Guardare all’Europa o piangerci addosso?

Ottavi in Italia? Puah! La gara al titolo di capitale? Puah! Il delirio d’onnipotenza è una grave malattia, ma il delirio d’impotenza è molto peggiore

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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

Dalla graduatoria annuale del “Sole 24 ore” sulla qualità della vita nelle centosette province italiane risulta che quella di Macerata si piazza all’ottavo posto (leggi l’articolo). Questo risultato, che deriva da innumerevoli  parametri  sociali, economici  e culturali, ha suscitato i sarcasmi coi quali una gran parte dei maceratesi  è solita accogliere ogni pur minimo segnale positivo sulla città. Vero è che gli effetti della crisi si avvertono anche da noi e sono pesanti. Ma quell’ottavo posto non significa affatto che nel Maceratese si viva benissimo. Figuriamoci! Significa semplicemente che da noi  si vive peggio che in altre sette province ma meglio che nelle altre novantanove. E questo in una situazione generale  che certamente è peggiore di quanto fosse in passato. Tutto qui. Ciò comunque non toglie che classificarsi ottavi su centosette sia, relativamente parlando, una buona notizia e lo sia soprattutto su scala regionale, giacché Ancona, Ascoli e Pesaro stanno dietro. E non capisco per quale strana ragione non dovremmo accoglierla con un minimo di compiacimento.
Ma ora vorrei soffermarmi su un argomento che solo apparentemente è molto diverso, cioè su  quale città otterrà il titolo di Capitale europea della cultura che fra cinque anni spetterà all’Italia. Nella prossima estate lo deciderà una giuria internazionale che ha già selezionato sei finaliste, ossia Cagliari, Lecce, Matera, Perugia-Assisi, Ravenna, Siena. Le candidature, all’inizio, erano ventuno e comprendevano anche Aosta, Bergamo, Caserta, Erice, Grosseto, L’Aquila, Mantova, Palermo, Pisa, Reggio Calabria, Siracusa, Taranto, Urbino, Vallo di Diano-Cilento e Venezia-Triveneto.  Due cose, a mio avviso, vanno sottolineate.  La prima è che, come dimostrano il binomio finalista Perugia- Assisi  e quelli, esclusi dalla finale, di Venezia-Triveneto  e Vallo di Diano-Cilento, la gara era aperta non soltanto alle singole città ma anche ai territori ad esse collegati, e molto vasti come nel caso, ad esempio, del Triveneto. La seconda cosa è che i titolari di  alcune delle candidate non ammesse alla finale hanno severamente criticato la loro esclusione con parole che sintetizzo così: “Ci siamo impegnati moltissimo, abbiamo presentato credenziali di assoluto valore, ma evidentemente hanno prevalso criteri di altra natura”. I soliti sospetti all’italiana? Può darsi. Ma ciò dimostra quanto ci tenessero, a questo blasone, considerandolo un’importante occasione di visibilità non solo in Europa e finalizzata non solo a richiamare turisti.
Un passo indietro. All’inizio di giugno dell’anno scorso il professor Francesco Adornato, preside della facoltà di scienze politiche all’ateneo maceratese, rivolse agli enti pubblici e alle associazioni private la proposta  di far concorrere anche la nostra città e la nostra provincia elaborando, tutti insieme, una candidatura in linea coi requisiti richiesti, requisiti non soltanto di storia patria, monumenti, uomini illustri  e cultura in senso stretto ma relativi pure ai persistenti valori civili, all’ambiente e allo spirito innovativo delle attività economiche. Un appello, insomma, che presupponeva  l’unità di intenti  fra il Comune capoluogo, gli altri cinquantasei  Comuni, la Provincia, le due Università, le Diocesi, l’Accademia di belle arti, la Camera di commercio, la Fondazione Carima, lo Sferisterio, il Parco dei Sibillini, la Confindustria, i sindacati, i musei, i teatri, le libere associazioni di cittadini. La qual cosa, a prescindere dall’esito del concorso, avrebbe dato prova di una coesione che da noi, a cominciare dal capoluogo, ha sempre fatto difetto e che invece – soprattutto oggi, in tempi di crisi – sarebbe servita, quasi per un allenamento di squadra, ad affrontare altre e più importanti sfide future su scala globale .
A prescindere, ripeto, dall’esito del concorso. Ma l’importante, diceva con spirito olimpico il barone De Coubertine, non è vincere, è partecipare. E a Macerata e al Maceratese non mancavano buone carte da giocare. Si pensi  agli oltre quaranta centri storici lungo i crinali del Chienti e del Potenza, che per la bellezza di chiese, palazzi e piazze possono competere con qualunque altra realtà territoriale del nostro Paese. Si pensi alla fascinosa singolarità del paesaggio, che nel raggio di pochi chilometri unisce il mare Adriatico ai monti Sibillini. Si pensi alle virtù civiche della popolazione, alla sua atavica inclinazione alla mitezza e all’accoglienza. Si pensi, ancora e sempre, a Giacomo Leopardi, alla scoperta, oggi, negli Stati Uniti, della sua sbalorditiva attualità di pensiero. Si pensi  alle due università: quella di Macerata – cinque facoltà, ventidue corsi di laurea – ha origini nel 1290 e quella di Camerino – anch’essa con cinque facoltà e ventidue corsi di laurea – nel 1336. Si pensi all’arte: il prestigio europeo del quattrocentesco “gotico cortese” dei Salimbeni a Sanseverino e della scuola di Cola di Pietro e Arcangelo di Cola a Camerino, e, con un salto di secoli, il “futurismo” a Macerata, e, ai giorni nostri, il numero uno della scenografia cinematografica Dante Ferretti, due volte Premio Oscar, e, nel campo dell’animazione multimediale, Iginio Straffi e il successo planetario delle sue “Winks”.  Si pensi  infine all’innovazione tecnica ed estetica dei prodotti industriali e artigianali, i Guzzini nell’illuminazione, la Frau nell’arredamento, Paciotti  e  Santoni nell’abbigliamento, e la Simonelli nelle macchine da caffè, che da tempo hanno varcato ogni confine. E molto altro dimentico.
Tutto questo, signori,  è “cultura”, una parola che di un territorio e di un popolo  esprime la storia, le cognizioni, le tradizioni, i comportamenti, il persistere di un costume di vivere. E non sarebbe stato sufficiente, tutto questo, per tirarne fuori  (cento pagine, con dati, immagini e testimonianze, in collaborazione con giovani ricercatori universitari) una decorosa candidatura che non avrebbe certo cambiato i nostri destini ma, come l’ottavo posto per qualità della vita di cui ho detto all’inizio, sarebbe stata pur sempre espressione di un’orgogliosa consapevolezza di sé?
 Ebbene, come è stata accolta la proposta di Francesco Adornato? Con un generale disinteresse, con un generale silenzio, perfino con qualche velenosa ironia. Rarissime, e di cortesia personale, le voci a favore. Poi nulla. I destinatari di quell’appello – istituzionali, politici, economici – si sono chiusi nella quotidianità del  loro “particulare”. Capitale europea della cultura? Ma via, noi abbiamo ben altro da pensare!  Ma via, non stiamo mica sulle nuvole, scendiamo sulla terra! E qualcuno, fra gli intellettuali, parlò perfino di “delirio di onnipotenza”, come se il solo immaginare che questa città potesse uscire, almeno una volta, dal suo grigio brontolìo sul presente fosse frutto di una malattia mentale. Ma il “delirio di impotenza” non è anch’esso una malattia mentale, forse più grave?  E sia. Si pratichi dunque la virtù cristiana dell’umiltà, tipica della “Civitas Mariae”, e, ahimè, la si pratichi con una pervertita tendenza all’autoflagellazione, sognando il premio eterno che ci aspetta dopo la morte. Amen.



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