E’ difficile credere alla scomparsa di Mauro Montali (leggi l’articolo). Sapevamo che la malattia gli stava inesorabilmente conquistando terreno nel corpo ma il suo vitalissimo spirito continuava a faci visita con le parole scritte, con le parole dette, con idee sempre rivolte al futuro. E ci eravamo convinti che lui fosse immortale. Ma in fondo lo è, soprattutto per chi, come me, ha dedicato la propria esistenza al giornalismo. Lo è nel ricordo che non può spegnersi degli episodi e delle esperienze a volte aspre e a volte esaltanti di una professione che ti mette a nudo davanti alla gente, ti costringe a sforzarti di non essere te, a tener conto dei fatti e dei pareri di tutti, a spiegarli e interpretarli come se fossero tuoi. Mauro, in questo, era un maestro. Per quel suo non scegliere mai un rigido campo in cui militare, quel suo superiore distacco dalle fazioni, quel disincanto che gli veniva dall’aver capito il girare del mondo.
Ci conoscemmo negli anni ottanta. Piovuto a Macerata da poco, una sera mi chiese qualche lume sulle vicende politiche di questa città. Ma, mentre tentavo di darglielo, dal suo sguardo mi accorsi che non gli bastava e che, in fondo, non bastava neanche a me. Eravamo entrambi incapaci – lui innocente, io molto meno – di penetrare nella natura profonda di una comunità che già da allora viveva negli equilibri indecifrabili fra forze e debolezze messe insieme da sfumature, allusioni, silenzi. Non dimentico la sua risposta: “Forse ci vuole un giornalismo più aggressivo”. E lo fece. Ma con un’ironia che ne mitigava l’asprezza, con un rispetto delle persone che ne esaltava la dignità. Io mi occupavo di altro e chissà se ne sarei stato capace. Ma l’opinione di Mauro sull’informazione cosiddetta di provincia – un’anima, la sua, più curiosa e inquieta della mia – mi fece riflettere sul mutare dei tempi che già stava avanzando.
E quando, lui ben prima di me, fu attratto dagli spazi di autonomia di giudizio che gli venivano offerti da Cronache Maceratesi, le sue cronache politiche ebbero una freschezza, un’immediatezza e una lungimiranza che il giornalismo cartaceo locale non aveva mai avuto. A mano a mano compresi che aveva ragione, e, anni dopo, mi resi conto che nel suo precorrere le svolte del destino c’era una saggezza dalla quale noi giornalisti non potevamo e non dovevamo prescindere. Accettai quella lezione e la libertà di Cronache Maceratesi finì per sedurre anche me. Caro Mauro, ti sia lieve la terra e generoso il cielo.
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Lo conoscevo per interposta persona, sapevo che era degno della massima stima! Condoglianze sentite alla moglie e agli altri familiari!