Il diritto dell’informazione
e il caso della Croce Verde

IL COMMENTO - I fatti veri e di pubblico interesse vanno divulgati. Un conto è il risentimento per certe vicende interne e ora giudiziarie, un altro conto sono gli insulti ai giornalisti
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liuti giancarlodi Giancarlo Liuti

La professione di giornalista presuppone l’esercizio di un diritto e, al tempo stesso, il rispetto di un dovere: dare notizia dei fatti, purché veri e di pubblico interesse. Se un fatto non è vero, la violazione di questa regola determina conseguenze anche penali. Idem se il fatto è vero ma non di pubblico interesse, poniamo una relazione extraconiugale tra persone comuni che la coltivino nel loro privato. Spesso accade che la notizia di un fatto vero e di pubblico interesse abbia effetti spiacevoli per chi vi è coinvolto? D’accordo, ma ciò non cambia i termini della questione: il diritto del giornalista rimane. E non è un privilegio che gli concede la legge ma un principio che attiene alla sostanza stessa della democrazia, perché il diritto di informare realizza il diritto del popolo ad essere informato.

I lettori perdoneranno questo mio pistolotto introduttivo la cui ragione si trova però nella constatazione che da qualche tempo in alcuni esponenti locali della politica e della società civile si va palesando una sorta di pretesa o di aspettativa per cui certi fatti veri e di pubblico interesse non dovrebbero essere divulgati o dovrebbero esserlo in modo da favorire le loro esigenze di parte. Il che può essere frutto di ignoranza – grave, nei politici – di quel diritto, ma più probabilmente deriva dall’assurda presunzione di chissà quale intangibilità di casta, di censo, di classe. Non ci siamo, signori. E quando, come non di rado è capitato a Cm, tale presunzione assume le velate ma odiosissime forme della minaccia o del ricatto, allora vien da pensare che Macerata stia perdendo terreno in fatto di qualità dei rapporti civili. Stupirsene? Fino a un certo punto, giacché sono ormai decenni che in tutta Italia il potere di individui, gruppi e corporazioni si esercita senza alcuna consapevolezza dei limiti posti dalla legge e dalla morale.

  Vengo al punto. Il 23 gennaio scorso la Finanza ha effettuato un’ispezione nella sede della Croce Verde acquisendo documenti  che in qualche modo possano servire all’indagine della Procura su un’ipotesi di appropriazione indebita. Questo è il fatto. Vero? Verissimo. Ed è di pubblico interesse? Figuriamoci, la Croce Verde è una istituzione la cui benemerita attività di soccorso e assistenza sta nel cuore dell’intera comunità cittadina. Ecco allora che Cm e i giornali su carta ne hanno dato notizia, ciascuno, nei titoli e nell’ampiezza degli articoli e nella dovizia dei particolari, secondo la propria autonoma valutazione dell’oggettiva importanza  della cosa. Ora dunque sappiamo – la città sa – che è in corso un’indagine (il reato di appropriazione indebita è perseguibile a querela di parte e con ogni evidenza in Procura è giunta la querela di qualcuno) e nulla autorizza a previsioni  circa la sua conclusione, previsioni che, infatti, nessun organo d’informazione si è spinto ad avanzare. E se l’avesse fatto avrebbe valicato i confini della propria funzione.

 

I controlli effettuati dalla Guardia di Finanza nella sede di viale Indipendenza

I controlli effettuati dalla Guardia di Finanza nella sede di viale Indipendenza

E’ da tempo che in seno alla Croce Verde serpeggiano malumori  (c’è una specie di vertenza di lavoro da parte di alcuni ex volontari) e che, soprattutto, la scelta di svolgere attività di pompe funebri sta suscitando forti  reazioni da parte delle imprese private che si ritengono danneggiate da una presunta concorrenza sleale. Ma questo è un altro discorso, dal quale intendo pormi del tutto fuori. Anch’io, del resto, desidero che le difficoltà, se ci sono, vengano felicemente superate. E  ritengo espressione di un naturale e sincero risentimento, benché molto aspro nei toni, quanto hanno detto in proposito il presidente Stefano Monachesi  e il consigliere regionale Angelo Sciapichetti per sostenere le buone ragioni del sodalizio nel corso di una riunione fra soci all’indomani della “visita” della Finanza (“La Croce Verde è sotto  attacco per avere avuto il coraggio di mettere mano a un sistema malavitoso”, “non sarà qualche soggetto veramente squallido che è stato qui dentro a mettere in discussione un’attività gloriosa”, “abbiamo tolto l’osso al cane e il cane ha reagito, sta mordendo e ne fa sta facendo di tutti i colori”, “quando ci sono certi accadimenti c’è sempre un movente e l’abbiamo individuato, quando c’è un movente c’è sempre un committente e l’abbiamo individuato, quando c’è un committente c’è sempre un manovalante e l’abbiamo trovato”), affermazioni autentiche e divenute di pubblico interesse per il fatto, abbastanza singolare, che qualcuno, all’interno, le ha registrate e le ha poi passate ai giornali.

  Ma Monachesi e Sciapichetti hanno detto qualcos’altro: “Questa strategia è passata attraverso l’accoglienza di certi organi d’informazione per motivi sconosciuti ma siccome tutti hanno un prezzo anche l’informazione si può governare e manipolare come si vuole”, “la città è rimasta sgomenta da quello che alcuni giornalisti hanno scritto, e chiamarli giornalisti è un grande complimento, sono dei pennivendoli”, “non saranno giornalisti da strapazzo a mettere in discussione la solidarietà dei maceratesi”). A quali giornalisti, a quali giornali e a quali articoli si riferivano? E sarebbero loro la manovalanza di quel “sistema malavitoso”? Mistero. Tutto lascia credere che un così generico e insultante attacco all’informazione sia il frutto di quella aspettativa, o presunzione, o pretesa d’intangibilità di cui sopra, un atteggiamento mentale, questo, che, come ho sommessamente cercato di spiegare, ignora, dimentica o, peggio, disprezza la funzione sociale del giornalismo. I giornalisti possono certo sbagliare ed è giusto che paghino per i loro errori, ma in che cosa hanno sbagliato, vivaddio, nel divulgare i fatti veri e di pubblico interesse riguardanti la Croce Verde? Non riesco a capirlo. Solo una cosa ho capito: che di questo passo, non essendo il primo caso e forse neanche l’ultimo, la qualità della nostra vita comunitaria va a farsi friggere.



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