di Marco Ricci
Per il gruppo Calamante sembrano lontanissimi i tempi in cui in direzione delle cave di Cingoli si incamminava un’ininterrotta processione di politici, sindaci, vescovi, assessori regionali e provinciali, autorità militari e civili di ogni ordine e grado, per festeggiare Santa Barbara e omaggiare uno delle più importanti attività imprenditoriali della provincia. Un gruppo, quello legato a Giuseppe ed Enrico Calamante, operante attraverso una quarantina di società in campi che andavano dall’estrazione, alle costruzioni, alla fornitura di materiali dell’edilizia, con operazioni poste in atto sia in Italia che all’estero. Così, dopo il fallimento decretato ad inizio 2014 della Sielpa, l’impresa del gruppo che si occupava principalmente dell’attività estrattiva, il tribunale di Macerata ha dichiarato fallita anche la Calamante srl, la società attiva nel movimento terra, nel calcestruzzo e nei conglomerati bituminosi. Anche la Valpotenza, di proprietà di Giuseppe ed Enrico Calamante e vera holding del gruppo con quote di maggioranza nella Sielpa srl e nella Calamante srl, ha richiesto al Tribunale di Macerata un concordato, dopo essere entrata nei fascicoli della procura di Ancona relativamente alle indagini legate al dissesto Banca Marche. I due imprenditori risultano infatti iscritti nel registro degli indagati, in concorso con altri, per 2.5 milioni di euro di finanziamenti ricevuti dalla Valpotenza da parte di Medioleasing per dei capannoni finanziati a stato avanzamento lavori e mai costruiti (leggi l’articolo). Il terreno privo di capannoni fu infine acquistato dalla controllata di Banca Marche e pagato mezzo milione di euro in più di quanto in origine avrebbero dovuto valere il terreno con le opere realizzate. Per la Valpotenza srl saranno i prossimi mesi a decretare il futuro e a permettere di capire se anch’essa è destinata a seguire la fine delle altre due imprese.
Tornando alla Calamante srl, la società – con sedici dipendenti e di proprietà della Valpotenza e di Enrico Calamante – possedeva impianti a Passatempo, Montelupone e Appignano (quest’ultimo poi trasferito per operare nei cantieri della terza corsia dell’A14) e aveva richiesto in passato un concordato preventivo al tribunale di Macerata. Nei mesi successivi era però seguita la presentazione di due diverse istanze di fallimento, una da parte di alcuni dipendenti che vantavano in media sette mesi di stipendi arretrati e l’altra dal curatore fallimentare della stessa Sielpa srl, Renzo Telloni. La Calamante srl avrebbe infatti debiti per circa 3 milioni di euro verso la stessa Sielpa. Poi a marzo di quest’anno, praticamente in coincidenza con la sentenza del Tribunale che doveva decidere sulle due istanze, il gruppo aveva pagato i dipendenti, con i magistrati che avrebbero dato tempo alla proprietà di tentare di risolvere la situazione, rimandando così la discussione in merito alla seconda istanza di fallimento.
Nel frattempo la Calamante srl non era rimasta con le mani in mano e ad inizio giugno, con una mossa che suscitò più di uno stupore, aveva dato in affitto un ramo d’azienda comprendente i capannoni e i mezzi per 2500 euro al mese a una società con capitale sociale di poche migliaia di euro, la Eco srl. Le perplessità legate a questa operazione erano legate principalmente sia all’esiguità dell’importo del canone di affitto, sia perché la nuova società risultava inattiva, sia perché i soci erano solo quattro tra i dipendenti del gruppo, sia perché il contratto venne stipulato quasi in contemporanea con la messa in liquidazione della stessa Calamante srl, il cui liquidatore risultava essere Giuseppe Calamante.
Questo finché il Tribunale di Macerata, solo pochi giorni fa, ha chiuso definitivamente la vicenda dichiarando fallita la Calamante srl e nominando giudice delegato Luigi Reale. Il curatore fallimentare indicato dai giudici è il commercialista maceratese Renzo Telloni, già curatore di Sielpa. Non è improbabile che Telloni revochi adesso il contratto di affitto alla Eco srl. Il Tribunale di Macerata, con la stessa sentenza, ha ordinato “l’apposizione dei sigilli su tutti i beni dell’imprenditore” cioè, si presume oltre alla formula di rito, sui beni intestati alla Calamante srl.
Si assiste dunque al lento sgretolamento di una importante realtà provinciale, con i preoccupanti strascichi occupazionali che questo comporta. A pagare il conto del dissesto del gruppo saranno adesso, oltre ai quarantaquattro dipendenti di Sielpa, i sedici dipendenti della Calamante srl il cui contratto edile, a differenza di altri, non prevede la mobilità. L’unica possibilità per questi lavoratori è l’ottenimento della disoccupazione speciale edile di diciotto mesi. Il rischio, al contrario, è di veder messe a repentaglio ulteriori famiglie dell’entroterra, spesso mono redditto, con tutte le difficoltà che questo comporta in un momento difficilissimo per l’edilizia e per l’economia in generale. Un impero, quello della famiglia Calamante, che in qualche modo comincia a cedere, rischiando di trascinare con sé un’importante fetta dell’economia dell’appignanese e del cingolano.
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Una storia di scatole cinesi, ops volevo dire marchesciane.
Bye Bye piscine….
A questo punto anche Santa Barbara se ne sarà fatta una ragione.
Scuate.. vi preoccupate delle piscine???
Se ho ben capito.. una società dopo un lungo tira e molla fallisce, dopo sei mesi fallisce anche una sua debitrice solamente dopo aver pagato solo i dipendenti (alcuni). Ma quasi contemporaneamente i beni della seconda vengono dati in affitto simbolico (mi sembra giusto… per uno che vanta 3 mln di debiti.. OPERE PIE) ad una terza società sembrerebbe creata “ad hoc”….
Il tutto sulle spalle dei lavoratori…
Qualcuno potrebbe aiutarmi a capire tutto questo giro.. che mi sembra un pò contorto…
Scusate ma la cosa mi sembra un pò contorta…
Sibillo, purtroppo è una pratica diffusa quella di chiedere il concordato preventivo, pagare una percentuale dei debiti accumulati ed affittare l’azienda in crisi ad una nuova società costituita per 2 soldi. Il vantaggio è che i fornitori, i dipendenti e le banche che aderiscono vengono tacitati con un costo in percentuale rispetto al monte debiti accumulato e la nuova azienda che riparte è bella pulita ed alleggerita del fardello debitorio.
Poi, invece, come in questo caso i dipendenti ed il Curatore, si sono accorti delle intenzioni della proprietà e, attraverso l’istanza di fallimento hanno impedito che si fosse praticato quello di cui sopra. Hanno fatto saltare per l’aria la Calamante Srl con il patrocinio della SANTA BARBARA (patrona appunto degli addetti ai materiali esplosivi ed ai fuochi pirotecnici).
L’impressione che ho avuto non mi è sembrata quella.. spero di sbagliarmi.
Americani!
….. e allora dicce che impressione hai avuto. Non fare il sibillino.
pensiamo anche a chi deve prendere soldi da questo bell’uomo
Coloro che falliscono, sono persone che hanno avuto la forza , il coraggio e la capacità di rischiare, sia nel bene e sia nel male ….Un fallito non è un buono a nulla, o un delinquente, come detta il verme della imbecillità collettiva, ma una persona alla quale, per suo malgrado, non ha potuto raggiungere i suoi obbiettivi. Tutto quì. Noto una certa soddisfazione del relatore dell’articolo nello stilare le varie vicende del signor Calamante, ma mi chiedo se lui, al suo posto cosa avrebbe fatto……A posteriori siamo tutti geni.
Bufalo la fa un po troppo semplice. ogni fallimento ha cause differenti, ma nin basta la crisi per far fallire un’azienda. Se i conti sono in ordine e l azienda ha un minimo di risorse proprie, alla peggio riesce a fare un concordato serio. Quando aziende nelle quali i soldi giravano in quantita’ industriali e a ritmi vertiginosi, nel giro di 2/3 anni collassano in questo modo, be’ … come diceva Andreotti?
…… a pensare male ci si azzecca sempre. In questo caso, Bufalo, non si prende una bufala, poichè questa gente (i vari Calamante e quello in foto soprattutto) sono sempre stati degli sbruffoni ed hanno trattato male i propri dipendenti e cercato di distrarre le risorse finanziarie dell’azienda per i propri fini personali. Non sono propriamente i prototipi degli artigiani falliti, che hanno fatto di tutto per salvare l’azienda ed hanno dato fondo ai propri patrimoni per non dover licenziare gli operai. Svegliati Bufalo!!
Cari signori, a grandi linee la situazione risulta essere come l’avete descritta,ma in effetti forse più complessa. Citando il sig.Bufalo, spero non debba trovarsi mai dalla parte opposta della barricata,probabilmente non è un operaio che vive di solo stipendio!!!!!!!!!!!!!!!! e termino quà!!!!!!!!!!!! Vorrei aggiungere un quesito. Non sarà per semplice caso che,la nuova società, sia stata costituita dai dipendenti più vicini alla vecchia società??????????????? e qua…. mi fermo sul serio…e comunque a qunto sembra la legislatura italiana permette tutti i vari giochini per poter farla franca a qualcuno poco onesto e metterla in quel posto chi il salario se lo suda!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!