Emanuele Tondi in un momento dell’incontro
Ad oggi nel cratere sismico sono state riparate soltanto lo 0,5 per cento delle case private inagibili e nella zona montana, negli ultimi due anni se ne sono andati circa tremila abitanti, è come se si fosse spopolato l’intero comune di Sarnano. Sono alcuni dei numeri preoccupanti emersi questa mattina durante l’incontro all’università di Camerino, nel dipartimento di Geologia, organizzato da Terre in moto, nell’ambito della serie di eventi per i primi due anni dalle scosse dell’ottobre 2016: “Due, non arrendersi ai governi e agli anni che passano”. A colloquio, moderati dai componenti di Terre in moto ed accolti da Emanuele Tondi, il ricercatore di sociologia dell’università di Urbino Nico Bazzoli, il coordinatore degli ambiti sociali di Camerino, San Ginesio e San Severino Valerio Valeriani ed il giornalista del Corriere della Sera Mario Sensini, curatore del blog Sibilla on line. Bazzoli ha descritto già come fragili, piccoli e frammentati prima del sisma i centri del cratere, dove predominano i piccoli comuni sotto tremila abitanti, dove mancava già il ricambio generazione e si perdevano in media 150 abitanti, con un percentuale di calo della popolazione dello 0,8 per cento, negli ultimi quattro anni prima del sisma. Le scosse hanno accentuato lo spopolamento, facendolo salire ad una percentuale del 3,4 per cento. I numeri dell’Istat agli occhi del ricercatore segnalano una forte mobilità verso la costa, destinata ad accentuarsi con il passare del tempo. «Chi alloggia lungo la costa ancora mantiene la speranza di tornare – ha detto Bazzoli – le anagrafi comunali sono aggiornate ogni sei o sette anni circa, spesso vi è il timore di dichiarare meno popolazione, per la paura che vengano cancellati i servizi, il vero problema è il modello di sviluppo, per mantenere la tenuta socio-economica e la coesione sociale di queste zone, serve una visione prospettica, per promuovere un piano di sviluppo territoriale». Il ricercatore che sta ancora completando lo studio e renderà noti ulteriori dati nei prossimi mesi, ha portato ad esempio Camerino, che è il comune con la più alta percentuale di residenti che percepiscono il contributo di autonoma sistemazione, pari al 60 per cento, che manca di abitazioni sufficienti per ospitare gli sfollati, che poi si trasferiscono altrove e a volte vi prendono la residenza. «La popolazione delle zone colpite dal sisma, vive in una sorta di limbo – ha spiegato Valeriani – i fattori che hanno generato il malessere sono tuttora presenti, non è solo la paura del terremoto, dopo il sisma si rischia la selezione darwiniana, con i giovani che se ne vanno, lo spostamento della capacità economica che in futuro creerà problemi. Abbiamo analizzato insieme a Massimo Mari dell’Asur, i dati Istat, ma servirebbe uno studio scientifico, con la collaborazione delle università, il terremoto non è per tutti uguale, in termini di impatto sulla comunità. Nei tre ambiti sociali che coordino, quello di Camerino ha avuto il 70 per cento circa dei residenti che hanno perso la casa, quelli di San Severino e San Ginesio tra il 16 ed il 17 per cento. Negli ultimi anni è cresciuta la mortalità, si sono persi 2 mila e 500 residenti su circa 80mila persone ricomprese nei tre ambiti, sono scesi del 12 per cento gli immigrati residenti». Valeriani ha sottolineato anche l’aumento del disagio sociale, per le strutture il carico di lavoro ha fatto registrare un aumento del 30 per cento degli utenti, a fronte di un calo di risorse del 30 per cento, dovuto al calo di utenti, condizionato dallo spopolamento. «Questo rientro di chi vive altrove è il ritorno in un luogo che non esiste più, come ha detto Umberto Curi, siamo passati dalla polis greca, dove prevale il senso di appartenenza, alla civitas romana dove si sta insieme per finalità precise – ha proseguito Valeriani –, queste comunità non le ricostruiscono Renzi, Gentiloni o Di Maio, ma deve contribuire a farlo chi ci vive, serve passare dalla propaganda alla programmazione, con case sicure, predisposizione di servizi, creare occasioni di lavoro. Le persone devono essere coinvolte, a mio parere non siamo in ritardo tanto nella ricostruzione, quanto drammaticamente nella visione del futuro che vogliamo per queste terre. Serve un piano strategico partecipato che dica cosa vogliamo in questi territori, da qui ai prossimi vent’anni, sinora manca una regia forte».
Il giornalista Mario Sensini, originario di Fiastra, ha snocciolato una serie di dati che tracciano il quadro della distruzione nell’intero cratere sismico: su 220mila sopralluoghi totale, sono circa 77mila le abitazioni inagibili, di cui la maggior parte con danni gravi, sinora sono 7 mila i progetti presentati, pari al dieci per cento degli edifici da riparare. Sono 700 i cantieri aperti, pari all’un per cento delle case inagibili, di cui solo lo 0,5 per cento sono state riparate. Per la ricostruzione delle case private ci sono disponibili 13 miliardi di euro presso la Cassa depositi e prestiti, ne sono stati impegnati soltanto 296 milioni di euro. Sensini ha ricordato che il 31 ottobre scade il termine per la presentazione delle domande per abitazioni con danni pesanti: «Le istituzioni si sono dimenticate questa scadenza, è già accaduto, le domande per danni lievi B sono state prorogate al giugno 2019. Si è arrivati tardi a pensare cosa serva, dal sisma non sono state colte le lezioni che servono. La ricostruzione segue una navigazione a vista, senza una rotta, si affrontano gli scogli man mano che si presentano, senza una strategia. Visto che mancano ancora il 90 per cento delle domande, si andrà verso una proroga, questa confusione nella gestione, crea un forte impatto sulla vita delle persone».
Sensini ha anche ricordato che al 31 dicembre prossimo, scadono anche i mille dipendenti degli uffici ricostruzione e degli uffici sisma dei comuni, che il commissario è stato prorogato sino al 2020, «per consentire gradualmente il passaggio delle funzioni in capo alle Regioni», ma che contemporaneamente sono stati esautorati i presidenti di Regione. Prima le ordinanze del commissario erano emanate d’intesa con i governatori regionali, adesso basta solamente che siano informati, operazione di semplificazione per la maggioranza di governo. «Questa impostazione della ricostruzione, che finanzia allo stesso modo prime e seconde case è rivoluzionaria – ha spiegato il giornalista – ma questa normativa che vale per tutti, diventa un problema per tutti. Si sente in queste zone la mancanza del terzo settore, delle associazioni di volontariato, non riusciamo ad essere rappresentativi di noi stessi, non parliamo con una voce abbastanza forte per essere ascoltata. Bisogna far valere i nostri diritti e cercare di ricostruire il tessuto sociale». Dai componenti di Terre in moto, che tra loro si chiamano soltanto per nome, per evitare qualsiasi personalizzazione, è nata la denuncia del rischio che un Appennino spopolato possa diventare una terra di conquista, con modelli di sviluppo imposti dall’alto, da parte di enti e fondazioni, privati, che stanno proponendo studi sulle zone terremotate, a cui propongono le loro soluzioni, non sempre idonee ad un territorio come quello montano. Gli attivisti hanno denunciato la mancanza di strutture di intermediazione di area vasta, funzione un tempo svolta dalla Provincia, l’accentuarsi del campanilismo, con i sindaci più intraprendenti capaci di attrarre investimenti, donazioni e risorse, rispetto ad altri meno attivi. «Si è parlato di tribù dell’Appennino – hanno detto alcuni componenti di Terre in moto – termine di rimando coloniale, che presuppone uno sviluppo imposto dall’alto. Più un territorio diviene debole, più diventa appetibile dal punto di vista dei fattori produttivi, che sono il capitale ed il lavoro, sulle montagne c’è molta terra, che se spopolata fa gola, c’è chi ad esempio ha proposto la coltivazione del nocciolo, impattante sul territorio e funzionale alla propria produzione».
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Sempre chiacchiere, belle se volete, ma sempre chiacchiere senza azione.
Sempre chiacchiere, chiacchiere senza azione.
Finché c’è il santo cas nulla si muoverà