di Gabor Bonifazi
In via Gramsci, davanti al Palazzo delle Poste e Telegrafi e accanto alla ex Casa del Regalo, si apre un arco con un portone perennemente aperto da dove, attraverso un tortuoso ambiente voltato sottostante un lato di Palazzo Costa, inizia vicolo Consalvi. Sicuramente è uno degli scorci più suggestivi di Macerata, forse perché non vi è ancora arrivata la politica del recupero con la muratura “faccia a vista” anche dove non è mai esistita e una sequela di inutili elementi di arredo urbano. Il vicolo completamente pedonale, disabitato, incustodito, lasciato alla fantasia dei writer, in balia delle pantecane e utilizzato dagli interpreti della “movida” come luogo di decenza per le impellenti necessità, cela l’ultima tipografia del centro storico: la Uto.
L’Unione tipografica operaia mantiene inalterato il fascino del luogo del lavoro in un frammisto che va dal profumo dell’inchiostro a quello del piombo dei caratteri, dagli scoloriti manifesti appesi che comunicavano le manifestazioni dei tempi andati al rumore assordante delle vecchie rotative Heidelberg. Credo che sia una delle ultime tipografie della provincia dove si usano ancora i caratteri mobili. Dentro lo stanzone, una volta magazzino dei marchesi Costa, compariva e scompariva tra i macchinari un personaggio inconsueto con tanto di basco nero, sciarpa e tabarro. Era il compianto Dino Morresi detto Guttemberg per via dell’abilità con cui componeva le lastre e dosava l’inchiostro, l’ultimo testimone di questa storica bottega artigiana che si può far risalire addirittura agli anni ’20. L’ottuagenario Morresi fu testimone dell’ultima chiusura del portone: era il 23 ottobre del 1936 quando vennero chiusi i battenti per motivi di sicurezza, cioè quando il Duce venne a Macerata ad inaugurare il Palazzo del Mutilato costruito in soli sette mesi.
Ora il direttore della Uto, Claudio Pallotta, entra ed esce continuamente nell’antro con la sua Fiat 500 rossa dove carica rotoli di manifesti funebri freschi di stampa, appena sfornati dal nipote, da portare alla pubblica affissione, il tutto con grande gentilezza e simpatia a dimostrazione che la tipografia mantiene una attività non del tutto vitale. Il vicolo scende ripidamente tra varie superfetazioni, sbucando in corso Matteotti tra Palazzo Consalvi e il negozio di Bulli e Pupe. Purtroppo quest’ultimo edificio venne deturpato negli anni ‘50 con diverse aperture fuori scala e rivestito con tanto di orribili lastre di travertino. In questo caso non sono state rispettate le norme del piano di recupero del centro storico, che prevedevano a ragione la rimozione del travertino e il ripristino della muratura “faccia a vista”..
L’ultima storia carina e un po’ feticista su questo vicolo dalle pareti numerate, per via del fatto che qui si esponevano le opere degli artisti che partecipavano alla Marguttiana, c’è stata tramandata dal senatore Luciano Magnalbò. Il senatore scrisse un racconto esilarante e a sfondo erotico dopo aver rinvenuto in un giorno di pioggia di una quarantina d’anni fa, su quel tratto di pavimentazione sotto la lampada con piatto tipo osteria, uno slip e di averlo portato ad incorniciare da un montatore (corniciaio). Ora il quadretto con il sexy indumento di seta nera è conservato nel bagno della sua casa di campagna ed è meta continua di visitatori un po’ decadenti, che si domandano chi sarà quella donna che ha perso lo slip in vicolo Consalvi.
Ora la Premiata Unione Tipografica Operaia sta sul punto di traslocare in altri locali sempre di Palazzo Costa dove era la Quondam, la prestigiosa libreria antiquaria del quondam Marcello Sgattoni.
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Bellissimo pezzo, Gabor. A proposito dei caratteri mobili. A tre quart degli anni settanta uscì un mio libro su Pascoli. La prefazione era di Felice del Beccaro, dovevo presentarlo all’Università di Chieti epr un concorso, che ovviamente dovevo perdere, in quanto era già stato tutto predisposto: doveva vincere una allieva di Petronio. L’editore mi aveva inviato alcune copie. Ma, per errore, non era stata stampata la firma in prefazione di Del Beccaro, per me prestigiosa. Mi rivolsi al Morresi e lui, con pazienza, usò i “caratteri mobili” e sovraimpresse, a mano, la firma. A proposito di mani ricordo che Morresi salutava, sempre, con il “saluto romano”. Aveva un andamento celere e spedito. A metà tra corsa e marcia.
Architetto, pensa facciano ancora i bigliettini da visita a caratteri mobili?
Caro Guido, hai fatto un ritratto perfetto del buon tipografo Morresi (Macerata, 1925 – Loro Piceno, 2012. Dal saluto romano al suo marciare marziale al passo dell’oca, tant’è che Giuseppe Ciurlanti detto Peppe Sip aveva dato a Morresi un simpatico soprannome: Passegghiò.