di Giancarlo Liuti
Stiamo affrontando le brume autunnali e ci prepariamo ai rigori dell’inverno, ma negli ultimi giorni il clima di Macerata – non il clima meteorologico, bensì quello delle idee sul futuro – è improvvisamente diventato primaverile, nel senso che il pessimismo dei disfattisti è stato superato dall’ottimismo di alcuni fiduciosi “progettisti del domani”. Può darsi che si tratti di un fuoco di paglia e che le loro parole se le porti il vento delle illusioni. Vero è tuttavia che il tradizionale torpore della quotidianità maceratese sta ora avendo uno slancio verso qualcosa di molto meglio, un merito, questo, che in gran parte va attribuito ad alcune persone di buon ingegno civile e sociale come il rettore dell’università Francesco Adornato e, se tutto procede bene, il sindaco Romano Carancini.
Appena una settimana fa non la pensavo così, una lunga e non felice esperienza di questioni locali vissute da semplice cittadino m’induceva allo scetticismo. Ma nel mondo attuale le cose vanno veloci, a cambiare ci mettono un attimo, basta poco e diventano diverse. E che è accaduto, in soli tre giorni, di così diverso? Molto, signori, specialmente nella mentalità di coloro che detenevano frazioni di potere politico. E prese corpo, fra l’altro, il proposito sia di una fattiva collaborazione fra il Comune e l’Università sia l’impegno, più volte espresso invano nel passato, di rilanciare il “centro storico” della città, un “cuore urbano”, questo, che si stava ammalando e adesso ha forse imboccato la via della guarigione. Sono rose? Pare di sì. E allora fioriranno.
Mesi fa parlai col rettore Adornato e lui si dispiaceva degli scarsi rapporti tra Università e Comune, una specie di “separazione in casa”, per colpa forse di entrambe le parti, ma certamente non in linea con gli interessi civili, sociali e culturali di Macerata e più ampiamente dell’intero Maceratese, di cui non a caso questa città è capoluogo da oltre un secolo, ma, purtroppo per demeriti suoi, cioè della sua chiusura o pigrizia mentale, lo era solo nelle carte geografiche e non la si considerava tale dagli altri cinquantasei centri della provincia, uno dei quali, Civitanova, non nascondeva, magari per fondate ragioni imprenditoriali, il proposito di contestarne il “primato”, che invece avrebbe dovuto rimanere incontestabile per il prestigio che a Macerata veniva – e viene – dalla storia, dalla posizione territoriale, dall’assetto urbano e dalle istituzioni culturali.
Ma basta. Occupiamoci piuttosto del futuro. Il passo avanti c’è stato poche settimane fa, quando l’università ha trovato nuovi spazi nei locali della ex Upim in via Matteotti, sempre nel centro storico, a pochi metri da piazza della Libertà. Ateneo e Comune, dunque, che continuano a darsi la mano da molto vicino. E, ciò che più conta, senza guardarsi solo di striscio e senza dirsi soltanto buongiorno. Ma c’è stato dell’altro. Nella persuasione, finalmente, che “l’unione fa la forza”, le varie realtà locali – alcune di vocazione anche provinciale – hanno cominciato a capire che nella modernità badare ciascuna al proprio orticello significa isolarsi dal mondo. Il futuro? Sarà forse più impegnativo, ma questo è il dovere che ci viene imposto dalle nuove generazioni. Non si prescinda mai, in ogni caso, dal valore estetico ma altamente civile del “centro storico” maceratese. Sarebbe un enorme peccato – peggio: un delitto – che il futuro non ci potrebbe perdonare. E, concludendo, mi si lasci ringraziare quelle persone di notevole sensibilità culturale e autentico amore per Macerata alle quali si deve una situazione che, senza far miracoli ma semplicemente cogliendo le occasioni offerte dalla realtà, consentirebbe al “cuore” della città di battere meglio, evitando l’insidia delle fibrillazioni e cogliendo l’opportunità di far funzionare insieme tutti gli altri organi vitali del “corpo” urbano.
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Caro Giancarlo, mai come in questo momento i rapporti tra l’Università di Macerata e il Comune di Macerata sono stati brutti.
Il meglio finisce sempre per accadere e l’avvenire è migliore di qualunque passato.
Oltre la comune politica dell’annuncio esiste forse una politica dell’annunciazione, naturalmente riservata alle civitas mariae.