Studiosi del dialetto al Rotary:
“Il nostro è il più antico d’Italia”

CAMERINO - Una relazione di Ennio Donati mostra gli studi che evidenziano le pecularietà della lingua maceratese-fermano-camerte, in una serata di solidarietà per i terremotati

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Gli ospiti del Rotary di Camemino

Gli eventi sismici non fermano la solidarietà e in particolare le iniziative del Rotary Club camerte che continua la sua vivace attività come nel corso dell’ultima conviviale, svoltasi al Relais Villa Fornari, dove ha trovato spazio oltre alla beneficenza anche un’interessante relazione sul dialetto maceratese-fermano-camerte curata da Ennio Donati.
Ospite della serata il presidente del Rotary Alta Vallesina Grotte di Frasassi, Luigi Dennis Censi, che ha voluto donare l’incasso ottenuto da un service svolto in interclub con Camerino alle popolazioni terremotate. Nel caso specifico è stato consegnato un contributo monetario all’azienda agricola di Costantino Paris di Vallestretta di Ussita, la cui stalla che ospitava 120 capi di bestiame di pura razza marchigiana è stata completamente distrutta dal terremoto costringendo le vacche a rimanere all’aperto per molto tempo e in aggiunta sotto la neve. Tra gli ospiti il  presidente dell’Accademia del dialetto di Civitanova Primo Recchioni.  Svelando l’amletico dubbio se il dialetto è una corruzione della lingua o una lingua vera e propria, l’ingegner Donati ha illustrato la carta dei dialetti d’Italia, mostrando gli studi scientifici sulla fonetica e sulla grafia che sin dal 1930 sono stati condotti in particolare dall’università di Macerata e affermando come gli stessi glottologi considerano il nostro dialetto (maceratese-fermano-camerte) il più antico d’Italia.

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Sulla verità del dialetto come lingua vera e propria è lo stesso Flavio Parrino, glottologo e noto professore maceratese, ad affermarlo, aggiungendo che la struttura del dialetto è la stessa di altre lingue, benchè più sofisticate. Noi facciamo parte del dialetto mediano, di provenienza latina, la cui desinenza si ritrova ancora oggi nel nostro parlato quotidiano, così colorito e farcito da apocopi della sillaba finale, come nel caso di “lu postì, o pa’, o dottò, o Pè, lo velegnà etc..” e da vocali atone, da consonanti geminabili e non, da cogeminazione o rafforzamento fono sintattico di particolari espressioni del tipo “che ffai?”e infine metaforesi di alcune parole come “lu padrò e la padrona, lu pallò e li palluni, lu bottò e li bottuni”. Se lo si analizza a fondo, con rigore scientifico al di là della semplice passione come fa l’ing. Donati da tempo, si scopre che il dialetto ha una complessità di regole e di caratteristiche che lo rendono una lingua a tutti gli effetti, affascinante e da tutelare perchè depositaria di importanti valori storici e culturali.



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