di Donatella Donati
Il mio intervento sui giovani in difesa delle loro qualità, della loro serietà e proprietà linguistica (leggi) ha avuto consenso tra molti adulti che mi hanno ringraziato per averlo fatto. Anche Radio Erre ha voluto una intervista su questo argomento. Forse per capire meglio come si sono evolute nel tempo le cose e come si è arrivati oggi ad un linguaggio adulto sprezzante e negativo bisogna risalire all’origine dell’ingresso di tutta la popolazione italiana uscita dalle scuole elementari nella scuola media dell’obbligo.
Erano gli anni sessanta e in pochissimo tempo nella scuola media obbligatoria entrarono undicenni di varia estrazione culturale e sociale ai quali fu imposto lo stesso programma e furono dati gli stessi obiettivi. Per molti di loro che provenivano nella provincia di Macerata da zone rurali molto periferiche in cui si parlava quasi esclusivamente il dialetto non fu facile seguire le lezioni e corrispondere alle valutazioni di professori non abituati ad avere una popolazione così eterogenea di studenti. Ci volle molta comprensione, molta preparazione e molto studio delle nuove tecnologie di insegnamento in relazione alle capacità di apprendimento. Ricordo espressioni curiose dei giovanissimi ragazzi per dire quello che avevano capito o quello che pensavano con equivoci fondati sull’ignoranza delle parole della cultura scolastica per alcuni totalmente sconosciuta.
Così Attila diventava un siciliano a causa delle sue caratteristiche etniche, gli egiziani nelle tombe avevano delle credenze e la Camera dei deputati era la stanza dove i deputati mangiavano. Ad una ragazzina deliziosa durante la lettura del romanzo Tom Sawyer fu chiesto cosa significava l’aggettivo scoraggiato; non voleva rispondere e solo chiamata alla cattedra dall’insegnante le sussurrò all’orecchio “che faceva scoregge” . L’insegnate dolcemente la indirizzò verso il giusto significato senza a sua volta scoraggiarla e la bambina durante il triennio ricordò sempre quella gentilezza alla quale mancava assolutamente ogni segno di rimprovero.
Quei ragazzi di allora oggi sono nonni e hanno nipoti diplomati e spesso laureati che sanno parlare italiano e lo parlano con chi parla loro italiano dimostrando la possibilità di un bilinguismo di scambio tra lingua e dialetto. Il computer poi incentiva l’uso metaforico delle parole e la metafora è quanto di più raffinato c’è nella lingua. Un poeta italiano del ‘600 definiva la luna “del padellon del cielo la gran frittata”, una metafora che da alcuni fu giudicata volgarissima ed era solo immaginifica. Ben altro quello che sta succedendo oggi tra giornalisti, politici, opinionisti e gente comune per la metafora “patata bollente” attribuita alla Raggi. Si tratta di una metafora comunissima che non ha nessun significato sessuale se non quello che le attribuiscono i soliti sporcaccioni, che scrittori italiani e stranieri hanno sempre usato per indicare un problema difficile da risolvere come lo spellare una patata appena uscita dall’acqua bollente. Ci vorrebbe un Leopardi qui per ridere dell’ingenuità dei commentatori e lui sapeva come evitare le metafore provocanti.
Ricordo una lettera scritta al fratello Carlo durante il suo primo soggiorno romano -Roma c’entra sempre- nella quale rispondeva al fratello che le sue idee sulla facilità con la quale è possibile far l’amore con le donne romane era una vera bufala perché, gli scriveva, “le donne romane la danno con molta meno facilità di quelle recanatesi”. Si noti la prudenza e l‘eleganza con la quale il giovane Giacomo tratta un argomento di discussione che anche tra i giovani di allora era molto frequente. Tutto sta nel buon gusto con cui lo si affronta. Sono vissuta sette anni a Roma frequentando due facoltà universitarie alla Sapienza, Filosofia e Lettere moderne e ho avuto un contatto molto diretto con la città in tempi in cui si camminava molto perché i mezzi di trasporto non erano così frequenti come quelli di oggi e l’approccio con la popolazione che gli studenti avevano era facile e colorito. Non ho mai sentito l’uso fatto di quelle due parolette innocenti in modo metaforico mentre ne ho conosciute di molto più piccanti ma mai grossolane. Questa degenerazione del linguaggio in interpretazioni molto soggettive e stupidamente provocatorie cosa può insegnare ai giovani parlanti? Stiano attenti gli adulti perciò alle scelte verbali e ai modelli di discorso perché sono loro i cattivi maestri e se c’è un degrado la colpa è loro. I giovani non c’entrano.
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“È il buon gusto e il buon gusto soltanto che possiede il potere di sterilizzare ed è sempre il grande nemico dell’arte”.
La patata bollente, che chiameremo anche PB quando più ci farà comodo per ovvie ragioni di pigrizia, è la ragione per cui molte persone trovano la forza di alzarsi al mattino, per vari motivi. Genera stati d’animo discordanti, a volte positivi, in altre occasioni negativi. Ad una nutrita schiera di estimatori, decisi ad affermare l’utilità sociale della cosa, si contrappongono i fautori del “no grazie” con la stessa veemenza. Paradossalmente il contrasto si esprime anche in ambito personale, ad esempio:
– quelli che la vogliono tutta per loro a volte sono ansiosi di darla agli altri;
– esiste qualcuno a cui l’hanno data, ma non la voleva, che allo stesso tempo non vuole darla a nessuno;
– c’è chi la dà via solo se ben pagata, ma a volte cerca di disfarsene gratis senza riuscirci;
– alcuni la vorrebbero sempre sottomano, ma in qualche occasione non vedono l’ora di levarsela dalle mani;
– c’è chi la passa volentieri e, subito dopo, se la farebbe ripassare altrettanto volentieri.
(fonte Nonciclopedia)
LA MADRE DE LE SANTE
Chi vò chiede la monna a Caterina,
Pe ffasse intenne da la gente dotta
Je toccherebbe a dì: vurva, vaccina,
E dà giù co la cunna e co la potta.
Ma noantri fijacci de miggnotta
Dimo cella, patacca, passerina,
Fessa, spacco, fissura, bucia, grotta,
Freg.na, f.ica, ciavatta, chitarrina.
Sor.ca, vaschetta, fodero, frittella,
Cicia, sporta, perucca, varpelosa,
Chiavica, gattarola, finestrella.
Fischiarola, quer-fatto, quela-cosa,
Urinale, fracoscio, ciumachella,
La-gabbia-der-pipino, e la-brodosa.
E si vòi la cimosa,
Chi la chiama vergogna, e chi natura,
Chi ciufeca, tajola e sepportura.
I giovani non c’entrano, così come a Roma non ci entrava Leopardi, come scrisse al fratello da Roma parlando delle donne romane (non sapendo che invece il poco meno giovane Belli – altro di origini recanatesi – ci entrava, stando almeno ai suoi sonetti romaneschi).