La droga del sesso

Storia di Elisa e di una strana serata in discoteca

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ecstasydi Giuseppe Bommarito *

Elisa, dopo aver mangiato controvoglia quello che aveva trovato nel frigorifero, era tornata a letto. Nonostante avesse dormito sino all’una, o forse proprio per questo motivo, era ancora intontita e frastornata. Oppure, più probabilmente, non aveva ancora smaltito del tutto l’alcol e le pasticche mandate giù la notte precedente in discoteca. La casa era vuota, perché i suoi genitori, approfittando della giornata festiva, erano andati fuori città.

Nella sua testa però girava già da un paio di ore, da quando aveva iniziato a svegliarsi, un terribile pensiero fisso, che non sapeva se attribuire alla realtà oppure alle fantasie angosciose e agli incubi delle ultime fasi di dormiveglia. Nel silenzio più assoluto si mise a guardare il soffitto bianco della sua camera, cercando di mettere meglio a fuoco quel ricordo, confuso anche se così recente, che la stava ossessionando.

Si vedeva in macchina, nella notte appena trascorsa, con tre ragazzi, due dei quali sconosciuti, che, dopo la discoteca, la stavano riaccompagnando a casa. Il ragazzo accanto a lei, nel sedile posteriore, le metteva le mani dappertutto, nel seno, tra le cosce, sotto il minuscolo perizoma. Lei non sopportava quel palpeggiamento non desiderato e così sgraziato, ma si sentiva incapace di reagire, riusciva solo a ridere senza senso. Poi l’auto si era fermata in una zona buia e isolata e lei era scesa insieme ai suoi compagni di viaggio. Ridevano anche loro mentre la spogliavano del tutto e se la passavano nuda dall’uno all’altro. Poi, prima uno alla volta e dopo tutti insieme, avevano avuto rapporti sessuali con lei, senza violenza, però, perché lei non diceva nulla e docilmente si prestava a fare tutto quello che le si chiedeva. Senza provare piacere, ma anche senza minimamente reagire. Ricordava bene le risate dei ragazzi, i loro commenti volgari, il loro alito impregnato di alcol, le foto che a turno scattavano con il telefonino mentre lei era in posizioni sempre più imbarazzanti, il sollievo quando i tre avevano iniziato a tirarsi su i pantaloni. Alla fine l’avevano aiutata con gentilezza a rivestirsi e l’avevano accompagnata nei pressi della sua casa, non sotto casa, però, perché lei aveva assicurato ai genitori che avrebbe fatto andata e ritorno con il discobus.

Elisa, distesa sul letto, aveva una gran voglia di piangere, ma non era quello il momento. Doveva assolutamente ripercorrere tutto quello che era successo, a partire dal momento in cui all’andata era salita sull’autobus, per cercare di capire cosa ci fosse di vero in quel ricordo un po’ sfuocato che non smetteva neanche per un attimo di angosciarla.

Si rivide mentre, tutta in tiro, saliva sul pullman, profumata senza eccedere e con una minigonna da urlo. Sul discobus una trentina di altri ragazzi, maschi e femmine, tutti giovanissimi. Alcuni, i più agitati e già mezzi ubriachi, erano attaccati ad una bottiglietta di birra, qualche altro invece manteneva un profilo più basso e, silenzioso e concentrato, guardava in continuazione fuori dai finestrini: erano quelli che spacciavano in discoteca, prima fuori e poi dentro, e usavano il discobus, sia per l’andata che per il ritorno, per sfuggire ai controlli e alle perquisizioni che le forze dell’ordine facevano alle auto nei pressi del locale. Poi, arrivata a destinazione quasi all’una di notte, la fila davanti all’ingresso, più veloce per le donne, quasi tutte dotate di un pass fornito da qualche pierre, e finalmente dentro. Musica assordante, con qualche milione di battute al secondo, e luci stroboscopiche multicolori che roteavano ad intermittenza in alto, sui pavimenti e sui muri.

Elisa, senza trovarlo, aveva cercato con lo sguardo Giacomo, il pierre incontrato lì qualche settimana prima e con il quale, dopo i primi contatti con facebook e con messenger, si era messa insieme. Era così carino e pieno di desiderio. Anche Elisa lo aveva subito desiderato, tanto che qualche giorno dopo averlo conosciuto gli aveva inviato sul computer alcune sue foto che la ritraevano seminuda, con un sorrisetto malizioso ed ammiccante, e ben presto, già il sabato successivo, quando erano usciti a tarda notte dalla discoteca, avevano fatto l’amore in macchina.

Alcune sue compagne di classe, come lei, si facevano fotografare a seno nudo, oppure del tutto nude, e poi inviavano tramite la rete queste foto ai loro amici o ai ragazzi sui quali volevano fare colpo. Per la verità, ce n’erano due delle sue compagne di classe che, per comprarsi i cellulari più nuovi, scarpe, borse e abiti griffati,  oppure qualche dose di droga, con quelle foto si proponevano anche per rapporti sessuali a pagamento, con tariffe differenziate per il semplice palpeggiamento, il sesso manuale, quello orale e quello completo; e poi, pure vantandosene, il sesso lo facevano veramente, anche con qualche schifoso vecchietto pedofilo.

In attesa dell’arrivo di Giacomo, che non era ancora in vista, Elisa era andata al bar a fare la prima consumazione. Aveva chiesto e ottenuto un superalcolico. Era minorenne, ma a nessuno lì importava che lei avesse solo quindici anni. Stava ballando in mezzo alla pista insieme ad alcuni suoi amici quando fu raggiunta da Giacomo, già su di giri. “Ascolta – le aveva detto, baciandola e passandole ostentatamente una mano sul sedere – devo aspettare ancora un paio di gruppi che ho invitato e poi devo finire di distribuire in giro le pasticche. Oggi c’è molta richiesta. Tieni, intanto prendine una anche tu, io poi ti raggiungo”.

Lì dentro di volta in volta spacciavano in molti: oltre a diversi esterni, anche qualcuno tra i baristi, i dj, i pierre, i buttafuori. La discoteca, per una qualche inspiegabile legge della natura, era una zona franca, un altro mondo, a legalità zero, dove poteva accadere di tutto e di più nell’indifferenza generale. Elisa non sapeva se i titolari fossero direttamente coinvolti in quell’attività di spaccio su larga scala, ma di sicuro non potevano non sapere: le pasticche, la ketamina, la cocaina, facevano infatti parte, insieme all’alcol distribuito al banco, del pacchetto, dell’offerta di sballo a tutto campo che il locale assicurava e che era proprio alla base del grande afflusso di giovani e giovanissimi di entrambi i sessi.

Le forze dell’ordine dentro il locale non mettevano piede, né in divisa né tanto meno in borghese, si limitavano a piazzarsi lungo le strade del ritorno, alle quattro di notte, per togliere qualche patente con il palloncino; e qualcuno, un po’ per perfidia, un po’ per l’ingiustificatezza di tale scelta, sosteneva con l’occhietto furbo di chi la sa lunga che carabinieri e poliziotti fossero a busta paga dei padroni dei locali. Elisa non ci credeva, preferiva pensare ad una leggenda metropolitana, perché suo zio era un carabiniere ed era una persona onesta, però tra i ragazzi la voce girava a mille.

Elisa tornò  a concentrarsi su quello che aveva fatto la notte precedente. Ricordava di aver mandato giù la pasticca (la prima, perché successivamente ne aveva presa anche un’altra) e subito, come sempre, aveva comincito a sentirsi più sicura di sé, completamente a suo agio, tranquilla e senza ombra di timidezza in quel caos terribile, con la musica che spaccava le orecchie. Dopo un po’ Giacomo, terminati i suoi impegni, era venuto a prenderla in pista e l’aveva portata ad un tavolo dove c’era ammucchiato un gruppo di ragazzi e ragazze che si facevano in continuazione delle cannucciate. Qualcuno ogni tanto andava nei bagni, secondo Giacomo per tirare un po’ di cocaina. Pure Elisa aveva bevuto più volte quel beverone insipido, composto da mille intrugli, tra i quali era riuscita a riconoscere solo il mojito e il cuba libre. D’altra parte, per non fare la figura della stupidella ignorante non aveva mai chiesto ai suoi compagni di bevute cos’altro ci fosse lì dentro.

Poi, sino alla fine era stata proprio una bella serata insieme a Giacomo, in pista e al tavolo. Nel suo ricordo Elisa si vedeva instancabile, mentre ballava, beveva altro alcol, abbracciava Giacomo, parlava e rideva con tutti, provando dentro di sé solo gioia ed eccitazione ed una sensazione di assoluta invincibilità. Tutto bene sino a quando, avvicinandosi l’orario di chiusura, Giacomo le aveva detto che non poteva riaccompagnarla perché era troppo ubriaco e che l’avrebbe fatta portare a casa da alcuni suoi amici. Non era servito a niente protestare, Giacomo era stato irremovibile. E così era cominciato quel viaggio di ritorno effettuato su strade secondarie per sfuggire, come se si stesse giocando a guardie e ladri, all’etilometro in agguato sulla nazionale, quel viaggio di ritorno che ora tanto la angosciava.

Da questo momento in poi, però, i suoi ricordi si facevano più imprecisi. Confusamente rammentava la rabbia per l’atteggiamento duro di Giacomo, le iniziali risate con i compagni di viaggio, ampiamente fatti di alcol e droga e orgogliosi di essere sfuggiti ai controlli delle forze dell’ordine, e poi quelle mani tentacolari che arrivavano dappertutto, con quello che ne era seguito quando l’auto si era fermata nel buio, che lei ora non sapeva se attribuire alla realtà o ad un incubo.

Elisa era incredula, disperata e terrorizzata. Se quel sogno orribile corrispondeva alla realtà, non riusciva a spiegarsi per quale motivo avesse accettato, senza reagire, quella strana violenza di gruppo senza violenza. Se quel sogno orribile corrispondeva alla realtà, allora ben presto qualcuno dei ragazzi l’avrebbe ricattata, chiedendole altre prestazioni sessuali per non diffondere sulla rete le foto scattate mentre lei si concedeva a destra e a manca. E magari, anche se avesse ceduto per un po’ di tempo a quel ricatto, chi le assicurava che prima o poi le foto non avrebbero fatto comunque il giro dei telefonini di tutti i suoi amici e conoscenti? A quel punto non le sarebbe rimasto altro che buttarsi da una finestra. Parlarne con i genitori? Non poteva, l’avrebbero riempita di sguardi interrogativi, di pianti e di prediche, chissà, forse anche di schiaffi, e sicuramente non l’avrebbero più fatta uscire. Forse avrebbe potuto accennare qualcosa a Giacomo. No, maledizione, Giacomo l’avrebbe lasciata subito, e poi, forse, a pensarci meglio, lui sapeva bene sin da quando si erano salutati tutto quello che sarebbe successo. Non restava che aspettare tre o quattro giorni, sicuramente di angoscia, con il cuore in gola, per capire se quell’incubo apparteneva alla realtà o ai sogni.

* * *

Realtà  o fantasia? Chi può saperlo? Speriamo però che si sia trattato solo di un brutto incubo di Elisa, oppure di una fuga in avanti di chi scrive, che magari si è fatto troppo prendere la mano dalle brutte cose che tutti i giorni gli vengono raccontate.

E’ certo però che il sesso precoce, l’invio di foto hard di ragazzine minorenni sui telefonini e in rete (riscontrato anche in qualche scuola del maceratese), la baby prostituzione (ricordo il caso di qualche mese fa a Porto San Giorgio, che vedeva coinvolte diverse giovanissime, poco più che adolescenti, che d’inverno facevano sesso a pagamento in spiaggia con persone anziane), la droga dello stupro (il Ghb, detto anche ecstasy liquida, che viene sciolto nelle bevande per stordire le vittime di violenze sessuali e renderle incapaci di reagire), sono tutte realtà indiscutibili anche dalle nostre parti.

Ed altrettanto indiscutibile, nonché vergognosa, è la sfrontata e impunita attività di spaccio di droghe di ogni tipo e di somministrazione di alcol ai minorenni, svolta in maniera palese e su larga scala all’interno delle nostre discoteche, nell’entroterra e sulla costa, che grida sicuramente vendetta.

Eppure da noi nessuno vuole andare a vedere (con giovani agenti in borghese) quello che realmente succede dentro questi “templi del divertimento” e tutti, dalle famiglie alle istituzioni, mentre si inneggia sui giornali e nelle televisioni locali alla movida ed alle notti che non finiscono mai, si ritengono soddisfatti in termini di prevenzione dei settimanali, burocratici, bollettini delle forze dell’ordine: “Effettuati nel fine settimana 150 controlli; 9 patenti ritirate per superamento del tasso alcolico e 3 patenti ritirate per l’uso di sostanze stupefacenti”. Io però, pur ritenendo giusti e sacrosanti i controlli con l’etilometro, mi chiedo, e spero di non essere il solo a farmi queste domande: possiamo accontentarci di qualche patente ritirata? Possiamo prendercela sempre e solo con i ragazzi, che sono le vittime di questa situazione, in gran parte consapevoli, certo, ma comunque vittime, lasciando agire indisturbati e chiusi nelle loro fortezze i padroni del vapore, che sui giovani ingrassano e lucrano?

* Avv. Giuseppe Bommarito

(Presidente onlus “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”)

 



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