di Giuseppe Bommarito*
I numerosi commenti (tutti ben accetti, anche quelli di forte critica, specialmente se ragionati e argomentati) al mio articolo sulla cannabis ed i luoghi dello spaccio di questa sostanza a Macerata richiedono alcune precisazioni.
La prima considerazione da fare è che la comunità scientifica, italiana e internazionale, classifica senza ombra di dubbio la cannabis (quella attualmente in circolazione, con il principio attivo, il THC, al 25-30%) come una droga (cioè come una sostanza psicotropa) e riconosce le gravi conseguenze che possono derivare dall’uso prolungato e ripetuto della stessa, soprattutto per i consumatori più giovani, il cui cervello, in via di sviluppo, può essere particolarmente danneggiato dalla c.d. “erba”. Ad esempio, non il sottoscritto, ma il Consiglio Superiore della Sanità già nel 2003 riteneva che “l’uso della cannabis sia gravato da pesanti effetti collaterali, quali dipendenza, possibile progressione all’uso di altre droghe come cocaina e oppioidi, riduzione delle capacità cognitive, di memoria e psicomotorie, disturbi psichiatrici quali schizofrenia, depressione e ansietà, possibili malattie broncopolmonari, tra cui bronchite ed enfisema”. A sua volta, nel 2001, il prof. G. Battista Cassano, psichiatra docente all’Università di Pisa, parlando della cannabis, scriveva: “Questa droga agisce sulle stesse strutture del cervello interessate dalla cocaina e dalla morfina, ed è quindi un fattore di grave rischio per il successivo passaggio all’uso di cocaina ed eroina … costituisce un attivatore di patologie psichiatriche … il consumatore abituale può cadere in uno stato avolitivo, cioè una situazione di compromissione grave della volontà e dell’affettività, un appiattimento assoluto della persona”. Nel 2003 il prof. Silvio Garattini, il massimo esperto della politica farmacologica italiana, elaborava un documento, ancora a nome del Consiglio Superiore della Sanità, dal titolo “La cannabis non è una droga leggera”, in cui si legge: “L’uso protratto della cannabis sembra capace di indurre attacchi psicotici in soggetti già predisposti e di esacerbare i sintomi di pazienti già diagnosticati come tali … l’assunzione di cannabis nell’età dell’adolescenza aumenta, in modo proporzionale alla dose, il rischio di sviluppare schizofrenia”.
Negli Stati Uniti, dove un deciso cambiamento di rotta sulla cannabis ha consentito di ridurne il consumo, diminuito negli ultimi anni del 25%, la rivista scientifica Neurology ha evidenziato nel 2006 che “i fumatori dello spinello vanno incontro a deficit cognitivi e della memoria, difficoltà nel mantenere l’attenzione, rallentamento delle capacità di riflessione e ridotta espressività del linguaggio”. In una lettera aperta dell’American Psychiatric Association alle famiglie, risalente al 2002, i genitori vengono invitati a dire la verità ai figli sulla marijuana, in quanto “i ragazzi di oggi fanno uso di cannabinoidi sempre più potenti ed iniziano ad utilizzarli in età sempre più precoce, durante una fase cruciale per lo sviluppo del cervello”. In Inghilterra il giornale “The Indipendent”, da decenni in prima linea per la legalizzazione della cannabis, nel marzo 2007 ha chiesto pubbliche scuse con un grande titolo a piena pagina: “Cannabis: an apologize (Cannabis: scusateci)”, motivando questo clamoroso ripensamento (la cannabis fa male, anzi malissimo – scrive il giornale, citando a riprova la prestigiosa rivista scientifica “The Lancet” – forse, nelle attuali concentrazioni di THC, è peggio di ecstasy e LSD) con i numeri record di adolescenti divenuti negli ultimi anni consumatori con problemi psichiatrici e di dipendenza.
Ampie campagne governative anticannabis, rivolte soprattutto ai giovanissimi, sono state svolte di recente, o sono tuttora in corso, in Francia (il primo paese europeo a muoversi), Spagna (il Ministero della Salute ha lanciato nel 2006 una campagna informativa sui pericoli della cannabis intitolata: “Ci sono treni che è meglio non prendere”), Germania, Inghilterra, Australia (sollecitate dall’Università di Melbourne), persino in Olanda (qui è intervenuto il Netherland Institute of Mental Health and Addiction) e in Svizzera (sono scesi in campo nel 2005 i “Medici svizzeri contro la droga”), oltre che negli U.S.A..
Tutti ignoranti, bugiardi, falsi e ipocriti? Tutti dediti alle crociate contro l’erba, alla demonizzazione dello spinello, a impressionare le famiglie, a scrivere articoli strappalacrime per un nonnulla o per fare colpo? Tutta gente che fa ridere e deve vergognarsi?
Poi, certo, vanno aggiunte anche altre ovvie considerazioni: fanno malissimo anche l’alcol ed il tabacco; le politiche di prevenzione contro tutte le sostanze che danno dipendenza devono basarsi fortemente sull’educazione dei ragazzi e sul dialogo in famiglia e nella scuola; un conto è un uso occasionale di spinelli, un altro è un uso ripetuto, se non un abuso; così come bisogna distinguere tra gli effetti della cannabis su una persona adulta e quelli ben più gravi arrecati a giovani e giovanissimi. E bisogna pure ribadire che il passaggio ad altre droghe non è la certo la regola, ma sicuramente la cannabis predispone a ciò, non solo per l’attivazione degli stessi recettori cerebrali, ma anche per l’abitudine ad una percezione alterata della realtà e per la conoscenza di soggetti che spacciano e che offrono di tutto, specialmente quelle sostanze per loro più redditizie e fidelizzanti (cocaina ed eroina). Se poi molta gente non passa ad altre sostanze, ciò non vuol dire che, rimanendo ferma alla cannabis quale sostanza di abuso principale, non faccia uso comunque di una droga (che leggera non è).
A chi esclude che la cannabis possa dare dipendenza, ricordo infine (oltre ai pareri scientifici sopra citati) che il 10% circa delle persone seguite dai vari Sert sono consumatori abituali di tale sostanza (e la metà di tali soggetti presenta anche una diagnosi di patologie psichiatriche).
Solo in Italia (quarta in graduatoria fra i 27 paesi della Unione Europea nel consumo di cannabis), quindi, il problema della cannabis non lo si vuole affrontare per quello che effettivamente è, si preferisce andare avanti per slogan e luoghi comuni risalenti a qualche decennio fa e ormai ampiamente superati dalla comunità scientifica e dalle politiche di gran parte dei paesi europei e degli stessi Stati Uniti (dove – sia detto per inciso – il recente referendum californiano ha visto nettamente prevalere coloro che si opponevano alla legalizzazione della marijuana). Solo in Italia parlar male della cannabis (cioè raccontare con esattezza gli effetti negativi che derivano dall’uso prolungato della stessa, soprattutto per i giovanissimi, così come scientificamente accertati) equivale a parlar male di Garibaldi: qui, anziché far sentire a tutti i livelli una forte disapprovazione sociale, precisa ed aperta, preferiamo continuare a dire ai nostri figli che uno spinello non è poi così grave, che lo fanno tutti, che la canapa è sempre esistita, che ha anche delle proprietà medicinali …
Dire le cose come stanno non significa, a mio avviso, fare del terrorismo gratuito, ma solamente cercare di sensibilizzare e informare i ragazzi e le loro famiglie, anche perché qualsiasi seria politica di prevenzione, a livello familiare, scolastico e sociale, non può che partire dalla piena consapevolezza dell’esistenza e della reale gravità del problema.
* Avvocato e Presidente dell’Associazione onlus “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”
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LA MAPPA DELLO SPACCIO
Il precedente intervento e il dibattito tra i cittadini:
https://www.cronachemaceratesi.it/2011/03/10/la-mappa-dello-spaccio/
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Egr. Avv. Bommarito,
ho letto con attenzione i suoi articoli e le propongo quindi di approfondire il discorso sulla “vexata quaestio” alla luce di altri e diversi studi, anch’essi ovviamente con il crisma dell’autorevolezza scientifica. Ciò non per polemizzare con lei bensì per proporre ai lettori un’altra chiave di lettura riguardo un tema così sensibile, altrimenti potrebbero incorrere nell’ingannevole idea che la comunità scientifica internazionale abbia già bollato unanimemente la cannabis come droga comune e pertanto indiscutibilmente dannosa e nociva.Partiamo da un giudizio sul quale saremo concordi, gli effetti indotti dall’uso di marijuana sono svariati, hanno differente intensità a seconda del soggetto, dalle circostanze psico-fisiche in cui la si assume, dalla contemporanea assunzione di alcool o altre sostanze psicoattive, dall’assuefazione del consumatore e dalla quantità di principio attivo assunta; i principali effetti possibili sono:
attenuazione della reattività fisica e mentale;
temporaneo abbassamento della pressione sanguigna;
effetto leggermente euforizzante o sedativo;
rilassamento muscolare;
broncodilatazione;
aumento dell’appetito, soppressione della sensazione di sazietà (comunemente detta “fame chimica”) e molti se non tutti questi effetti vengono indotti anche dall’uso di alcool;
se assunta in ingenti quantità, nei soggetti predisposti, può provocare stati d’ansia e nausea;
in soggetti con psicopatologie latenti, anche se è raro, può scatenare queste stesse, riguardo tali effetti collaterali e con una particolare attenzione alla depressione si legga l’interessante studio: Decreased depression in marijuana users, dei dottori Thomas F. Densona dell’ University of Southern California e Mitchell Earleywineb dell’ University of New York ha mostrato una diminuzione della depressione nei consumatori di cannabis. Nel marzo 2007 la rivista scientifica The Lancet pubblica uno studio che evidenzia minore pericolosità della marijuana rispetto ad alcool, nicotina o benzodiazepine.Attualmente si stanno conducendo studi sugli effetti dell’esposizione prenatale alla marijuana, che pur escludendo l’aumento di patologie perinatali (parto prematuro, basso peso alla nascita) hanno riscontrato effetti sullo sviluppo delle cellule del sistema nervoso nella corteccia prefrontale e nell’ippocampo. Clinicamente questi bambini presentano deficit dell’apprendimento, problemi della socializzazione e turbe comportamentali (simili, nei casi più gravi, alla sindrome alcolica fetale), che compaiono in età scolare.Obstetric and neonatal effects of drugs of abuse. Levy M., Koren G. — Department of Pediatrics, Hospital for Sick Children, Toronto, Ontario, Canada. Tuttavia, altri studi avrebbero evidenziato che l’esposizione moderata ai cannabinoidi della marijuana durante la gravidanza diminuirebbero della metà il rischio di morte alla nascita.Vediamo però quali potrebbero essere anche gli aspetti terapeutici (perchè ce ne sono) dell’uso della cannabis.La canapa indiana è usata per contrastare la diminuzione dell’appetito nei pazienti affetti da AIDS e da cancro e per diminuire la nausea derivata dai trattamenti chemioterapici e dalle irradiazioni. Inoltre causa un effetto positivo sui soggetti affetti da dolori cronici, da sclerosi multipla (diminuzione del rigore muscolare) e sulla sindrome di Tourette. Ad oggi, come accade per la maggioranza delle molecole attive presenti sul mercato, sono ancora in corso studi che accertino la validità di questi effetti, non esistendo alcuna prova definitiva ed univoca che dimostri l’efficacia dell’impiego medico; tuttavia milioni di consumatori nel mondo – anche affetti da gravissime patologie – attestano di ricevere benefici dai principi attivi della pianta, utilizzata in medicina da migliaia di anni e presente nella farmacopea ufficiale fino alla metà del ‘900.In Olanda, in Spagna, in Canada e in undici stati degli USA l’uso della cannabis a scopo medico è già consentito, in altri paesi europei ed extraeuropei l’argomento è al centro di accesi dibattiti sia sul piano scientifico che su quello etico. Principale studioso e promotore dell’uso terapeutico della Cannabis e della sua decriminalizzazione è il Professor Lester Grinspoon, psichiatra e professore emerito dell’Università di Harvard. In Italia,approfonditi studi in materia sono stati effettuati dal neuropsichiatra prof. Gian Luigi Gessa e dal dott. Giancarlo Arnao.Negli ultimi anni (2010) si stanno conducendo molti studi sulla reale gravità dell’uso di canapa. Molti test hanno infatti paragonato la canapa all’alcool, al tabacco e alla caffeina, sostanze totalmente legali, e i risultati sono stati poco scontati. Ad oggi sappiamo che la canapa, a differenza dell’alcool non arreca alcuna dipendenza fisica, anche ad un uso a lunga durata. Basti pensare che secondo studi condotti la dipendenza data da una tazza di caffè è anche maggiore. Anche sotto un punto di vista dei sintomi a lungo termine la canapa viene messa alla pari con la caffeina. Un altro punto di vista sicuramente positivo è che i casi di gente che ha necessitato di un soccorso medico a seguito dell’uso di canapa è raro. Infatti sappiamo che la canapa a differenza di alcol e altre sostanze non ha un limite di dose (overdose/coma etilico). Non ci sono casi accertati di persone morte a causa di canapa, casi isolati erano dovuti a sostanze mischiate ad essa. Le morti a causa di cancro non sono legate alla sostanza, ma dalla combustione del fumo. Un’assunzione per via orale ovvia questo rischio ed è quindi la prova che non è la sostanza a crearne i sintomi anzi, recenti studi hanno evidenziato che diversi principi attivi della Cannabis sono anti-tumorali. Studi condotti sul danno sociale hanno anch’essi dato risultati positivi. Ricerche condotte sulle segnalazioni di violenza, stupri, atti vandalistici, sono spesso collegabili ad un uso di alcool o cocaina, la canapa non risulta portare a violenza e non induce uno stato di aggressività collettiva. Da tutti gli studi condotti è infine risultato che l’alcool è la sostanza stupefacente più pericolosa, che strappa dalla vita migliaia di persone ogni anno in stretta comparazione alla eroina, mentre la marijuana è risultata lo stupefacente di minore impatto e danno sociale del singolo individuo. Alcuni ricercatori hanno osservato che un uso molto elevato di questa sostanza può alterare la psiche C’è da evidenziare però che questa pianta sta suscitando sempre più interesse per applicarla in malattie degenerative come Alzheimer, Parkinson, Sclerosi Multipla e altre. Diverse ricerche evidenziano che la marijuana aiuta la formazione di nuove cellule cerebrali.Da ultimo uno sguardo al “danno sociale” nel 2005, i Premi Nobel per l’economia Milton Friedman, George Akerlof e Vernon Smith sono stati i primi firmatari di un appello, Cost of Marijuana Prohibition: Economic Analysis sottoscritto da 500 economisti americani per denunciare gli altissimi costi (7 miliardi di dollari all’anno) del proibizionismo sulla marijuana. Secondo Friedman questa legge rappresenta «un sussidio del governo al crimine organizzato».
Secondo un sondaggio commissionato all’Ipsad dall’Istituto Superiore di Sanità pubblicato nel febbraio 2008, dieci milioni di italiani approvano l’uso della cannabis. In sintesi credo che questa problematica vada analizzata partendo da un informazione a 360° e che sia seguita da un altrettanto forte campagna di sensibilizzazione riguardo l’uso e l’abuso di alcool e tabacco, anch’esse, le ricordo, droghe ma con un grado di mortalità davvero allarmante, basti pensare ai 30.000 morti l’anno, solo nel nostro paese, per cause direttamente connesse all’abuso di alcool.
Tanto dovevo
Tommi Gun.
Mi associo totalmente alla posizione dell’amico Peppe Bommarito. Credo inoltre che sollevare (e sacrosantamente) il problema dei gravi nocumenti prodotti dall’alcol non giustifichi, tuttavia, un’attenzione più blanda alle conseguenze del consumo di cannabis. Della serie che non smettiamo di curare il cancro perché si muore di più d’infarto.
Filippo come sempre preciso!
l’intervento di tommi gun ha il merito di mettere un po’ di ordine in questa (sacrosanta) campagna di informazione di bommarito che spesso diventa una cieca guerra santa contro tutte le droghe.
il problema che si vuole affrontare è quello della dipendenza (fisica e psicologica) da qualche sostanza o quello del “vizio”, della “debolezza”, del “piacere” nell’uso di questa sostanza? perché se parliamo della dipendenza allora tommi gun ha chiaramente spiegato come alcune sostanze come (alcol, tabacco, medicinali) che creano dipendenza (e patologie mediche) sono gestite dallo stato in lecita vendita ed altre, come la cannabis, non creano dipendenza e sono gestite da un altro stato in “libera” vendita.
se poi vogliamo parlare del “piacere-vizio” di bacco-tabacco-venere lasciamo il discorso scientifico ed entriamo in quello di costume-società
Voglio anch’io lasciare il mio commento anche se con ritardo e consapevole del fatto che quando una notizia non appare in prima pagina difficilmente verrà letta. In ogni caso però visto che molti dei commenti di forte critica citati nell’articolo erano miei desidero non lasciare morire la mia opinione.
Praticamente l’intervento di Tommy Boy ha già detto quasi tutto quello che c’era da dire, è stato veramente esemplare e sono contento di non essere l’unico a far sentire la sua voce per quanto possa essere scomodo esporsi su questi argomenti. Inoltre ritengo che certi punti di vista meritino lo stesso spazio del signor Bonmarito perchè pubblcare articoli che espongono tesi analizzate da un solo lato non giovi all’informazione e non è giusto pensare che i nostri siano solo commentari al punto di vista dominante. Al contrario sono l’espressione di un pensiero radicato e diffuso in tutti gli strati culturali e sociali della nazione italiana. So che la redazione di Cronache Maceratesi da sempre lascia spazio ai commenti dei suoi lettori favorendo la libera circolazione di idee quindi forse in un futuro prossimo potremmo avere la fortuna di vedere anche articoli veri e propri che facciano la così detta “contro-informazione”.
Si perchè infatti di questo si tratta. Apprezzo molto il fatto che l’avvocato Bonmarito abbia risposto sulla falsa riga dei temi da noi sollevati cercando di mantenere vivo il filo della discussione e fornendo risposte sulla base delle domande poste, senza ignorarle. Ha quantomeno il merito di aver creato un dibattito anche se forse questa non era la prima delle sue intenzioni.Il punto focale però consiste nel fatto che su certi argomenti viene a crearsi un pensiero dominante spesso erroneo ma allo stesso tempo invalicabile perchè supportato dalle strutture di potere. La storia ci insegna come ogni battaglia per la verità abbia dovuto passare più e più volte sotto le forche caudine dell’ottusità del potere che allo stesso tempo guida le masse, inconsapevoli della loro ignoranza.
La questione della pericolosità dei cannabinoidi è simile alla questione del geocentrismo rinascimentale, impossibile da scardinare se non si cerca di assumere un punto di vista differente. Punto di vista espresso magistralmente da Tommy Boy che pone in evidenza come esista una scienza ufficiale che pone dei dictat bollando come scienza non convenzionale tutto il resto. Se ci basiamo solo su questo quindi i commenti del Bonmarito sono tutti corretti. Se però ci poniamo con umiltà ad un’analisi scevra di pregiudizi ci accorgiamo che quello che sappiamo è solamente quello che ci viene detto. La fortuna è che esistono persone coraggiose e capaci che ci mostrano come questa scienza ufficiale contraddica la realtà dei fatti, e tutte le rivoluzioni mediche e scientifiche sono nate perchè in un certo momento storico non hanno più potuto restare sorde di fronte al grido dell’evidenza.
Quindi 5 sono i punti che voglio sollevare e che commenterò in un prossimo intervento nel caso in cui questo abbia un seguito, come mi auguro.
1)Non si può pensare di eliminare l’uso di sostanze psicotrope da una società. Da quando l’uomo ha iniziato a fare uso della ragione ha sempre ricercato stati alterati di coscienza per approfondire il suo rapporto esistenziale con l’assoluto. Reperti achelogici (vasellame, pitture…) dimostrano la centralità di questo in ogni cultura. Forse l’unica possibilità di strutturalismo ancora accettabile dopo gli anni ’60 fa leva proprio su questo punto, cioè l’universalità della ricerca di una realtà altra.
2)Il problema attuale riguarda l’utilizzo e l’abuso di queste sostanze, non la loro presenza. Quindi sarebbe opportuno fare una coscientizzazione sul tema piuttosto che una battaglia persa in partenza. Non si può impedire ad una pianta di crescere ma si può spiegare alle persone come usarla in maniera coscienziosa.
3) Non c’è nessuna evidenza che dimostri che l’uso di Cannabinoidi porti all’utilizzo di altre droghe. Anzi è vero il contrario. Spesso chi fuma tende ad informarsi e sa benissimo la differenza tra un Trip o una pasticca e una canna. uniformare le droghe significa nascondere questo pericolo che a questo punto può portare si all’assunzione progressiva di sostanze sempre più potenti. Se si fa un sondaggio tra i consumatori di Cannabinoidi si vedrà come la maggior parte sia contraria a sostanze chimiche di ogni sorta. Se si ascoltano invece le voci di ci ha raggiunto un livello di autodistruzione totale allora sarà l’autocommiserazione a parlare mostrando come il loro percorso non sia stato dettato dalla loro volontà. Chi oggi è dipendente era consapevole dei rischi ma ha voluto affrontarli lo stesso secondo la sua volontà. E’ sbagliato credere che siano vittime delle sostanze, sono invece vittime della loro volontà e noncuranza allo stesso modo in cui una persona che fuma tre pacchetti al giorno non può stupirsi se a 60 anni gli viene diagnosticato un tumore ai polmoni.
4)Le sostanze esposte nell’articolo non sono quelle che effettivamente si reperiscono nel mercato. Infatti non è l’erba che i giovani fumano ma prevalentemente hascisc che diventa nocivo nel momento in cui viene tagliato con altre sostanze per aumentarne la massa (ad esempio ammoniaca). Questo perchè è il mecato nero a renderle disponibili: un kilo di hascisc fisicamente occupa molto meno spazio di un chilo di erba ed è molto più agevole da transportare. La soluzione ideale sarebbe non tanto la legalizzazione della compravendita ma la possibilità di coltivare Cannabis tranquillamente in proprio. Una sorta di agricoltura biologica. Questo permetterebbe di ridurre al minimo la presenza di sostanze nocive e ucciderebbe in un sol colpo il giro di miliardi di euro, legati anche a violeze, omicidi, criminalità organizzata che rappresenta la piaga più grande e infame di questo paese.
5)La mancanza di una voce contrastante è data dal fatto che lo stato non supporta ricerche da punti di vista alternativi. Chi lo fa è costretto a nascondersi oppure a rischiare persecuzioni mediatiche e legali. Se l’informazione e la scienza fossero libere i dati espressi da Bonmarito sarebbero diversi e forse lui stesso comincerebbe a vedere come la fonte di tutti i problemi sia, prima di tutto culturale. Chiunque può bere una bottiglia di Wiskey ogni giorno appena alzato ma quante persone lo fanno pur essendo questo legale? Evidentemente la questione della legalità è separata dalla questione dell’uso, esistono infatti milioni di persone che pur avendo provato o utilizzato per periodi più o meno brevi Cannabinoidi abbiano poi deciso di smettere non per paura ma per scelta. Questa è la libertà non coercitiva che noi tutti ci auguriamo per la nostra società.