di Maurizio Verdenelli
Da anni il capo ufficio stampa del comune di Macerata, l’indimenticabile Fabrizio Liuti, inviava a fine giugno alle redazioni maceratesi (allora solo due: Il Resto del Carlino e Il Messaggero) il comunicato di sempre, per ricordare annualmente l’anniversario della liberazione della città. Poche righe, sempre le stesse. Sulla vicenda c’era infatti, pressoché, il buio assoluto. In sintesi si illustrava le gesta della banda partigiana ‘Niccolò’ che entrata in una città abbandonata da truppe tedesche e fascisti, ne aveva preso possesso facendo garrire al vento la bandiera tricolore in attesa dell’arrivo degli alleati. La cui presenza fu mediaticamente testimoniata dall’ormai famosa foto dell’autoblindo ‘parcheggiata’ alle spalle della casa comunale a vigilare sulla piazza centrale. Per anni, la storia si fermò a quel punto. Niente del furioso e sanguinoso scontro sul fiume che aveva messo in fuga la Wermacht. Niente di niente. E’ profondamente vero. Come dice Sandro Petrone, corrispondente Rai in Oriente, le guerre in realtà non si possono raccontare restando la ‘cosa più opaca’ del mondo. Per l’inviato occorre essere presente fisicamente sul luogo per poter davvero testimoniare. E’ questo è difficile, quasi impossibile molte volte, non solo rischiosissimo.
La cerimonia del 30 giugno al monumento ai Caduti
Personalmente riscrissi la storia moderna di Macerata e l’uscita dal lungo incubo nazifascista grazie appunto ad una testimonianza. Quella di un uomo che era stato sul campo di battaglia, rischiato la vita, e liberato con i suoi compagni della ‘Nembo’ il capoluogo: il maresciallo maggiore paracadutista Giuseppe Minischetti da Roma. Mi venne a trovare, un pomeriggio di luglio, in redazione, galleria del Commercio 6. A Penna San Giovanni dove trascorreva l’estate con la moglie originaria del luogo, l’ex sottufficiale aveva avuto modo di leggere sulla cronaca di Macerata del giornale della sua città (Il ‘Messaggero’ di Roma) il comunicato dell’ottimo Fabrizio Liuti. Ed aveva avuto un soprassalto. Ma come? La battaglia sul fiume Chienti, a Colbuccaro di Corridonia? gli oltre trenta morti del reggimento che proveniva dall’ascolano e che risaliva le Marche occupate? I tedeschi che mitragliavano senza pietà sulla riva opposta, poi finalmente messi in fuga quella calda mattina di giugno? Dov’era finito tutto quel sacrificio di vite umane e generose? Finite nel dimenticatoio? Sì, fino ad allora. Ma, in quegli anni 80, dopo tanto tempo e solo per una mera doppia casualità (il soggiorno maceratese dell’ex militare romano e la lettura di un giornale) l’hegeliana Astuzia della ragione aveva avuto finalmente il sopravvento e la verità stava per farsi strada.
Lapide in memoria dei divisione paracadutisti Nembo
Minischetti mi raccontò tutto e il servizio, pubblicato in esclusiva e ripreso poi anche dalla stampa nazionale, ebbe l’effetto di un boato. I libri di storia furono ‘riscritti’ grazie ai caduchi quotidiani ed un monumento in riva al fiume venne eretto, grazie alla disponibilità della Fondazione Giustiniani Bandini (e del suo tesoriere, il compianto Roberto Massi Gentiloni Silvery) che donò il terreno. Dove ogni anno a cura dell’Anpi e della Brigata Folgore viene tenuta una breve ma intensa commemorazione. Ed una volta, chi scrive venne chiamato a raccontare la vicenda della ‘battaglia dimenticata’. Che personalmente ritengo il mio contributo migliore alla conoscenza della storia cittadina.
Il 183° Reggimento Nembo proseguì nella sua campagna di liberazione delle Marche. Giunto sotto le alte mura di Filottrano, non volle espressamente alcuna ‘copertura’ aerea pure offerta dagli Alleati sapendo che quella avrebbe potuto portare alla distruzione della città. Mi raccontò Ludovico Berardinelli, un maceratese che prese parte all’assalto: “Il nostro comandante disse al parigrado americano: in quella città ci sono italiani. E’ giusto che siano altri italiani a liberarla. Faremo da soli, senza le vostre bombe dall’alto”.
Liberazione di Filottrano
Così avvenne, il 9 luglio di 71 anni fa: una battaglia casa per casa. Filottrano alla fine venne liberata dai nazifascisti e salvata pure dalla rovina. Sabato prossimo la città ricorderà il fatto d’arme più rilevante delle Marche nell’intero arco della seconda Guerra mondiale con un intenso programma. Che prevede sin dalle 8,30 nella zona del fiume Musone in località Pradellona, il lancio di paracadutisti della Nembo. E nel pomeriggio dopo l’alzabandiera sulla storica torre dell’acquedotto lo scoprimento della lapide in memoria di Luigi Pistoia e la cerimonia di gemellaggio con il comune di Poggio Rusco. La sfilata del corteo con i reparti in armi, la messa in campo e la deposizione di corone d’alloro concluderanno in serata una giornata davvero particolare. Per non dimenticare.
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Caro Maurizio (Verdenelli), fai bene a ricordare il ruolo della Nembo che tra l’altro si accampò con le sue tende anche nel boschetto di Villa Gentilucci a contrada Saline di Penna San Giovanni. Minischetti avrebbe poi sposato la figlia del maestro di musica di Penna.
“….Sul fronte adriatico l’avanzata della Divisione continuò ancora ma nella giornata del 21 giugno la 184a cp. motociclisti incontrò resistenza nemica a Sarnano, proseguì ma urtò in una resistenza ancor più rigida nella zona di Abbadia di Fiastra e Colbuccarro; il giorno seguente, intervenne nel violento combattimento il XVI/183°, distaccando in avanti la 46a cp.. Allo scopo di saggiare la consistenza dello schieramento nemico, il giorno 26 giugno il XV/183°, con il concorso della 184a cp. motociclisti e del I/184° artiglieria attaccò con direttrice Sforzacosta – Macerata – Villa Potenza, impegnando il nemico posto a difesa della linea del Chienti; i tedeschi reagirono violentemente e respinsero l’attacco, reiterando, anche con intensa attività di pattuglie, la difesa fino al giorno 30, allorché ripiegarono oltre il Chienti. Nello stesso giorno il 183°, passato il Chienti a Sforzacosta, raggiunse Macerata mentre sulla sinistra il CLXXXIV btg. guastatori occupò Tolentino.
Filottrano.
Il 1° luglio un gruppo tattico della “NEMBO” (183°, I/184°, CLXXXIV guastatori e 184a cp. motociclisti) riprese il movimento su due colonne oltrepassando il fiume Potenza ed il giorno successivo il XV/183°, in movimento sulla rotabile Macerata – Jesi, si scontrò con il nemico sistemato a difesa sulla sinistra del torrente Fiumicello.
Il XVI/183° riuscì ad oltrepassare il Fiumicello ma il giorno 4 un forte attacco tedesco causò sensibili perdite, costrinse il battaglione a sganciarsi e riportarsi sulla destra del torrente. Nei giorni successivi la “NEMBO” avvicinò alle posizioni del Fiumicello proprie forze a sostegno dei reparti avanzati.
In seguito ai progressi del Corpo polacco che ad est raggiunse Osimo, si rese necessaria l’occupazione di Filottrano da parte della “NEMBO” : fu l’azione più dura, più gloriosa e più brillante della Divisione. L’attacco su Filottrano si presentò arduo non solo per la consistenza delle forze nemiche ma anche per la sua posizione a quota 270, dominante tutte le provenienze, protetta sul davanti dal torrente Fiumicello e sul tergo dal fiume Musone. La difesa di Filottrano era affidata a reparti della 278a Divisione fanteria tedesca appoggiati da carri armati e semoventi della 26a Divisione corazzata. Nei giorni 6 -7 luglio si ebbero delle operazioni preliminari da parte del gruppo tattico “Nembo”: la colonna di destra (183°) superò il Fiumicello ed avanzò con direttrice Imbrecciata – quota 189 – est di Filottrano; la colonna di sinistra (CLXXXIV guastatori) avanzò, più arretrata, sulla direttrice Osteria Nuova – Filottrano; il XIII/184° art. davano appoggio specifico alla colonna di destra. I tedeschi opposero una forte reazione di fuoco, ostacolando l’avanzata e sfruttando le vantaggiose condizioni del terreno, tanto che i reparti della “NEMBO” riuscirono a progredire assai faticosamente.
L’attacco su Filottrano fu deciso per il giorno 8 e l’azione fu così articolata:
la colonna di destra (183°), muovendo da Centofinestre, avrebbe attaccato lungo la direttrice Villanova – Filottrano;
la colonna di sinistra (XIII/184°) avrebbe effettuato un’azione sussidiaria da sud lungo la rotabile Imbrecciata – Filottrano;
la riserva divisionale (XIV/184° e CLXXXIV guastatori) avrebbe gravitato sulla destra;
I e II gruppo del 184° art. in appoggio alla colonna di destra, IV gruppo dell’11° art. in appoggio alla colonna di sinistra, gruppi I/II/III dell’11° art. e CLXVI gruppo quale massa di manovra;
previsto anche il concorso all’azione da parte di artiglieria e carri armati polacchi.
Dopo tre ore di dura lotta, i paracadutisti del XV/183° contrattaccarono appoggiate da 5 carri armati della 5a Divisione polacca “Kresowa” e ripresero contatto con la 45a cp. che poté sganciarsi dal nemico; una nuova azione di elementi blindati tedeschi e l’oscurità impedirono il mantenimento delle posizioni raggiunte.
Durante la notte i tedeschi evacuarono Filottrano e la mattina del 9 luglio pattuglie del XIII/184° si imbatterono in elementi ritardatari che furono posti in fuga. Quindi il XIV/184° entrò in Filottrano issando il Tricolore sul più alto edificio del paese. L’entità delle perdite (59 caduti e 231 feriti) testimonia l’asprezza e l’accanimento con cui si svolsero i combattimenti ma anche lo slancio ed il valore dimostrati dai paracadutisti della “NEMBO”……”
http://www.nembo.info/Nembo/Guerra/CIL.htm
Altre info qui:
https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Filottrano
Dal nostro lettore Ettore Aulisio riceviamo:
Nell’estate del 1944 io avevo dieci anni e vivevo a San Ginesio dove c’era il Comando della Nembo; ero divenuto amico del cuoco (Bepi di Vicenza) che preparava nel giardino della casa di un mio amico i pasti per un gruppo di paracadutisti della Folgore (una trentina), reduci della campagna d’Africa.
Ascoltavo spesso con interesse e curiosità i racconti dei soldati: tutti ricordavano la battaglia di Filottrano combattuta casa per casa; tra loro c’era un soldato divenuto cieco perché perché dei fascisti da una gli avevano versato sulla testa dell’acqua bollente.
Per quello che ricordo dicevano che quella di Filottrano era stata per loro la battaglia più difficile fino allora combattuta in Italia; dicevano pure che loro erano voluti andare avanti ai soldati polacchi per liberare quel paese senza provocare grandi distruzioni.
Non ricordo invece di aver sentito racconti circa la battaglia sul Chienti; ricordavano l’Abbadia di Fiastra perché, dicevano, lì avevano sparato di più in una successiva battuta di caccia (per rifornimento di carne conservata in una grotta di San Ginesio), che nel combattimento avvenuto alcune settimane prima nello stesso luogo.
Scusi l’intromissione con i miei miseri ricordi
La liberazione di Macerata??
Ma da chi?? non c’era più nessuno, sono andati a sforzacosta a chiamare i liberatori dicendogli che potevano liberare Macerata, oramai erano due giorni che i tedeschi se ne erano andati via