Scandalo per il funerale del boss
Il parroco per 13 anni nel Maceratese
“Il clan ha voluto far capire che è presente”

Don Giancarlo Manieri ha diretto l'oratorio dei Salesiani a Porto Recanati e Civitanova dove ha insegnato anche al liceo. Ha scatenato un ciclone mediatico per aver celebrato le esequie del "re di Roma" Vittorio Casamonica. "Non sono pentito, bisogna perdonare il sepolto. Ho fatto il mio dovere"

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Il funerale a Roma del boss Vittorio Casamonica

Il funerale a Roma del boss Vittorio Casamonica (foto Sky tg 24)

 

Don Giancarlo Manieri

Don Giancarlo Manieri

di Marco Ribechi

Don Giancarlo Manieri, il parroco che ha scatenato un ciclone mediatico per aver celebrato nella capitale il funerale del boss mafioso Vittorio Casamonica, conosciuto come il “re di Roma”, ha diretto per 13 anni l’oratorio salesiano di Porto Recanati e di Civitanova, insegnando anche al liceo classico. Tocca quindi anche il Maceratese e le Marche la vicenda-scandalo che non si placa in queste ore. Don Giancarlo è nato a Castelleone di Suasa, nella provincia di Ancona. Oggi è sulla bocca di tutti. A distanza di 24 ore il religioso dichiara che la cerimonia funebre sarebbe servita per mandare un messaggio specifico allo Stato. «Hanno voluto lanciare un segnale – dice don Giancarlo – la mia personale opinione è che qui sono tutti in fibrillazione per quello che è successo con Mafia Capitale. Il clan ha voluto far capire che è presente, è stato un po’ un teatro, in chiesa perfetti e fuori lo spettacolo. Ma quello che succede lontano dalla chiesa non dipende da me».

Il periodo che ha vissuto in provincia di Macerata, a cavallo tra gli  anni ’70 e ’80, lo definisce: «Un’esperienza magnifica di vita nelle mie belle Marche». Grande amico di don Ennio Borgogna, storico parroco della comunità salesiana del capoluogo, scomparso nel 2013, racconta che proprio in questi giorni di burrasca sta ricevendo moltissime telefonate di stima e di conforto dai suoi ex parrocchiani e alunni, preoccupati per l’accaduto. Il parroco è balzato sulla prima pagina di tutte le cronache nazionali per aver accolto nella sua chiesa romana di San Giovanni Bosco il funerale di Vittorio Casamonica, estremamente potente e molto conosciuto nella capitale. A dare scandalo è stata la solennità e la magnificenza con cui si è svolto l’ultimo saluto al “re di Roma” accusato di attività illecite legate al modo dello spaccio di stupefacenti e all’usura. Sulle note de “Il padrino” il corpo è arrivato a bordo di una carrozza del 1910, la stessa utilizzata per i funerali di Totò, giunta in una piazza colma di auto di lusso come Jaguar e Mercedes, con 12 suv carichi di corone di fiori, fra le lacrime degli affiliati. Don Giancarlo non è pentito. «Ho solamente fatto il mio dovere di parroco, cosa dovevo fare? Dovevo forse fermarli io? – dice il sacerdote – Non sapevo che Vittorio Casamonica fosse il boss della famiglia, non era un mio parrocchiano, risiedeva a Venafro. Ovviamente conoscevo il nome del clan, tutti lo conoscono, ma per me poteva anche essere l’ultimo degli stallieri oppure un caso di omonimia. Non lo conoscevo di persona e se anche l’avessi saputo come avrei potuto rifiutare un funerale? Si dice “parce sepulto”, perdona il sepolto». Secondo il parroco tutto è accaduto fuori dalla chiesa, in una situazione che non poteva essere fermata: «Dentro sono stati perfetti, nessun segnale di quella che è stata definita la vergogna di Roma – continua don Giancarlo – Hanno scelto la mia basilica perché è una delle più grandi e prestigiose, accogliamo 57 opere d’arte. Mi hanno detto che tutte le liturgie dei famigliari sono sempre state celebrate qui. Nel foglietto che si compila per il funerale c’era scritto Lascia moglie, tre figli e nipoti. Cattolico praticante». I fedeli della parrocchia di Roma sono intervenuti nella vicenda contattandolo e chiedendogli di prendere una posizione. «Mi hanno chiesto di scrivere una lettera pubblica per spiegarmi – continua don Giancarlo – visto che ho diretto per 13 anni il bollettino salesiano che mi ha insegnato a rispondere a tutti. Ho deciso di postare un breve testo sul sito della parrocchia in cui ribadisco di aver fatto il mio dovere di parroco e di essere estraneo ai fatti». La vicenda ha destato scalpore anche per il fatto che la stessa chiesa, circa 9 anni fa, aveva rifiutato i funerali di Piergiorgio Welby, malato terminale di Sla che chiedeva di smettere l’accanimento terapeutico nei suoi confronti, diventando un simbolo della battaglia a favore dell’eutanasia. Per questo motivo il vicariato di Roma aveva vietato la funzione religiosa per Welby, colpevole di aver più volte chiesto la cessazione della propria vita, in contrasto con i principi della chiesa cattolica.



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