Palmer schiacciasassi alla batteria:
spettacolo irripetibile
allo Sferisterio FOTO

MACERATA - In un'arena poco affollata la leggenda inglese sbalordisce il pubblico con il repertorio della mitica band con cui insieme a Emerson e Lake ha scritto la storia del progressive rock. Quasi due ore di tecnica pura e estrema mai scaduta in mero virtuosismo. "Un onore suonare qui" dice l'artista con invidiabile vitalità. Ad aprire la chitarra del maceratese Nazzareno Zacconi
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Carl Palmer’s Elp Legacy allo Sferisterio

 

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Carl Palmer

di Marco Ribechi

(foto di Fabio Falcioni)

Se le batterie potessero parlare chiederebbero di essere suonate da Carl Palmer. Quello presentato ieri allo Sferisterio di Macerata dall’artista inglese non è stato un semplice concerto ma una vera e propria summa di quasi 50 anni di attività e la dimostrazione di una tecnica sopraffina difficilmente imitabile. Preciso come un metronomo, impetuoso come un esercito in marcia, resistente come un’incudine Palmer ha dato sfoggio di una vitalità invidiabile accompagnata da un evidente piacere nel suonare in pubblico, nonostante gli oltre 35 milioni di dischi venduti. Con una T-shirt decorata con dei fulmini, illuminato alle spalle dai riflettori il batterista, statuario nella sua impostazione, sembrava realmente capace di scatenare una tempesta facendo vibrare tamburi e piatti in un modo che difficilmente i presenti potranno ammirare di nuovo nella loro vita. Una leggenda portata a Macerata dalla Hab eventi, un appuntamento unico purtroppo poco capito dalla città e riservato a pochi presenti visto che l’arena appariva più mezza vuota che mezza piena, ma il valore di uno spettacolo non si misura solo sulla quantità di consensi che riscuote.

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Nazzareno Zacconi

La serata di Carl Palmer’s Elp Legacy si apre con un artista nostrano, il maceratese Nazzareno Zacconi, chitarrista tecnico e delicato che ha presentato il suo ultimo lavoro Inside my memories. Un’esibizione da solista che ha riscosso grandi appalusi e consensi in cui l’abilità di Zacconi è stata accompagnata dalle coreografie della Talent’s Dance Company di Lara Carelli. Un eccellente antipasto prima di gustare il piatto forte del menù. Entra Palmer con i suoi due musicisti e già dalle prime note (forse con un’amplificazione un po’ eccessiva) i dubbi degli appassionati d’annata vengono immediatamente spazzati via da una certezza: sì, la tastiera di Keith Emerson può essere agevolmente sostituita dalla chitarra. Un elogio doveroso infatti va subito al chitarrista Paul Bielatowicz e al bassista Simon Fitzpatrick che dal primo all’ultimo istante hanno dato prova di estrema capacità tecnica, versatilità e sintonia. Due geni di bravura scelti con cura da Palmer e non poteva essere altrimenti considerando che sono stati investiti di un compito tutt’altro che agevole.

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Palmer

Ma la star della serata è al centro del palco, seduto dietro una batteria che è qualcosa simile a un prolungamento del suo corpo. Il pubblico probabilmente si chiede cosa deve aspettarsi dal concerto. Forse una malinconica nostalgia del passato o un’esibizione di un artista a fine carriera, buona ma non più di eccellente livello? Invece quello che arriva è uno schiacciasassi sonoro, un treno in corsa a tutta velocità che non ha la minima intenzione di fermarsi, lo splendore di una ritmica generosa, sempre differente, altalenante tra accompagnamento e violenza pura. In altri termini la sintesi del progressive della band storica in una veste ancora più rock grazie alla presenza della chitarra a sostitutire le lunghe suite di Emerson. I successi del passato, quelli che valgono da soli il prezzo del disco e del biglietto ci sono tutti: Rodeo, Tank, Knife Edge, Trilogy, Abandon’s Bolero e Canario. Il sound è forte, coinvolgente, i passaggi di Palmer lasciano il pubblico senza parole. Poi un pezzo insolito, inaspettato definito dallo stesso batterista “un’anomalia”. Parte 21st century schizoid man dalla pietra miliare In the Court of the Crimson King dei King Crimson, gruppo con cui gli Elp e soprattutto Emerson, che all’epoca militava nei Nice, si contendevano il primato del progressive. Un tributo alla band che ha contribuito a gettare le basi del genere e a Greg Lake che ne era il bassista.

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Il batterista durante il concerto

Il pezzo successivo è proprio per i due compagni di viaggio, scomparsi entrambi nel 2016. E’ il brano più celebre degli Elp, Lucky man in cui l’assolo di moog è stato eccellentemente rimpiazzato dalla chitarra. Basso e chitarra per tutto il concerto si sono sostituiti alle “insostituibili” tastiere con una naturalezza da lasciare soddisfatto anche il più incallito purista. Palmer chiede un pensiero per i due musicisti con cui ha condiviso la vita e la gloria, è anche per loro che suona con passione. Proprio quando gli spettatori immaginano di essere giunti all’apice del concerto ecco che Palmer ne tira sempre fuori un’altra dal cilindro. E questa volta il coniglio è epico. E’ la versione integrale di Tarkus, pezzo leggendario di circa 20 minuti nella versione dell’omonimo disco, qualcuno in meno dal vivo, che lascia i presenti di stucco, incapaci quasi di appaludire perchè increduli di quello che hanno appena visto. Ma invece parte la standing ovation e Palmer ripete di nuovo “Lo Sferisterio è un luogo bellissimo, è un onore suonare qui”. Sarebbe il momento dei bis ma non serve chiederli, Palmer è carico, sprizza energia, vuole suonare. Per placare la sua smania esegue uno dei brani più intensi della storia della musica, sono i Carmina Burana che con percussioni, chitarra e basso elettrico diventano ancora più adrenalinici, anche perchè intervallati da altri inserimenti tra cui una parte della mitica Rondo dei Nice. Non si fa attendere l’assolo che, nello stile di Palmer, è qualcosa di assolutamente irripetibile: nove minuti di batteria allo stato puro in cui l’artista utilizza qualsiasi parte dello strumento per far vibrare le sue ritmiche. Impressionante. Lo spettacolo, di quasi due ore con pochissime interruzioni, si chiude con Fanfare for the common man, qualcuno dei presenti pensa a un bis ma tutti sanno che non si può chiedere di più a uno show dal vivo, l’apice è stato raggiunto, superarlo sarebbe disumano: Ite, missa est. Chi ha scelto di esserci è tornato a casa con un’esperienza nel cuore e uno spettacolo forse mai visto impresso negli occhi, per gli assenti invece resta la speranza che un giorno l’evento possa ripetersi.

 

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