di Monia Orazi
e Sara Santacchi
Aspettava il padre mentre giocava con le costruzioni della Lego. «Vieni, sto costruendo un furgone, lo finiamo insieme». Sono le ultime parole di Simone Forconi al padre, dette per telefono la sera della viglia di Natale, prima che la madre Debora Calamai, 38 anni, lo uccidesse a coltellate (leggi l’articolo). A riferirle è il papà stesso del bambino, a poche ore dal delitto.
Il genitore non si dà pace. «Mi aveva chiamato dicendo che stava giocando con il lego – dice Enrico Forconi – stava costruendo un camion era grosso. “Vieni che lo finiamo insieme” mi ha detto. L’ho sentito tranquillo, mi sono fermato a parlare cinque minuti. I vicini sotto hanno sentito che ha urlato, lei era da un po’ di che non stava bene». La mamma di Simone tempo fa era stata ricoverata a Tolentino. La donna questa notte è stata interrogata in caserma dopo l’arresto. Era in stato confusionale. Si è chiusa nel silenzio di fronte alle domande degli investigatori e del magistrato Ortenzi. Un breve interrogatorio. «Debora Calamai è rimasta in silenzio tutto il tempo in stato gravemente confusionale» dice l’avvocato Mario Cavallaro che insieme all’avvocato Simona Tacchi assiste la donna. Nei prossimi giorni saranno disposti una serie di accertamenti circa le condizioni psicofisiche della 38enne.
San Severino è scossa per la tragedia che forse si poteva evitare. I segnali che qualcosa di grande sarebbe potuto accadere c’erano tutti. Tre giorni fa, la mamma che lavora come precaria, tramite una borsa lavoro nella casa di riposo di San Severino, gli aveva telefonato, chiedendogli di passare con lei la sera della vigilia di Natale, per scartare i regali insieme. Alcune colleghe le hanno sentito dire che voleva andare dall’estetista, farsi bella, elencando minuziosamente tutti gli interventi estetici, qualcuno osserva che aveva un comportamento alterato, fuori dal normale. Soltanto sabato scorso, riferiscono alcuni settempedani, sarebbe stata vista con abiti troppo leggeri per la stagione invernale, fare l’autostop in viale Eustachio.
Negli ultimi giorni Debora Calamai stava male, lo hanno ricordato sia i vicini di casa che le tante persone che conoscono la famiglia. Un comportamento sopra le righe, quello della donna, che si era ripetuto diverse volte. In passato era stata ricoverata ed assumeva dei farmaci. Negli ultimi giorni però le sue condizioni erano peggiorate. «Stava male – ha ripetuto ieri sera l’ex marito, Enrico Forconi – le facevano una puntura e basta. Andava curata di più». La donna era conosciuta nella zona. «Lei e il marito erano separati, è stato un dramma della solitudine lei era abbandonata a se stessa – dice una residente nel grande palazzo di via Zampa 40 – Simone era l’unico nipote per i nonni, era un bambino tranquillo.
Ieri sera non c’era nessuno, l’unico il muratore al piano terra con la sua famiglia». E’ stato lui a dare l’allarme sentendo le grida. Sono poi accorsi altri vicini della zona. Uno di questi ha visto la donna seduta su una panchina. Salendo le scale ha visto il bambino in un lago di sangue. «Il bambino ha chiamato a casa del nonno dicendo che doveva scartare i regali – racconta un’altra residente – e chiedendo che il padre venisse a prenderlo, forse si è scatenato in lei qualcosa per gelosia. Quando Forconi è arrivato ha trovato il 118 e il bambino morto». La chiamata di Simone al nonno viene confermata dal nonno stesso.
«Ha chiamato da noi – dice Gianmario Forconi – per parlare con il padre, mio figlio. Diceva che doveva scartare i regali, poi ha telefonato un’altra volta dicendo che stava giocando con le costruzioni Lego. Lo avevamo portato dalla mamma per cena». Una cugina del padre rivela che Debora Calamai stava male già da qualche giorno. «La madre di Simone sabato non è stata bene – dice la parente – il padre lo aveva portato da lei per fargli scartare i regali, era la madre, si era fidato, Simone era un ragazzo fragile e delicato. Soltanto dopo che è successo tutti capiscono, era scontato che poteva succedere». A scuola sono rimasti tutti scioccati. «Li conoscevo da due anni – dice il preside Sandro Luciani -proprio due giorni fa l’avevo visto con il padre, era tranquillo, un bambino buono». «Era un bambino di una bontà infinita – lo descrive un insegnante – tranquillo e timido». I compagni di classe, la terza E della media dell’istituto comprensivo Tacchi Venturi, questa mattina hanno posato davanti al portone di casa sua, un mazzo di fiori bianchi, scrivendogli «Un grande abbraccio, ti terremo sempre nel cuore». Intanto proseguono le indagini dei carabinieri del reparto operativo di Macerata, guidati dal tenente colonnello Leonardo Bertini, della compagnia di Tolentino guidata dal luogotenente Giuseppe Losito e dai carabinieri della caserma di San Severino, coordinati dal pubblico ministero Luigi Ortenzi. L’appartamento dove è stato ucciso il bambino è stato posto sotto sequestro.
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