di Federica Nardi
(Foto e video di Federico De Marco)
Stanno nel palmo di una mano quelle pietre che fino a qualche giorno fa erano le case, le chiese e le torri di Castelsantangelo sul Nera. Prima che il terremoto del 30 ottobre assestasse il colpo di grazia alle poche strutture rimaste in piedi. Non solo nel borgo che ora è interamente zona rossa, con la torre crollata, le strade ostruite dalle macerie e l’acqua che sale dai tombini mettendo a rischio allagamento i piani terra, ma soprattutto nelle frazioni che mostrano, tra crolli e muri pericolanti, la quotidianità spezzata di chi ha dovuto abbandonare in fretta e furia la propria casa e il proprio lavoro: letti, armadi, bagni, pezzi di camino. Per fortuna, molti erano scappati già dal 24 agosto o dal 26 ottobre, quando due forti scosse in serata avevano fatto andare via tutti o quasi, risparmiandoli dalla tragedia. La casa di riposo nella frazione di Rotelli, una struttura del 1200 con tanto di mura perimetrali, donata alla città da Angela Paparelli e sistemata pochi anni fa, si è definitivamente sbriciolata. La torre ha perso la cima che ha completamente distrutto il tetto della chiesetta a fianco e nel terreno si sono aperte voragini larghe quanto un piede. Salendo verso Gualdo, ultima roccaforte di Castelsantangelo perché il sisma ha creato un dissesto profondo nella strada che prosegue verso Spina di Gualdo e poi Castelluccio di Norcia, si incontrano vicoli piene di crepe, massi e macerie.
La casa di riposo di Castelsantangelo sul Nera
La spaccatura sul monte Porche e le frane
«Il terreno si è abbassato di 20 centimetri», dice Mauro Camilloni della Protezione civile, che nella frazione aveva una casa sistemata da pochi anni, ora aperta in due dal sisma. «La mia abitazione già il 26 ottobre si è girata su se stessa – dice – I lavori che avevo fatto? Con un terremoto così che ci vuoi fare». Con lui anche Moreno Luciani e Aurelio Del Medico che è capo della Protezione civile di Civitanova. Tutti e due ex vigili del fuoco e ora in prima linea a Castelsantangelo per dare una mano, contare i danni, confortare i pochi che non sono andati sulla costa. Come Sergio Olivieri, 28 anni, che nella frazione di Macchie ha ancora 180 pecore da recuperare tra quello che rimane di un borgo ai piedi del monte Porche. Anche in cima al monte il terremoto ha lasciato un segno, forse più indelebile delle macerie delle città costruite dagli uomini: una spaccatura lunga chilometri, che ha aperto la strada a frane e smottamenti. Nemmeno il cimitero, alle porte di Castelsantangelo, è stato risparmiato. Le mura, già in parte crollate il 26 ottobre, sono venute giù quasi del tutto. Dentro alcune tombe si sono scoperchiate. «Bisogna venire qui per capire cosa è successo», aveva detto ieri il sindaco Mauro Falcucci al presidente della Camera Laura Boldrini, in visita nelle zone dell’epicentro. Unica attività aperta, dopo che anche i bar e la norcineria sono venuti giù, è la postazione mobile delle poste. Da un camion con la scritta blu su sfondo giallo, parcheggiato alle porte della cittadina e dove si può ritirare la pensione o fare una ricarica telefonica ricomincia la normalità di chi fa avanti e indietro dalla costa per non abbandonare il proprio paese.
La spaccatura sul monte Porche
Da sinistra Mauro Camilloni, Moreno Luciani e Aurelio Del Medico
Una bara del cimitero di Castelsantangelo esce fuori dopo il crollo
La spaccatura nel terreno a Gualdo di Castelsantangelo
Macerie nella frazione di Vallinfante
La chiesa accanto alla casa di riposo di Castelsantangelo non ha più il tetto
Vall’infante
La struttura che ospitava la Norcineria a Castelsantangelo sul Nera
La torre di Castelsantangelo, che aveva resistito a tutte le scosse, è venuta giù il 30 ottobre
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La casa di riposo fu donata da ANGELA e non da Anna Paparelli. Nella famiglia Paparelli non c’è nessuna Anna.