“Poi, una notte di settembre mi svegliai”
 A 18 anni dal sisma:
storia di un ‘miracolo imperfetto’

ANNIVERSARIO - Venanzo Ronchetti: “Grazie a D’Alema abbiamo avuto il denaro per ricostruire il 90%, ma poi basta, i rubinetti si sono asciugati sin dal Duemila, come Napolitano accertò nel 2007 al decennale: mancano ancora cinque punti da soddisfare. Ma da allora più nulla”. La grande occasione del rilancio economico è fallita: le case ricostruite perfettamente sono ora chiuse e vengono svendute, o al massimo funzionano come case vacanze in estate. La gente è emigrata in Umbria o a Roma

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Terremoto a Cesi

Terremoto a Cesi

di Maurizio Verdenelli

“Poi, una notte di settembre mi svegliai/il vento sulla pelle/ sul mio corpo il chiarore delle stelle/ chissà dov’era casa mia…”. Venanzo Ronchetti, sindaco di Serravalle di Chienti, si svegliò, diciotto anni fa esatti, alle 2,33 (come tutti ‘a cavallo’ tra Marche ed Umbria quella notte) nel buio più assoluto: la prima rovinosissima scossa del terremoto aveva fatto saltare la corrente elettrica. «Con il geometra del Comune, Mariano Cerreti, ci mettemmo in  marcia in direzione dell’epicentro, sull’altopiano, verso Cesi: ma la strada non c’era più….». L’anniversario dell’evento epocale che ha segnato la storia moderna di due regioni al confine, compie gli anni della maturità. Una ricostruzione definita esemplare, un vero modello, quasi un ‘miracolo’, senza brogli, senza truffe, senza indagini giudiziarie, per l’Italia ‘della grande corruzione’. Niente vero, lo possiamo dire a diciotto anni di distanza. Perché, ora lo sappiamo, è stato un ‘miracolo imperfetto’. Verissimo, non ci fu corruzione, ma neppure fu colta la grande occasione di un nuovo sviluppo, mentre l’opportunità della nuova strada Valdichienti (vista peraltro con sospetto dalla gente dell’altopiano) è, come noto, ancora tutta da decifrare.

Cesi2E questo, nonostante fossimo per l’ultima volta di fronte alle possibilità economiche di uno Stato che si dimostrò provvido e generoso, con un‘Italia ancora generosa e coesa: tra le tendopoli di Taverne, i leghisti del compianto ‘senatur’ Cesarino Monti passarono il Natale ’97. Miliardi, anche e soprattutto da parte di grandi industriali (in primo piano la famiglia Della Valle) e privati, si riversarono sui senzatetto. Ronchetti iniziò un vero giro d’Italia a ricevere la solidarietà di tante città. «Mi commossi particolarmente a Novellara (che meravigliosa staffetta notturna organizzarono fino a Serravalle in segno d’amicizia!), il paese in provincia di Reggio Emilia dov’era nato Augusto Daolio, il leader de ‘I nomadi’, colui che aveva lanciato al successo ‘Io vagabondo’ nei cui versi mi ero ritrovato anch’io… chiedendomi nell’angoscia di una notte che sembrava non dovesse avere domani, dove fosse il mio paese e tutti quelli sparsi sull’altopiano spazzati via dal terremoto».

Ronchetti, qualche giorno fa presentando a Colfiorito la sua biografia (“Il ragazzo e l’altopiano”, Ilari editore) presenti gli amministratori folignati Emiliano Belmonte e Paolo Gubbini ha denunciato senza mezzi termini l’”imperfezione” di una ricostruzione sbandierata fino a ieri come ‘perfetta’. «Se non ci fosse stato il governo di Massimo D’Alema (dimessosi il 25 aprile 2000 ndr) certamente non mancherebbe soltanto il 10% alla ricostruzione. Dobbiamo tutto a quei diecimila miliardi messi a disposizione di Umbria e Marche (alla prima regione andò il 65% ndr), poi non c’è stato più nulla». Ronchetti ricorda sempre la battuta del presidente D’Alema quando sorridendo gli chiese in una pubblica assemblea di non scrivergli più lettere! Infatti una di queste, dove il sindaco gli contestava la congruità delle provvidenze messe in cantiere per la ricostruzione, ‘gli era infatti costata tremila miliardi’. Che era poi l’importo con cui il governo aveva provveduto ad implementare poi, su pressione dello stesso carismatico primo cittadino serravallese, l’originario finanziamento per provvedere ai bisogni dei territori terremotati del ’97.

CollecurtiDa allora, per le due ‘regioni rosse’, subentrando un governo di centrodestra, non ci sarebbe stata più quella necessaria attenzione. Il decennale, nel 2007 (a memoria di chi scrive) fu una cerimonia piuttosto sbrigativa: neppure il tempo per tentare di assistere ad una proiezione del filmato ufficiale ‘inceppatosi’ nel videoproiettore. L’allora neoeletto Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che da ministro dell’Interno aveva visitato  Taverne e Colfiorito – «Contiamo di rispettare gli impegni e le scadenze previste» – aveva ammesso che in agenda rimanevano da soddisfare ancora ‘cinque punti’. E che dunque aspettava tutti a Roma. Da allora più niente. E quel decennale sotto la tensostruttura alzata a Colfiorito rimase nella memoria delle cronache più per il primo… episodio di spending review ufficiale (Napolitano pagò di tasca sua il caffè consumato al ristorante ‘Il valico’ che da allora, al bancone del bar, ne illustra il ricordo con un significativo ‘Il caffè del Presidente’) che per altro.

Vito D'Ambrosio

Vito D’Ambrosio

Il ‘miracolo’ fu soprattutto quello, al solito, di uomini di indubbio valore, gente che gettò il cuore oltre l’ostacolo: persone di rigore morale ed impegno civico. Il primo fu il Governatore Vito D’Ambrosio, adesso a Roma, nominato Commissario per la Ricostruzione e l’indimenticabile assessore Bruno Di Odoardo. «La sua scelta di creare l’Ufficio del Commissario non a Serravalle, nel cuore della tragedia, ma più giù a Muccia, andava proprio nella direzione di incontrare le popolazioni: guardare, capire e cercare le soluzioni migliori per ricostruire in fretta, insieme con i terremotati» dice l’ing. Cesare Spuri, che diresse il Com. Nasceva il vero ‘miracolo’… Ancora Spuri: «Decentrare le funzioni lontano da Ancona ha portato il Palazzo tra la gente, è stato come accendere un ‘traduttore simultaneo’ delle necessità di chi il terremoto lo ha subito in tutta la sua violenza. Ha evitato che una ricostruzione venisse realizzata freddamente, solo ‘per legge’. Talvolta, oggi, penso a quelle volte in cui, finito di lavorare, pulivamo gli uffici con scopa e spazzolone o quando per traslocare 50 uffici abbiamo mandato via l’impresa di facchinaggio perché da soli faceva prima, meglio e senza spendere. Provo ancora nostalgia e credo che quel modello organizzativo dovrebbe applicarsi anche nella vita amministrativa di tutti i giorni».

Cesare Spuri

Cesare Spuri (guarda la video intervista)

Naturalmente quella ricetta ‘miracolosa’, unica, è stata gettata via come carta straccia: a che serviva nel Paese dei corrotti l’esperienza di quei ragazzi, assunti semestralmente quasi tutti dalle liste di collocamento, pieni di voglia di fare e bene? A che serviva l’esperienza di quegli uffici decentrati, dove il Palazzo era finalmente ‘abolito’ e dove nessuno s’era approfittato di un solo cent di quei 1,5 milioni di euro (valuta attuale) al giorno riferiti a opere pubbliche e private, che erano la capacità d’impegno economico degli uffici distaccati regionali?

«Facevamo gare d’appalto meticolosissime per evitare combines tra ditte che venivano invitate a rotazione» sottolinea Ronchetti, altro ‘eroe’ senza macchia della ricostruzione. «Eppure era facile arricchirsi pure senza sporcarsi le mani: bastava cedere alla tentazione di dare consigli pur richiesti su questa o quella ditta….».

Venanzo Ronchetti con Giovanni Paolo II

Venanzo Ronchetti con Giovanni Paolo II

Qualche ricordo amaro, Venanzo? «Nel periodo dell’emergenza ed anche oltre, erano i più agiati a pretendere continuamente: i poveri avevano quasi vergogna a chiedere pure il necessario. Quei momenti non li dimentico, coma la visita del papa che mi diede coraggio a continuare. E pensare che avevo atteso solo la sua visita per dimettermi il giorno dopo: non dormivo da tre mesi, da quella notte di settembre… ero distrutto».

Un po’ si commuove, al solito, Venanzo, che invece continuò nel suo impegno oltre i limiti diventando, a ragione, diciotto anni fa il ‘sindaco più famoso d’Italia’. Senza fare carriera politica, naturalmente: a quale Palazzo serviva un’esperienza simile?



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