Macerata, Corso (della Repubblica) e ricorso storico

Un capitolo da approfondire

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Davoli

Filippo Davoli

di Filippo Davoli

Sta succedendo qualcosa di estremamente interessante, una sorta di risveglio di Rain man, dove Rain man è rappresentato, a Macerata, dai quaranta-cinquantenni o giù di lì. Sulla spinta della nuova moda di facebook (il Sei di un determinato luogo se… – ormai postato per un’infinità di città, paesi e borghi), s’è come ridestato un gusto obliato dal tempo (e la gente, crescendo e mettendo su famiglia, cambiando insomma stile di vita, l’ha progressivamente perso) e dai travolgimenti della contemporaneità (l’avvento del cellulare e di internet, il decadimento dei centri storici, l’aggressione dei centri commerciali, etc.): il gusto di vedersi e di incontrarsi nella realtà quotidiana, in un luogo deputato da generazioni, assurto a ritrovo tradizionale dei giovani, dedicato allo struscio, alla vasca. A Macerata è stato sempre (finché c’è stato) Corso della Repubblica. Vedersi in Piazza non ha mai significato incontrarsi in Piazza della Libertà, ma sempre lungo il Corso.

Non sorprende che a sentire l’impulso irrefrenabile di ridare vita a un pezzo dirimente della propria adolescenza e prima maturità, siano stati prevalentemente quelli che – non esistendo i cellulari e non sospettando mai che in un prossimo futuro i calcolatori elettronici sarebbero diventati strumenti domestici di comunicazione – per vedersi tra loro dovevano uscire di casa e tentare la fortuna (relativa: perché in piazza gli altri c’erano sempre) nel luogo dei luoghi. Dove, oltre a quelli che come elastici scivolavano dall’inizio alla fine e viceversa, si formavano capannelli: i più adulti in fondo sotto le logge oppure a ridosso di Piazza Libertà; i più giovani sulle scalette di San Filippo (dove c’era il parcheggio dei motorini) o in zona portone della Provincia. E soprattutto circolava l’aria: quella che fa respirare; quella che alleggerisce il mal di testa dopo un pomeriggio di compiti; quella che fa circolare il pensiero; quella che origina le voci e le interseca. Quelli della mia età (48 anni) e delle generazioni precedenti siamo cresciuti tutti quanti così.

L’intenzione di ricreare un mondo, di rompere una bolla innaturale per quanto ormai sedimentata, non è semplicemente – a nostro considerare – una boutade occasionale, ma la dimostrazione concreta della necessità di rompere i cerchi dell’individualismo e tornare a riempire gli spazi della vita, ricominciare ad essere “corpo” (nel senso di corpo sociale), sperimentare quanto sia ancora vero che non c’è chat in grado di sostituire l’incontro di persona, gli sguardi, una pacca sulla spalla. Come quando si scrive (e credo di poterlo dire), il computer è un aiuto enorme, con le sue semplificazioni; ma il vecchio taccuino, chissà perché, conserva le sue ricchezze segrete, le sue insufflazioni migliori. Non a caso, ripeto spesso, nonostante il pullulare di poeti in erba in internet, il sogno maggiore di tutti resta la pubblicazione di un libro di carta!

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Macerata da sogno (fotoritocco di F. Davoli)

Tornando al nostro accadimento recente, è un fenomento interessantissimo che si formino tanti comitati spontanei di comuni cittadini, senza agganci o referenti politici o intenzioni seconde – per così dire… -, con l’unico obiettivo di riprovarci, mediante un appuntamento lanciato nell’etere e affidato unicamente al desiderio collettivo di riuscirci. Un po’ di inevitabile diffidenza, al di là delle dichiarazioni internettiane, ma alla fine si sono mossi in parecchi. Certo, mancano i parcheggi dei motorini e ormai anche quelli delle macchine (all’epoca c’erano anche quelli di Piazza Vittorio Veneto, di Corso Matteotti e di Piazza Strambi), però il cuore (e l’amore per la propria città) sembrano davvero immutati; come se venti anni si fossero annullati di colpo. E si rivedono facce che appartenevano ormai alla stiva impolverata dai giorni, si rincontrano nomi che l’età ha modicamente trasformato ma anche umanizzato, semplificato (certe deità irraggiungibili allora, diventate a portata di mano oggi), in certi casi si fanno pure nuove conoscenze (ed è l’aspetto forse più singolare e ragguardevole).

I maceratesi, dunque, non sono morti. C’è intatto, in loro, un auspicio antico e nuovo. Che non solo non tiene conto delle imposizioni culturali del presente, ma anzi si rende propulsivo, operativo. Con quella piccola tenacia insopprimibile ereditata forse dalla formazione mezzadra, che spinge – costi quello che costi – a salvaguardare l’orto da ogni sorta di minaccia atmosferica o animale. E internet, in tutto questo? Sta avendo un’importante funzione di raccordo. Ossia, sta incarnando il suo ruolo più autentico: quello di essere un mezzo e non un fine. Non pare poco.



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