di Mario Monachesi
“Li moccolotti de lo vatte”. Era una portata che tra altre “magnate” veniva servita durante la trebbiatura. Ma andiamo per ordine, raccontando anche di cosa veniva servito dall’inizio di lavoro.
“‘Mbostata la machina su l’ara” e sistemate le scale “pe’ lu pajå e lu pulà”, il via veniva spesso dato da un urlo di sirena. La fatica e la polvere facevano si che le donne di casa e i ragazzi passassero spesso tra gli operai con acqua spruzzata di limone, e vino, freschi di grotta.
Anche i pasti dovevano essere numerosi. Si cominciava con la colazione, tra le 3 e le 4 del mattino, venivano serviti caffè d’orzo, latte e “ciammellottu”. Intorno alle 8, oca o altra carne con pomodori arrosto, a metà mattinata, “merennetta” a base di bruschetta, “‘nzalatella” (insalata) di tonno, pomodori, cetrioli e cipolla o pane e salato (ciauscolo o lonza).
A pranzo, veniva servita la stracciatella, poi “lesso” (bollito) di gallina e cicoria. Nel pomeriggio, se la trebbiatura andava a lungo, un’altra merennetta a base di pomodori, zucchine al forno e di nuovo “salato”. A cena, qualunque ne fosse stata l’ora di fine lavori, venivano finalmente serviti i nostri “moccolotti de lo vatte” (o anche “li maccherù”, tagliatelle fatte a casa), poi arrosto di pollo, oca, papera, maiale e contorni vari.
Noi, a questo punto, soffermiamoci sulla preparazione di questo sugo “pe’ li moccolotti”.
Le donne preparavano il sugo sin dalla mattina presto. In un grande “calleró” (calderone) o “teje grosse” facevano soffriggere un battuto di grasso e magro insieme a carota, sedano e cipolla ridotta quasi in poltiglia. Un po’ per volta, a seconda del tempo di cottura di ogni pezzo, venivano immessi oltre alle rigaglie, quarti di pollo, di papera, oca, sale e pepe e il tutto veniva coperto di acqua e mescolato assieme a 4 cucchiai densi di conserva. A piacere c’era chi aggiungeva maggiorana e alloro. A sguire, tutte le carni venivano tagliate a pezzi sempre più piccoli.
Il sugo bolliva per più di due ore.
Una volta pronto, i “moccolotti” venivano, a volte, cotti direttamente nel sugo bollente, mescolati a lungo e ingolositi da diverse manciate di pecorino grattugiato. Più spesso venivano cotti a parte.
Il grasso incorporato nel sugo rendeva questo piatto denso e nutriente, adattissimo al tipo di duro lavoro che veniva svolto.
L'”opere” mangiavano seduti ad una popolare tavolata, “li pajaroli” ad un secondo tavolo ed infine “li patrú'” e “lu fattó'” al fresco di un angolo riparato dalla polvere.
Per dovere di cronaca c’è da aggiungere che questa cena terminava con crema e ancora “ciammellottu”. In anni più vicino a noi, oltre ad acqua e vino, lungo le tavole venivano sistemate anche bottiglie di birra.
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….e lu capumacchina fermava la trebbia quanno buttava u cinto’….