di Manuela Berardinelli*
E basta! Ma in che specie di Paese viviamo? E’ di ieri la notizia che è stato scoperto un altro centro, a Sassari questa volta, dove i malati di Alzheimer venivano picchiati, seviziati.
Ora, che ci siano persone senza scrupoli, che per i soldi ed il business farebbero qualsiasi cosa, è purtroppo una triste realtà di cui la storia dell’uomo è piena.
Però in uno Stato di diritto in cui la tutela dell’individuo e la garanzia del rispetto della sua dignità sono elementi base della Costituzione, non si può neanche supporre che una fascia debole e inerte di cittadini possano rischiare di finire alla mercé di delinquenti senza scrupoli. Appurato che la cattiveria fa parte della natura umana, un Paese che non sia in preda ai selvaggi (e comunque qui ci sarebbe da discutere perché anche gli “inesplorati” hanno le loro regole e principi da rispettare…), tutela i più deboli soprattutto coloro i quali non sono in grado di protestare o riferire la sofferenza subita.
Non può essere nel modo più assoluto che non esista una cabina di regia che a livello nazionale disciplini l’Alzheimer affrontando il problema una volta per tutte. Ho più volte scritto che la malattia è brutta, ma ho detto anche che diventa ingestibile perché abbiamo sbagliato l’approccio ad essa.
Ho raccontato di aver visitato centri nel Nord in cui la centralità della persona è scopo primario e tutta la gestione quindi ne è una conseguenza. Dalla formazione del personale, alla struttura, dai volontari, alla famiglia un percorso unico seppure con le diverse competenze e ruoli per ridare dignità alla persona.
La malattia è degenerativa, ma si assistono a due risultati, il rallentamento del decorso, l’attenuazione dei disturbi comportamentali riducendo in modo significativo l’uso dei farmaci (ricordiamo che non ci sono medicine specifiche per l’Alzheimer…). Certo soprusi e misfatti come quello di Sassari sono da imputare ad un ristretto numero di persone, ma è anche colpa di ognuno di noi, soprattutto di chi sapendo come stanno le cose non fa nulla, seguitando a difendere un vecchio modo di affrontare la malattia fatto solo di medicine, che parla di abbandono e solitudine. Primo: occorre una regolamentazione che disciplini in modo serio e uguale per tutti l’Assistenza degli Alzheimer e la gestione dei Centri Diurni o residenziali che siano.
Secondo: serve una formazione specifica e dedicata delle persone e non solo degli addetti ai “lavori”, un filo conduttore sempre con l’obiettivo della persona al centro, che parte dal telefono Alzheimer, passa per i Gruppi di Mutuo Auto Aiuto, l’assistenza domiciliare e quella dei Centri ecc. ecc.
Più che amareggiata sono veramente imbestialita…, ma quanti Sassari ancora dovremmo sopportare e subire?
Certo che ce ne importa…e mica siamo noi i malati?Provate solo a pensare cosa voglia dire avere una malattia che ti ruba l’anima, il vissuto più profondo, la paura che tutto ciò determina (ci sentiamo disorientati quando ci perdiamo in una strada che non conosciamo…), il senso di sconforto, in questo quadro già di per se angosciante e in questo mettiamoci persone che si approfittano facendoti violenza ed aumentando lo spavento fino a farlo diventare terrore.
E non poter chiedere aiuto…, non riuscire a denunciare ciò che subiamo.
Vi è mai capitato di sognare che volete parlare, ma non vi esce la voce? Oppure muovervi per scappare ma le gambe sono incollate o lente? A me a volte sì e la sensazione di grande sollievo al risveglio nel rendermi conto che quel incubo non era realtà!
Ecco, immaginate che i malati già disorientati dalla malattia stessa possono finire in un’allucinazione del genere solo che è vera e senza possibilità di difesa. Hanno bisogno di tanto amore e di dottrina che però si misceli con il cuore….
E comunque senza arrivare agli estremi di Sassari il senso di desolazione ed i piccoli soprusi che i malati subiscono per poca informazione e formazione, è presente, è realtà vera di tante famiglie che sono in ginocchio.
Beh certo oggi la storia di Sassari farà notizia, domani un po’ meno e così a seguire e tutto tornerà come prima e il dolore, il pericolo che corrono tanti malati e familiari, cadrà di nuovo nel dimenticatoio, tanto che ci posso fare?
Dico che ognuno di noi può avere un ruolo in questo dramma, anzi deve, perché, e fate pure gli scongiuri, ma qui la scaramanzia può poco, provate solo a chiedervi se domani capitasse a voi come vorreste essere trattati, penso di scoprire l’acqua calda nel affermare che ciascuno vorrebbe essere assistito con cuore e competenza, e, non è un caso che la parola cuore l’ho messa per prima…
*Presidente dell’Associazione AFAM (Associazione familiari alzheimer Macerata)
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Ho vissuto l’esperienza di vivere accanto a mia madre malata di Alzheimer. Esperienza inizialmente allucinante.Stare vicino al malato ti assorbe completamente,ti spersonalizza,ti divora. Se qualcuno non ti da una scrollata e ti insegna a “vivere” vicino al malato sei finito e resti coinvolto tu stesso ed a quel punto non sei piu’ di nessun aiuto. La dottoressa che diagnostico’ il male a mia madre fu chiarissima. Mi disse che non dovevo farmi coinvolgere se volevo aiutare mia madre. Sono grato a questa dottoressa per il consiglio veramente importante, pero’ poi sul campo ci sei tu, con la persona cara malata che trovi ogni giorno sempre piu’ diversa da quella che conoscevi. Sul campo ci sei tu e nessuno ti aiuta veramente. Passai notti e notti a fare ricerche su internet per capire la malattia, per cercare di capire cosa mia madre poteva o non poteva comprendere, per cercare di capire come dovevo interagire con lei, come aiutarla a vincere le sue ansie, come aiutarla a togliersi dalla testa quella domanda che in quel momento aveva nella mente e, non riuscendo a ricordare ed a darsi una risposta, la portava ad agitarsi fino anche a divenire violenta con chi la assisteva. Violenta lei che nella vita non aveva fatto altro che fare del bene, aiutare gli altri.
Mi rivolgo ora a chi non ha avuto occasione di conoscere questa malattia. E’ terribile, forse la malattia piu’ devastante che esiste. Chi non ha avuto modo di conoscerla da vicino non puo’ riuscire a comprenderla non dico interamente, ma neanche un pochino.
Ora mia madre non c’è piu’ e, personalmente , non ho piu’ questo “problema”. Avrei voluto che lei ci fosse stata ancora ed avrei continuato ad assisterla con lo stesso amore, con la stessa pazienza, con la stessa attenzione, con la stessa dolcezza anche se, nel piu’ o meno completo abbandono delle istituzioni e della società, questo lentamente mi divorava.
Ora quindi non parlo per me, ma per i tantissimi malati, per i loro cari che stanno soffrendo come io ho sofferto . Se siamo un popolo civile interessiamoci di questa malattia, creiamo le strutture di sostegno idonee ad affiancare le famiglie. Ne hanno veramente bisogno.
Come il signor Giuseppe ho vissuto e sto ancora vivendo l’esperienza del alzheimer accanto a mia madre malata di alzheimer. Mia madre si è ammalata al’età di 57 anni , ora ne ha 63, sono stati sei anni, con molti momenti difficili. Anche io come il signor Giuseppe, non sapevo cosa fosse l’alzheimer, quando fu diagnosticato a mia madre andai su internet cliccai la parola alzheimer, e mi vennero fuori un milione di cose da leggere, e lo sconforto in me prese il sopravvento.Poi nel corso degli anni decisi e nello stesso tempo ho sentito il bisogno che non potevo soltanto stare a guardare, ma nel mio piccolo di fare qualcosa, di spendere un pò del mio tempo per questa realtà, unirmi a chi già stava portando avanti delle lotte per dare più dignità ai malati di alzheimer e ai suoi familiari.Mi rivolsi al AFAM ( associazione familari alzheimer Macerata) nella persona della presidente Manuela Berrdinelli, le dissi se potevo dare una mano, e mi accolsero a braccia aperte..Il mio non è un discorso personale ma un discorso soprattutto verso i giovani , verso il futuro, bisogna unire le forze, bisogna spronare, insistere, verso le istituzioni, le quali hanno la possibilità di realizzare strutture adeguate per l’alzheimer, visto anche le statistiche a dir poco preoccupanti sulla crescita della malattia per gli anni avvenire. Per quando riguarda la storia di Sassari, ci sarebbe da dire molte cose, credo che l’arresto di quei signori sia troppo poco, bisognerebbe fare a loro le torture fatte ai malti di alzheimer.
vivere con un malato di ALZHEIMER è allucinante….IO PREGO costantemente che CI SI PORTA VIA IN DUE….nel senso che MORIAMO IO ed il MALATO….perchè non si VIVE AFFATTO…..soprattutto quando vi sono I MOMENTI di CRISI DEL MALATO……che sono sempre di CRISI….il malato non se ne accorge ma tu si….il lato positivo è che il MALATO ha raggiunto la ragguardevole età di 87 anni e passa e si è ammalata da poco tempo….ALL’ULTIMO STADIO…..almeno quello di consolazione…..è triste leggere quando vi sono persone che si ammalano in GIOVANE ETA’…..è comunque non SI CAMPA….ANCHE PERCHE’ VI è UNA DIFFERENZA DI PESO notevole tra me e l’ammalata ed un disaccordo totale…..E TUTTO QUESTO SACRIFICIO non serve a niente….perchè tanto dopo morta la persona malata…..FINISCO ANCHE IO che non sono neanche di qui….
Avete toccato un’argomento che mi tocca molto da vicino, assisto da due anni uno zio ottantaquattrenne malato di alzhimer, suo malgrado era solo al mondo, mio malgrado avevo perso il lavoro, per nostra fortuna ci siamo trovati ad occupare il tempo insieme al momento opportuno (vedi tante volte la provvidenza!). I primi tempi, quando la malattia gli lasciava qualche momento di lucidità e si rendeva conto di qualche defaiance che gli capitava, non trattenere i bisogni fisiologici o confondere lo zucchero con il sale ……, mi diceva più pudico che preoccupato: ma quando finirà tutto questo! e la mia risposta era: quando finisci tu o quando finisco io!, Questa sarà certamente la conclusione, perchè a distanza di due anni lui vive nel suo mondo fatto di fisime, manie, allucinazioni e di rapporto impersonale con me, mentre la mia è fatta di assurdi sotterfugi per aggirare le sue fisime, manie e allucinazioni per trovare stratagemmi per fargli mangiare una banana che non è un oggetto da mettere dentro un vaso da fiori o convincerlo che devo cambiargli il pannolone che non è un’oggetto che qualcuno di nascosto gli ha messo nei pantaloni….., facendo finta a volte di essere badante a volte nipote secondo le necessità. Nonostante la difficoltà di assisterlo che ti toglie veramente il senso della vita , tua e sua, non accetterei mai di lasciarlo nelle mani di sconosciuti per quanto professionali, è una malattia con la quale si fa fatica a rapportarsi con fare umano, o lo segui meccanicamente come credo facciano nei luoghi migliori o devi sapere che ogni rapporto di affetto è sempre unilaterale, ogni giorno pensi oggi cosa dovrò affrontare mentre lui ti affronta come un’ostacolo alle sue mille manie autodistruttive, però tu sai chi c’era prima dentro a quel corpo mentre un’estraneo non lo può sapere, non riuscirà mai a percepire che quell’alieno una volta era una persona forse anche speciale. Ma sostanzialmente in merito all’articolo vorrei dire che nonostante abbia dovuto assogettarmi a fare cose che mai avrei immaginato di fare, non ho mai avuto ne l’istinto ne il pensiero di alzare le mani o umiliarlo, quello che subisce una persona con questa malattia supera ogni violenza e quelle persone che si sono macchiate di tanto orrore meriterebbero di viverlo in prima persona.