Lo Sferisterio, Cezanne e i soldi dei francesi
“SAN GIULIANO E’ CON NOI”

IL GIALLO DI CAPODANNO - Capitolo terzo

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  Terzo capitolo del thriller di Capodanno, il giallo a sei puntate pubblicato ogni giorno su Cronache Maceratesi. I commenti saranno aperti solo alla fine del giallo.                                                                                                          

  

Di Mark B. Montgomery

Natale 2011/capodanno 2012

 

                                                                                                                                         *** Troisieme ***

cezanne2-300x240Narra la leggenda che la chiesetta di Saint-Julien- Le- Pauvre, nel quartiere latino, ora di liturgia greco-melchita, sia diventata famosa per più  di un motivo. Intanto perché è citata da Gregorio da Tours che nell’Histoire de France fa diversi riferimenti alla “basilique du bienheurex Julien”. Ma non è mai stato possibile precisare di chi fosse l’identità del patrono dal momento che ben 35 santi sono scritti nel martirologio cristiano francese con questo nome. Tuttavia sia Gustave Flaubert in un suo racconto famosissimo che una successiva vulgata popolare trasformarono quel “pauvre” in “hopitalier”, ossia San Giuliano l’ospitaliere. Ma guarda, certe volte, il caso. Non solo: il grande romanziere aveva scritto la storia di San Giuliano (il francese) sulla falsa riga della leggenda maceratese: un uomo che, per errore, uccide il padre e la madre per poi convertirsi e aiutare gli altri. Luciano De Crescenzo poi, nel suo ultimo libro, dell’estate scorsa, “I Santi che piacciono a me”, condanna San Giuliano (il maceratese) a fare il trasbordatore di uomini, donne e animali tra le rive del Chienti e quelle del Potenza, quando, nell’antichità, erano due fiumi che mettevano paura.

E c’è ancora un altro motivo che rende celebre la chiesetta del quartiere latino (e questa non è leggenda ma storia provata): Saint Julien, a cavallo del 1300, divenne una sorta di cenacolo di eretici. Ed era lì che il sommo Dante andava ad ascoltare le lezioni, non proprio cattolicamente corrette, di Sigieri di Brabante. Il quale, poi, finirà in Paradiso. Magari, per dirla con un’espressione alla moda, a sua insaputa.

    A Macerata, quasi tutti ignoravano questa storia. Ma non certo il Preside. Il quale, quel livido mattino del 29 dicembre, sotto un cielo plumbeo che prometteva una “neige d’antan”, ossia una di quelle nevicate destinate a passare negli annali, si svegliò fresco e con le idee chiarissime nella piccola stanza che aveva occupato all’hotel de L’Odeon. Ormai a Macerata la sua scomparsa aveva fatto il giro dei quattro cantoni. La questura si era messa in contatto con l’Interpol, i giornali avevano allertato i loro corrispondenti, il sindaco era in continuo contatto con il suo omologo di Issy.

Il misogino Francalancia, pagato il conto, uscì dall’hotel e si diresse di buon passo verso la chiesa di Saint Julien, con le sue sacche a tracolla. Sembrava uno di quei rigattieri parigini che all’alba si dirigono verso uno dei tanti mercatini delle pulci per esporre le loro antiquate mercanzie.

    Cos’aveva in mente il preside?

    Innanzitutto voleva impossessarsi dell’èglise. Nel pomeriggio del giorno prima, in treno mentre Ivano Tacconi russava, aveva letto su Internet che c’era un solo custode: un algerino cattolico  che non avrebbe opposto soverchie difficoltà al blitz del maceratese che, con gli occhiali scuri ed il cappello, la corporatura tozza e quei baffoni spioventi, incuteva terrore. Inoltre, a quell’ora, di fedeli greco-melchiti non ci sarebbe stata ombra. Era il primo passo. Francalancia avrebbe chiuso la chiesetta, incatenato il custode e poi si sarebbe diretto verso la sommità del piccolo campanile per esporre un grande striscione con su scritto, in italiano, “San Giuliano è con noi”. Un po’ per suscitare attenzione presso l’opinione pubblica e un po’ perché il santo medesimo, San Giuliano, italiano, francese o slavo che fosse, finalmente desse un po’ di ascolto ai cittadini di Macerata che versavano in una grande crisi morale, economica e culturale. <Si consultasse con padre Matteo Ricci se ha qualche dubbio> pensò il preside. Il quale era sì ateo ma a modo suo. Tant’è vero che la notte prima che di partire per Parigi aveva telefonato al vescovo di Macerata svegliandolo da un sonno giusto e profondo. Tra Francalancia e il presule c’era infatti, da mesi, una “entente cordiale”, fatta di lettere, incontri furtivi, messaggi cifrati: il tutto con lo scopo di migliorare la città. Il vescovo, ormai, aveva perso le speranze che la classe politica, nel suo complesso, desse fenomeni di esistenza in vita ed aveva cominciato a colloquiare con la gente qualunque. Compreso il preside che, a dirla tutta, era ancora un po’ in lutto per la morte del dittatore coreano Kim Jong Il. Ma quando il diavolo e l’acqua santa trovano un accordo  c’è da sbattere i denti per tutti. Francalancia informò brevemente il vescovo che avrebbe compiuto un’azione dimostrativa anche a Saint Julien, ricevendone una cauta, moderata, non esplicita disapprovazione. Del resto, il preside non aveva confessato d’aver in animo di compiere anche qualche bel reato penale.

“La liturgia greco-melchita mi è sempre sembrata pericolosamente vicina all’eresia” sogghignò poi, tra sé e sé, il giovane vescovo marchigiano.

Il blitz fu più facile del previsto. L’algerino non fece una piega. Parlottava un po’ di italiano e quando il prode Andrea cercò di spiegargli che si trattava di un’azione pacifica e dimostrativa, il nordafricano ne  fu quasi contento. Avrebbe dato un senso diverso alle giornate tutte uguali e tutte ugualmente piene di noia. E già si immaginava le sirene della polizia e la sua foto (il povero maghrebino incatenato) magari su France-soir.

In effetti, la gendarmerie arrivò ma dopo parecchie ore. Quello striscione (San Giuliano è con noi) non aveva impensierito nessuno. Alla fine, però, qualcuno si insospettì, vedendo sbarrata la porta della Chiesa. La notizia, però, era destinata, di lì a poco, a sollevare un putiferio.

    Al municipio di Issy capirono al volo. In attesa di sapere dov’era andato a finire il Preside, c’era stata una prima riunione con Tacconi a proposito dello Sferisterio. Il consigliere comunale dell’Udc non sapeva che pesci prendere ma se la cavò comunque egregiamente. “Sapeva tutto Francalancia, io non saprei che dirvi”, salvandosi in angolo da provetto politico qual era. Improvvisamente, nella piccola saletta, entrò trafelato Renè Santini. “Venite tutti con me, forse ho una traccia dell’amico Francalè”, disse proprio così. Una piccola teoria di Peugeot 407 si mosse verso il centro di Parigi, in direzione di “Saint Julien”. Dove già c’era, quasi al completo, lo staff dell’ambasciata italiana, che s’era mosso, sia pure di controvoglia (era quasi capodanno anche in Francia e Parigi, con tutto quello sfavillio di luci, sembrava ancora più bella e imponente), per quel bizzarro caso del compatriota scomparso e della chiesa, in qualche modo, sequestrata.

    L’algerino, appena liberato da quattro cordoni che anche un ragazzino avrebbe saputo sciogliere, fece egregiamente la sua parte e raccontò l’accaduto, non prima d’essersi fatto fotografare per benino, dando, infine,un identikit preciso: quello del preside Francalancia. Ivano Tacconi trasecolò: possibile che il vecchio Andrea, stimato da tutti, si fosse macchiato di un incidente diplomatico -e non solo- come quello? Forse una precoce vecchiaia? Un colpo di freddo? Eppure, fino alla sera precedente, durante il lungo viaggio in treno, almeno fino a Modane, non aveva dato segni di squilibrio. Anzi, tutt’altro. Al vecchio Ivano sgorgarono quattro lacrimoni. “In quale pasticcio mi sono cacciato?” chiese a se stesso.

Il mistero, come si dice in questi casi, si infittiva col passare delle ore.

Il preside era scomparso di nuovo e a Saint Julien non aveva lasciato indizi delle prossime mosse. Eppoi: cosa significava quella, che ai più, sembrava una pagliacciata?

I parigini, flic, gendarmi, prefettura, giornali, un po’ ci ridevano sopra e un po’ erano preoccupati delle gesta di quel vecchio pazzo di italien. Il cenone di capodanno era a repentaglio.

A Macerata e in tutte le Marche, però, curiosità di massa e angosce di gruppo e personali andavano di pari passo. Il più sconcertato di tutti era ovviamente il vescovo.

A Parigi, nella concitazione del momento, nessuno si accorse che dalla parete di sinistra della chiesa rispetto all’entrata, era scomparso un antico quadro raffigurante San Giorgio che uccide il drago: al suo posto, un manifesto della stagione lirica del 1984, quella con la mitica Boheme di Ken Russell.

(3/continua)

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