Infinito di Leopardi:
«Una brutta figura»

IL COMMENTO - Parte da lontano la sentenza di assoluzione per i due imputati che avevano creduto di avere tra le mani un prezioso scritto del poeta

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Donatella Donati

 

di Donatella Donati

La sentenza del tribunale di Macerata che proscioglie da ogni volontà di far soldi su Leopardi con il presunto terzo Infinito conclude un evento cominciato alcuni anni fa, quando la coppia Luca Pernici e Luciano Innocenzi credeva di aver trovato un autografo originale del poeta tra vecchie carte acquistate da un signore maceratese. Lo misero nelle mani di illustri esperti leopardiani, come è detto nella sentenza e nella arringa dell’avvocato difensore. Potevano tanti illustri esperti a cui il fac-simile fu mostrato disconoscere la mano leopardiana? Poteva un giornale serio come il Sole 24 ore non dare spazio ad un articolo in cui si illustravano i come e i perché il grande poeta aveva avuto il bisogno di fare una terza copia di una delle liriche più famose al mondo? Poteva l’università di Macerata non organizzarci sopra un convegno e la Regione Marche non addolorarsi per non avere soldi per l’acquisto se si fosse trattato di un falso? Ebbene sì.

LeopardiInfinitoAutografiInnocenzi e Pernici furono del tutto rassicurati e non credettero ai sospetti del direttore del museo di Villa Colloredo Perticarini e della sottoscritta che il foglio rinvenuto fosse frutto di un calco proveniente da Recanati e da un abile falsificatore. Bastò la perizia disposta dal tribunale da parte di un perito, anzi una perita per dimostrare l’assoluta falsità del foglio. Io penso che per prima cosa ci sia stato un confronto tra i minuscoli schizzi di inchiostro invisibili ad occhio nudo presenti nell’originale e nella copia. La loro assoluta coincidenza svelò immediatamente la falsità di quel miracoloso ritrovamento. Alcuni degli esperti si erano preparati a giustificare perché mai Leopardi avesse avuto bisogno di questo terzo Infinito e se ne diede la ragione arrampicandosi proprio sugli specchi: voleva avere a disposizione un Infinito da modificare a suo piacere prima di arrivare alla redazione definitiva.

Ve lo immaginate il grande poeta così austero nella sua scrittura alla ricerca di supporti così meschini? Tutto è bene quel che finisce bene, ma gli illustri leopardisti che sono stati chiamati in causa come alibi più importante per gli accusati non ci fanno certo una bella figura. Mi oppongo ad ogni falsificazione della grande figura del poeta. Se vi capita oggi di andare a visitare il colle dell’Infinito nelle mani del Fai troverete una guida compita, un tale di età matura che si finge il poeta con una tuba in testa e una giubba bicolore che intramezza la recitazione di alcune poesie con la esortazione al gruppo di turisti di spostarsi da una parte, di scendere con calma, di fare attenzione ai gradini.  Povero colle che ai tempi di Leopardi era solo una collinetta e che solo molto dopo la sua morte fu trasformato in giardino con sopra il muraglione che sostiene il convento e altri piccoli edifici. Uno striscione grande, enorme fu dipinto in quel muraglione e la prima scritta che vi comparve fu “Sempre caro ti sia quest’ermo colle”, rivolta a Mussolini che nell’evento molto aspettato e mai avvenuto di una sua visita a Recanati avrebbe visto il saluto fin da lontano, salendo dalla valle. Non vorrei, che ora la gestione del Fai affondasse per sempre l’incanto del nudo colle.

Falso manoscritto dell’Infinito, assolti gli imputati: erano in buonafede



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