La burocrazia non uccide,
ma intanto la gente muore

IL COMMENTO - La fine di Dell’Orso ha scosso gli animi di tutti. Da ogni parte si è levato un grido di dolore, ma anche di rabbia e di protesta. La sua domanda di delocalizzare il B&B perché non ha avuto risposta? Forse si temeva che l’iniziativa avrebbe riportato i turisti a Castelsantangelo? Se il Maceratese soffre Amatrice sta anche peggio. E Camerino dopo due anni è ancora zona rossa. Le ultime Sae arriveranno a luglio?

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Massimo Dell’Orso

 

di Ugo Bellesi

La morte di Massimo Dell’Orso ha scosso gli animi di tantissimi cittadini che hanno visto nel suo gesto estremo sia un atto di “ribellione” contro quanto gli stava capitando da oltre un anno e mezzo e sia anche una “capitolazione” di fronte alla valanga di leggi, ordinanze, regolamenti che si sono abbattuti contro di lui, come contro tanti altri che si trovano nella sua stessa situazione. Cosa gli era successo?
A mente fredda cerchiamo di esaminare tutta la triste vicenda. Era avvenuto che i due coniugi, a causa del terremoto che ha devastato Castelsantangelo sul Nera, avevano perduto l’abitazione e avevano visto distrutti i tre piccoli bed&breakfast che garantivano loro un giusto guadagno. Sfollati in un albergo della costa avevano chiesto di poter avere una Sae. Che è stata loro assegnata regolarmente. Nel frattempo però avevano presentato domanda per delocalizzare l’attività dei bed&breakfast in quanto dovevano pur riprendere la loro attività. Ma la cervellotica normativa in materia prevede che la semplice richiesta di delocalizzazione comporta non solo la perdita della Sae ma anche dell’alloggio nell’albergo della costa. A proprie spese hanno preso un appartamento in affitto ad Alba Adriatica.

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Castelsantangelo

«Ci è rimasto – spiega Stefania Servili, moglie di Massimo, che ora è sola ad affrontare una burocrazia sempre più agguerrita contro i deboli – soltanto il piccolo contributo del Centro faunistico dove lui lavorava». E infatti la coppia due o più volte la settimana raggiungeva Castelsantangelo proprio per accudire agli animali. Intanto la Sae che era stata loro assegnata è ancora vuota, a Castelsantangelo, chiusa e inutilizzata. Avevano chiesto di poterla utilizzare almeno fino a quando la risposta alla loro domanda per la delocalizzazione della propria attività non fosse arrivata. Ma questa soluzione non poteva essere accettata. Infatti a questa richiesta il commissario De Micheli, tramite la Regione, aveva fatto sapere che quella era la legge e non si poteva derogare. Quindi dura lex sed lex…Ma che legge è questa? Chi è il luminare del diritto che l’ha concepita? Si toglie un diritto acquisito (cioè la casetta già assegnata) soltanto per la colpa di aver presentato la domanda di delocalizzare la propria attività? Una domanda per la quale non si sa “se”, né con quali “vincoli”, né tanto meno “quando” avrà una risposta. Non sarebbe stato più logico che la normativa prevedesse che si dovevano perdere tutti i diritti non alla presentazione della domanda di delocalizzazione, ma al momento della sua accettazione? Infatti se la domanda viene respinta si aggiunge al danno anche la beffa. E la beffa c’è stata perché i coniugi Dell’Orso avevano già localizzato il terreno su cui realizzare un nuovo B&B. Si tratta di un’area di circa mille metri quadrati di proprietà della Curia di Camerino a Gualdo di Castelsantangelo. Ma la risposta alla loro domanda di delocalizzazione non è mai arrivata. Infatti presentando quella domanda avevano commesso un reato gravissimo: avevano proposto di riattivare la propria attività, di riportare il turismo a Castelsantangelo, di far rivivere una località ancora piana di macerie. A questo punto sarebbe utile conoscere il nome dell’impiegato o del funzionario che ha bloccato per mesi quella domanda. L’ha fatto in base a qualche circolare riservata o per sua specifica volontà? E’ bene saperlo in tempo, prima che altri terremotati siano indotti alla disperazione.

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Mauro Falcucci, sindaco di Castelsantangelo

Il sindaco di Castelsantangelo, Mauro Falcucci, spiega così il dramma di Massimo Dell’Orso: «Sicuramente i ritardi ed il dramma del terremoto sono stati una concausa di questo gesto, ma è errato dire che siano l’unica causa. Si tratta di un vuoto normativo che il commissario, Paola De Micheli, si era impegnato a correggere. Non dobbiamo dimenticare però che questo è il decimo suicidio dovuto al sisma. Il tempo influisce. Il sisma ha portato problemi di depressione, basta guardare l’aumento esponenziale del consumo di psicofarmaci». La moglie di Massimo Dell’Orso, Stefania Servili, affranta per il dolore, ha dichiarato: «Lui aveva perso la speranza, aveva perso la fiducia. Fossimo stati nella casetta questo non sarebbe successo. Ce lo devono avere sulla coscienza. Si è visto come vanno le cose lassù. Pare che non ci sia proprio la volontà di far ripartire il territorio distrutto!». La sorella di Massimo Dell’Orso, Loredana, è altrettanto categorica: «I miei genitori sono disperati, piangono sempre e continuano a ripetere che il governo gli ha ammazzato il figlio. Mio fratello è morto di dolore, logorato giorno dopo giorno, dall’immobilità e dall’inettitudine dello Stato nella gestione post terremoto. E’ morto di dolore per la mancanza di risposte da parte di chi era tenuto a darle. Basta con le passerelle dei governanti, qui c’è bisogno di risposte che non vengono date. Lui e la moglie avevano dovuto pure subire il trauma, l’ennesimo, ad aprile scorso, di lasciare l’albergo sulla costa dove si erano ricostruiti un mondo, con i loro amici. Cosa costava al Governo fargli utilizzare la Sae finchè non fosse arrivato l’ok per il B&B?».

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Sae a Castelsantangelo

Ma la morte di Dell’Osso ha scosso gli animi di tutti, sia dei terremotati, sia di quanti lo conoscevano perché era un grande amante della montagna, della natura e degli animali, sia di quanti hanno visto nella fine di Massimo un brutto segnale. Gli amici e i compaesani di Dell’Osso in un lungo messaggio hanno scritto tra l’altro: «Lo stato di abbandono in cui versa in special modo Castelsantangelo e la mancanza di prospettive trovano nel gesto di Massimo l’espressione di una sofferenza immensa». Il gruppo “Brigate di solidarietà attiva” ha così commentato: «Quanto abbiano inciso il dramma del terremoto e l’assenza di prospettive non sta a noi dirlo. Certo, il tempo dilatato che logora, il muro di gomma di una burocrazia impassibile, l’inettitudine della gestione post-sisma sono una coltre che pesa nell’animo di ogni terremotato». Maria Cristina Garofalo (che con Massimo aveva scritto il libro “La notte della polvere” dedicato appunto al terremoto) così ha ricordato la figura di Dell’Osso: «Troppo il dolore che il tuo grande cuore doveva sopportare. Non siamo riusciti a lenirtelo. L’affetto dei tuoi amici e l’amore della tua famiglia non ce l’hanno fatta da soli contro il mare di ingiustizie che hai dovuto fronteggiare. La tua generosità e il tuo candore sono stati schiacciati dall’incuria e dall’abbandono di chi avrebbe potuto e non fatto, da chi ha solo promesso e non mantenuto, barricato dietro montagne di burocrazia e passerelle politiche». La “Sopravissana dei Sibillini” ha scritto questo messaggio: «Il terremoto del 26 e del 30 ottobre 2016 non aveva causato nessuna vittima per crolli. Da quei maledetti giorni ad oggi, però, sono nove le persone che di fronte all’impossibilità di tornare nei loro paesi, di far ripartire le loro attività produttive, si sono tolte la vita».

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Amatrice

Tante frasi, tante dichiarazioni, tante espressioni esacerbate non sono soltanto uno sfogo momentaneo per la morte di un terremotato, ma rappresentano un grido di dolore diffuso in tutta la popolazione. E’ il primo segnale (e non è neppure l’unico) di una protesta che non viene più soltanto dai sindaci, impotenti dinanzi ad una burocrazia imperante e a normative contorte e “sibilline”. Un grido di dolore e un segnale di protesta che non arriveranno mai a Roma e che giungeranno ad Ancona molto attutiti, quasi come un brusio lontano, per non disturbare i burocrati di turno e per far rimanere le cose come stanno andando adesso: cioè male. Ma la situazione è brutta non solo nel Maceratese e nelle Marche. Infatti i nostri terremotati sono in buona compagnia con quelli di altre regioni. Spostiamoci per un attimo ad Amatrice. Addirittura il parroco don Savino D’Amelio ha così descritto la situazione del territorio di Amatrice: «La gente ha il morale sotto i piedi. Dalle elezioni qui non si tolgono più macerie. Ancora non stanno pensando che devono pensare alla ricostruzione. Ad oggi manca ancora il 20 per cento del minimo sindacale per la vivibilità. Gli artigiani non hanno un buco dove poter lavorare». Roberto Serafini, presidente del Comitato civico “3 e 36” di Amatrice, senza mezzi termini esclama: «Credo che Amatrice non si ricostruirà mai. Io mi voglio ancora illudere ma non ci sono i presupposti. Venti mesi sprecati per apparire, non essere. Siamo stanchi, depressi».

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Alcuni crolli avvenuti a Camerino

Il fatto che anche i terremotati di Amatrice si trovino nelle stesse condizioni di quelli del Maceratese non ci fa dire “mal comune mezzo gaudio”. Perché non è così. Perché soprattutto questa situazione fa accrescere in tutti la convinzione che ci sia proprio una strategia per spopolare l’entroterra. E questo nonostante le dichiarazioni al contrario dei rappresentanti delle istituzioni.
Prendiamo ad esempio Camerino, capitale dell’antico ducato, centro principale di tutto l’Alto Maceratese. E’ rimasto l’ultimo Comune a ricevere le Sae. E questo, nonostante il capo dell’ufficio speciale per la ricostruzione, Cesare Spuri, abbia riconosciuto che Camerino «da sola ha più danni di tutta l’Umbria». Ebbene su 318 Sae richieste ne sono state consegnate soltanto 7. E già sono trascorsi 21 mesi dal sisma di agosto 2016. E’ vero che ci sono state difficoltà di ordine idrogeologico, ma come l’università è riuscita a trovare subito le località più idonee per soluzioni di emergenza altrettanto potevano fare le istituzioni. Non è stato fatto ed ora si spera di completare la consegna delle Sae entro luglio. Il che significa che questo fatto ha tenuto alcune migliaia di cittadini lontani dalla loro città per quasi due anni. Ad aggravare la situazione c’è il problema del centro storico che è ancora “zona rossa”. Zona interdetta agli abitanti e con le strade ancora intasate dalle macerie. Si attende che siano messi in sicurezza tutti gli edifici danneggiati dal sisma. E’ stato preventivato, per questi lavori, un investimento di sei milioni di euro. Ebbene fino ad oggi per opere di puntellamento, nel giro di circa un anno, è stato speso soltanto un milione. Il che significa che per completare la messa in sicurezza di tutti gli stabili danneggiati, e quindi per investire anche gli altri cinque milioni previsti, occorreranno almeno altri quattro o cinque anni. Tenendo conto ovviamente anche delle difficoltà finanziarie e dei problemi logistici che si possono presentare.
Tenere bloccato il cuore di Camerino per altri cinque anni significa tenere fuori dalla città migliaia di abitanti. A questi cinque anni bisogna però aggiungere anche i 10/20 anni per la ricostruzione. Il che significa anche far “penalizzare” tutto l’entroterra perché privo di punti di riferimento ideali ma anche logistici, sociali, culturali. E questi non sono altri elementi che inducono i terremotati ad abbandonare questi luoghi?

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