C’ERA MACERATA/2

Nuove riflessioni sulla città e il suo centro storico

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di Filippo Davoli

* “Cronache Maceratesi” è un po’ come sedersi al bar. Passano gli amici, passano anche i nemici, ma con tutti si può scambiare una parola, una battuta. È un dato della maceratesità, quell’aurea mediocritas che non conosce tinte forti fino all’estremo, né fronteggiamenti stile duello all’ultimo sangue. C’è del buono e del cattivo, in questo: del cattivo, perché è una porta naturale all’ipocrisia e alla chiacchiera. Del buono, perché può significare saper volare un po’ più alto delle piccole beghe. Il centro storico di Macerata è un po’ come quel piccolo bar. Diceva anni fa un caro amico poeta prestato alla politica che questa è la città degli inevitabili, tanto è piccola: dovunque ti metti fermo o dovunque cammini, li incontri tutti, che tu lo voglia oppure no. È in buona sostanza un borgo in grado di soddisfare pienamente le esigenze professionali di ogni buon p.r. locale. E CM ripropone quel modello nella felice soluzione dei commenti dei lettori: diviene un modo di effettuare un efficace brain storming quotidiano.

* Torno di nuovo sulla Macerata che c’era (e non c’è più), grazie alle sollecitazioni fornitemi da tanti commenti dei lettori, che una volta di più ringrazio. E se Renzo Serrani ricordava ad esempiol’amabilissima figura di Sergio Fantuzzi, a me questa riaccende anche il ricordo della vetrina di Pietrarelli che seguiva quella di Fantuzzi: splendidamente liberty, felicemente intatta, come quella di Medori in Piazza Cesare Battisti, a differenza di quasi tutte le altre, riaggiornate secondo criteri di modernità totalmente anonimi quando non imbarazzanti, infelici. Cominciò Sor Ettore Pompei, credendo probabilmente di fare cosa buona nello smantellare la facciata e poi l’interno di un caffè che Davoli-a-Merenda-1-300x192oggi sarebbe monumento nazionale. Poi perdemmo per strada la bella Libreria Zanconi con le piastrelline bianche e nere; i Bagni Pubblici di cui ho già detto nel corsivo scorso; l’alimentari di Ermete (coi suoi cassettini pieni di pasta corta sfusa e i panini giganti in polistirolo in vetrina; al piano di sopra c’era la cucina, chiamata “pensatoio”, dove Mario Buldorini conservava testi preziosi sul teatro maceratese, Ermete jr. suo fratello gli spartiti musicali del Secondo Futurismo maceratese; e dove Ivo Pannaggi era solito riposarsi e dare udienza negli ultimi anni della sua vita); quindi fu la volta del falso liberty di Venanzetti all’interno di un palazzo del Ventennio, fino alla già non bella Galleria del Commercio – comunque segnale riconoscibile della vitalità degli anni ’60 – trasformata recentemente in un freddo vialetto cimiteriale. Avevamo già perso il Caffè delle Terme (vediamo se qualcuno sa dove stava…), e smantellato il cine-teatro che ha sede dentro il Palazzo del Catasto, oltre naturalmente al Cinema Corso. Poi ha provveduto l’Università a comprarsi alcuni tra i più bei palazzi storici.

Davoli-a-Merenda-2-300x225* C’erano anche i piccioni, a Macerata. Che porteranno pure le malattie, ma facevano colore e calore in una città che era viva e vissuta. Le portavano pure prima le malattie, è dato sospettare. E la cacca la facevano pure prima, solo che probabilmente prima c’era un’attenzione diversa alla pulizia e al decoro delle vie. Oggi, invece, a lato dei portoni stazionano per ore ed ore i sacchi dell’immondizia in attesa dello “scuolabus” che li viene a prendere per portarli via. Avevano detto che si trattava di un sistema migliore, per togliere dalla vista gli orrendi cassonetti (cari, vecchi cassonetti…). Ci sono – grazie a questa brillante soluzione – vie storiche come Via Crispi in cui i residenti puntualmente documentano l’allevamento spontaneo delle pantegane, grazie ai residui di tutti i tipi in giacenza agli angoli delle case e dei vicoli. Tra i sampietrini cresce a tutto spiano l’erba, ma in questo manca l’intenzione di ricreare – dopo la sparizione dei cassonetti – un grande giardino urbano. Peccato: ci avrebbero preso per stanchezza, ma magari avremmo finito per crederla una buona idea. Come quella di realizzare la piscina comunale olimpionica proprio in Piazza della Libertà (come ho fatto in un mio fotomontaggio, che non a caso è piaciuto molto): avremmo creato la zona pedonale e nessuno protesterebbe più per la sparizione di posti preziosi per le auto. Vuoi mettere poi l’attrazione di tuffarsi dal terrazzo del Municipio? (Forse non la realizzano temendo la riedizione locale della defenestrazione di Praga…).

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Il portone di casa Liviabella

* Sarebbero forse scempi, ma sono solo sogni. Tuttavia, mi chiedo: ma chi li ha autorizzati tanti scempi reali? So che l’Ufficio tecnico solleva un mare di problemi per l’abbattimento delle barriere architettoniche all’entrata dei negozi (ma, contemporaneamente, proprio in Galleria del Commercio un disabile non può raggiungere in nessuna maniera il piano intermedio, mentre da decenni si assiste alla demolizione progressiva e sistematica di una civiltà che è stata davvero grande e bella, sia pure nelle ridotte dimensioni della nostra città (o forse anche grazie a questo).

* Da quale stiva miracolosa è arrivato il permesso di murare il portoncino di casa di un nostro musicista illustre, senza nemmeno apporvi sopra una finta porta? Che penseranno i turisti che si imbatteranno nella lapide che ricorda i natali di Lino Liviabella? Che la città si premura di murare i suoi artisti perché non nuocciano, limitandosi ad un encomio formale? Non errerebbe granché dal vero, ma almeno salviamo le apparenze…

* Un assalto che travolge la maceratesità in ogni sua componente, urbanistica e umana. Mi convinco che qui non è tanto un fatto di competenze tecniche (o non solo), quanto soprattutto di amore. Me ne stupisco, parlandone sempre abbastanza male (come solo ogni maceratese sa fare) e rivendicando quando posso l’essere nato a Fermo (come non ogni maceratese può fare); mi sa però che sono innamorato di Macerata e che sono più maceratese di quanto cerco di dimostrare. Probabilmente, la via d’uscita fermana mi preserva mentalmente dal dolore di vederla ridotta così.

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