«Se nel 2004 il numero dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, professionisti e partite Iva) a livello nazionale era di circa 6,2 milioni, nel 2017, dopo la crisi economica e finanziaria, si attesta a quota 5,4 milioni. Un esercito di piccole imprese – circa 800mila partite Iva – è stato quindi spazzato via. I dati provinciali degli ultimi 10 anni ci danno almeno due informazioni, ovvero che la crisi impatta violentemente sulla nostra economia provinciale con la scomparsa di 1.144 imprese (saldo tra iscritte e cancellate) e che stiamo assistendo ad un profondo cambiamento all’interno dei singoli settori che sta trasformando il nostro tessuto imprenditoriale». E’ questo il commento di Giorgio Menichelli, segretario provinciale Confartigianato Imprese Macerata, in merito ai dati sulle piccole imprese.
«Si ridimensiona profondamente il manifatturiero (-1.279 imprese) ed il settore edile (-577 imprese) che sembra comunque essere ripartito dal 2017 grazie alle attività post-sisma; crescono in modo impressionante gli “altri settori” (+ 1.758 imprese) ed il settore Alberghi e ristoranti (+495 imprese). Tale risultato non deriva soltanto dalla crisi economica che stiamo attraversando, ma è evidente a tutti che stiamo vivendo una periodo storico condizionato dalla globalizzazione e da alcune nefaste conseguenze che ne derivano, come ad esempio la concentrazione della ricchezza e quindi del potere economico e contrattuale in mano a pochi che va ad aumentare l’ampiezza delle disuguaglianze e disparità di opportunità – dice Menichelli – Tali disuguaglianze, a danno della piccola impresa, si traducono poi in evidenti ostacoli alla partecipazione e al protagonismo nei mercati, all’accesso al credito e ai fondi pubblici per gli investimenti, spesso messi a disposizione con criteri dimensionali o con la previsione di importi minimi all’accesso. Tutto ciò non può durare. Specialmente perché l’economia del nostro Paese e della nostra provincia, si regge prevalentemente sulle micro e piccole imprese – sottolinea il segretario provinciale – Il mercato, essendo luogo di incontri e di scambi, se funziona correttamente, può costituire un’occasione di mutuo vantaggio attraverso il quale realizzare qualcosa a beneficio di tutta la comunità. La delocalizzazione di gran parte della nostra manifattura e la conseguente individuazione della Cina, e non solo, come fabbrica del mondo, ha impattato in particolar modo sulle economie fortemente manifatturiere come la nostra.
Stiamo poi subendo le conseguenze di inefficaci scelte politiche in tema di riforme e sulla mancata individuazione di una politica industriale Nazionale, mai delineata nel lungo periodo – evidenzia Menichelli – Far ripartire il Paese in queste condizioni sarà decisamente complicato. Non dimentichiamo poi gli effetti della digitalizzazione che ha avviato processi di disintermediazione e di concentrazione del potere nel campo delle vendite on-line (che si aggiunge agli effetti della Gdo, outlet, ecc.), che ha impattato sulle attività tradizionali del commercio al dettaglio e all’ingrosso, la burocrazia che pesa sulla piccola impresa come un macigno e dalla quale non riesce a divincolarsi, i livelli di tassazione diretta ed indiretta. Se aggiungiamo inoltre che la gran parte del sistema bancario ha sempre meno interesse a finanziare la piccola impresa, specie per importi di valore limitato, ecco che la stessa si trova messa in un angolo da cui non riesce a uscire. Il piccolo imprenditore sta perdendo quella proiezione verso il futuro che era la sua arma migliore, sentendosi ora fuori contesto, stordito dallo sfavorevole cambiamento in atto che non riesce a comprendere e a gestire – conclude Menichelli – Il lavoro autonomo fino a dieci anni fa rappresentava uno dei più importanti ascensori sociali che elevava intere generazioni a ceto medio, ovvero la classe sociale che rappresenta l’indice di benessere di un Paese, purtroppo ormai in continua disgregazione. In conclusione, qualsiasi scelta che va a favore della piccola impresa, come ad esempio l’accesso al credito, la semplificazione burocratica, la minore tassazione, la facilità di accesso ai fondi pubblici, ecc., sarà una scelta a favore del benessere, capace di restituire fiducia agli attuali imprenditori e porre le basi per avviare quella trasformazione della nostra società, dalla mentalità del posto fisso a quella dell’intraprendenza, riconsegnando valore sociale ed economico allo status di imprenditore».
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Dott. Menichelli io aggiungerei che la piccola impresa, l’artigiano ecc.è stato negli anni del “bum” (fino al 2008/2010) un limone da spremere, si diceva che eravamo evasori ma in realtà eravamo quelli che pagavano realmente le tasse. Oggi fare l’artigiano è un’impresa nel vero senso della parola, se tutto ti va bene a malapena riesci a portare a casa lo stipendio di un dipendente, è di oggi su un quotidiano quanto tribolare vi è per aprire una partita IVA ma direi anche per cassare un’attività, cosa che nessuno dice mai. Purtroppo bisognerebbe fare anche molta autocritica perchè in quegli anni non si è riusciti a capire che il “troppo concedere”, sotto tutti i punti di vista, alla fine avrebbe “ucciso” le nostre imprese ed i nostri artigiani. Bisogna guardare sempre avanti, questo è certo, ma oggi i nostri giovani ed i nostri figli non sono certo propensi a tanti sacrifici come noi, ecco perchè vi è la “morte” delle nuove partite Iva dopo appena 5 anni. Credo che le Associazioni di categoria abbiano oggi l’obbligo ed il dovere di ascoltare e difendere chi ha veramente a cuore il destino della nostra Provincia, della nostra Regione e dell’Italia con un lavoro quotidiano onesto e serio che ogni artigiano fà dalla mattina presto fino a sera tardi per tirare avanti la “baracca”.Vero è che politicamente è”saltato tutto”, non vi sono più punti di riferimento però vero è anche che non si è più riusciti a “bloccare l’Italia” per farci sentire come avveniva negli “anni d’oro” degli Artigiani.
A me sembra che tutto dipenda dai profondi cambiamenti che si sono verificati nel mercato : con la globalizzazione,da una parte,e la crisi del mercato interno dovuta alla forte perdita del potere d’acquisto della massa dei lavoratori dipendenti e dei pensionati,dall’altra,gli spazi economici per le piccole attività autonome si sono ridotti a zero,ma i vari oneri sono rimasti inalterati.Solo in parte qualche possibilità di ripresa può venire da una ricomposizione della capacità d’acquisto della massa,che resta impresa molto,ma molto complicata,condizionata da una caterva di fattori.