della sua vita.
Venni pure io a vivere a Macerata dove lavoro e i miliardi ora divenuti milioni alla sua morte, d’accordo con mia madre, invece degli “impacchi” li abbiamo messi a disposizione dei Maceratesi bisognosi creando la FONDAZIONE GIROLAMO COLONNA, una Fondazione con riconoscimento Prefettizio, piccola, a carattere provinciale ma con una particolarità: i progetti in aiuto a chi ne ha bisogno sono finanziati solo ed esclusivamente con i famosi “impacchi” cui il mitico “Briscoletta” si riferiva prendendo un caffè con il suo amico Momo.
Ringrazio il dottor Colonna per lo splendido, prezioso ricordo e naturalmente mi scuso per non aver (doverosamente) citato la Fondazione Girolamo Colonna che ha sede in corso Cavour 71 a due passi dalla casa natale di Tucci, un altro grande maceratese che nell’Est del mondo ebbe modo di far rifulgere il proprio talento. In Pietro i maceratesi che avevano ‘intelligenza dello spirito della città’ e tutti coloro che, pur non maceratesi, si riconoscevano in quello, ne intravvedevano in Pietro un riverbero importante. Lo videro il prof. Menghini e il cardinal Tonini, il quale ‘freschissimo’ vescovo appena giunto in piazza per la cerimonia di accoglienza ‘ubbidì’ davanti a migliaia di fedeli alla richiesta del fotografo del Messaggero: “Monsignore, per cortesia rientri in auto e rifaccia la …scena: sono arrivato in ritardo, mi si è rotta la ‘500’ sulla salita di Piediripa”. Ed ora mi chiedo: cosa è rimasto di quello spirito maceratese (in alcuni casi si trattò di genio) che il mondo intero ha ammirato?