Una parte del percorso di Port Elizabeth (foto sito ufficiale Ironman Sudafrica)
Laura Strappaveccia
di Marco Ribechi
Da Belforte al Sudafrica per partecipare all’Ironman, la gara più dura ed estrema del triathlon. 3mila e 800 metri di nuoto, 180 chilometri in bicicletta e per concludere una maratona di 42,195 chilometri. E’ la titanica impresa di Laura Strappaveccia, 38enne nata a Tolentino ma belfortese di adozione, di professione osteopata. Un viaggio interminabile iniziato il 6 aprile da Fiumicino. Due scali, tre aerei cambiati con valigie e bicicletta in spalla. Il tutto per approdare a Port Elizabeth, ritirare la pettorina numero 312 e partecipare alla gara più impegnativa al mondo, quella degli uomini d’acciaio. Per Laura è stata la terza competizione dopo quella in Austria a giugno dello scorso anno e Mallorca a settembre. Il suo sogno è qualificarsi per il percorso di Kona, alle Hawaii, il più impegnativo in assoluto. Sogno solo sfiorato visto che la gara di Laura si è conclusa al sesto posto dopo 11 ore 6 minuti e 40 secondi. Il tempo non è bastato per agguantare il terzo gradino del podio e strappare il biglietto per le Hawaii.
L’atleta durante l’allenamento in Sudafrica
«Fare una gara così è una sensazione indescrivibile – commenta l’atleta – Lavori duro ma sei felice al tempo stesso. Ti sembra di vivere un film. Hai adrenalina addosso e gioia di vivere e sei grato alla vita per ciò che riesce darti. Non ho mai pensato di mollare, mai in nessuna gara. Valuterò se cercare ancora la qualificazione nel prossimo incontro di Zurigo». Una vita dedicata al sacrificio e all’impegno per amore dello sport. «Praticare questa disciplina non è solo sport – spiega l’atleta – è uno stile di vita. Molti ci considerano degli invasati fuori di testa ma, al contrario, per riuscire a fare tutto ciò serve equilibrio mentale e una disciplina fuori dal comune. Allenarsi per un Ironman significa dover incastrare ogni cosa in una giornata e sfruttare ogni secondo. Significa mangiare in orari assurdi. Un pranzo che duri almeno 10 minuti diventa un lusso. Significa svegliarsi quando fuori è ancora buio e andare a correre anche se ci sono -2 gradi, il ghiaccio e gli unici in giro sono i netturbini o i metronotte. Significa sacrificare serate, non bere, non mangiare schifezze, essere attenti all’alimentazione, considerare il lavoro un momento di relax tra un allenamento e l’altro».
La partenza dell’Ironman
Laura si allena due volte al giorno, sei giorni alla settimana, anche a Natale o Pasqua. Questo è l’impegno necessario per un obiettivo così ambizioso come la qualificazione per il mondiale alle Hawaii. Dal 2 novembre, quando ha iniziato la preparazione, ha percorso ogni settimana circa 10/12 chilometri a nuoto in piscina, 200/250 in bicicletta e 45/50 di corsa, oltre a due allenamenti settimanali in palestra con i pesi. Conciliare questa vita con un marito e un lavoro full time sembra davvero inconcepibile. «Sono gare che si progettano molto tempo prima – continua Strappaveccia – ho un allenatore che mi prepara le tabelle e mi dice cosa fare. Mi segue anche un nutrizionista che controlla il mio stato fisico. E’ necessario per coltivare questa passione. Ho sempre praticato sport, sin da bambina. Già allora sognavo di poter fare grandi cose. Senza mai riuscirci in verità perché non sono mai stata una forte, una di quelle dotate per natura. Ho sempre avuto però un forte spirito di sacrificio. Già a scuola quando i miei amici al pomeriggio uscivano a giocare o andavano al bar, io andavo a correre per allenarmi».
Laura Strappaveccia con il marito Antonio Renga in Sudafrica
Proprio con il sacrificio e l’impegno è riuscita a realizzare i propri desideri. «Sognavo di entrare in qualche società sportiva di atletica ma i vari tecnici non chiedevano mai di me ai miei professori. Cercavano le ragazze più dotate che però non avevano nessun interesse nel gareggiare. Ma non ho mai rinunciato. Quando avevo 16 anni ho sempre praticato atletica, poi nuoto e infine appena 3 anni fa, ho iniziato con il triathlon». Secondo Laura non serve essere un fenomeno per diventare Ironman. «Non mi sento una donna d’acciaio, è una gara di endurance, non di velocità e quindi si allena e si costruisce pian piano. Con tanta fatica, sacrificio, determinazione e costanza chiunque potrebbe farlo. Sono una persona normalissima sostenuta dall’affetto di due sorelle, cognati, genitori, nipoti, amici che fanno sempre il tifo per me. Per non parlare di mio marito che è un uomo eccezionale. Devo dire a lui mille volte grazie per sostenermi sempre, sopportarmi nei momenti di crisi e capirmi. È soprattutto grazie a lui se posso fare tutto questo. Mi accompagna sempre e mi aiuta, è insostituibile».
(foto sito ufficiale Ironman Sudafrica)
(foto sito ufficiale Ironman Sudafrica)
(foto sito ufficiale Ironman Sudafrica)
(foto sito ufficiale Ironman Sudafrica)
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