Ai Presidi delle Facoltà dell’Università degli Studi di Macerata,
Al Rettore dell’Università degli Studi di Macerata prof. Roberto Sani e al Pro-Rettore prof. Luigi Lacchè,
Al Senato Accademico dell’Università degli Studi di Macerata,
In molti Atenei italiani le dimensioni assunte dalla protesta nazionale promossa dai ricercatori, caratterizzata dalla rinuncia alla didattica volontaria, hanno spinto i Senati accademici a deliberare il rinvio dell’inizio dell’anno accademico. E ciò sia per ragioni di opportunità politica, sia per dare un segnale di solidarietà concreta ai colleghi ricercatori.
In questo contesto, anche i sottoscritti docenti di questo Ateneo esprimono il disagio nei confronti della pretesa riforma dell’Università in discussione alla Camera, che associa al taglio delle risorse vitali al sistema universitario pubblico la mancanza di interlocuzione reale con i soggetti coinvolti (personale docente e non docente).
L’adesione alla protesta ci pare un necessario gesto di opposizione civile ad una riforma che sottrae alla comunità scientifica universitaria i mezzi finanziari ed umani necessari per svolgere dignitosamente il proprio lavoro. Pur condividendo, infatti, le ragioni di una riforma dell’Università, riteniamo che tale riforma non possa fondarsi sul prosciugamento delle risorse. Le generiche e vagamente ricattatorie promesse di fondi che accompagnano la riforma Tremonti-Gelmini, più che rassicurare ci sembrano nascondere un intento complessivo di smantellamento della ricerca pubblica, intento che non può essere accolto dal silenzio della comunità scientifica nella quale ci riconosciamo.
La convinzione che occorra lanciare un segnale coeso di dissenso e di solidarietà politica del tutto trasversale alle divisioni tra fasce di docenza, allo scopo di esercitare una pressione visibile nei giorni della discussione parlamentare, ci induce a richiedere un pronunciamento formale da parte del Senato accademico nel senso della sospensione dell’attività didattica per due settimane a partire dalla giornata di oggi lunedì 4 ottobre 2010.
Confidiamo che la nostra posizione sia condivisa dal maggior numero possibile di docenti e che diventi comune all’intero Ateneo di Macerata.
Macerata, 28 settembre 2010
Roberto Acquaroli (Giurisprudenza)
Mathilde Anquetil (Scienze politiche)
M. Eugenia Bartoloni (Giurisprudenza)
Filippo Benelli (Giurisprudenza)
Christine Berthold (Lettere e Filosofia)
Beatrice Bonafè (Scienze politiche)
Andrea Caligiuri (Giurisprudenza)
Giuseppe Capriotti (Beni culturali)
Ronald Car (Scienze politiche)
Lina Caraceni (Giurisprudenza)
Roy Cerqueti (Economia)
Mara Cerquetti (Beni culturali)
Uoldelul Chelati Dirar (Scienze politiche)
Fabio Clementi (Scienze politiche)
Francesca Coltrinari (Beni culturali)
Ninfa Contigiani (Giurisprudenza)
Ines Corti (Scienze politiche)
Angela Cossiri (Giurisprudenza)
Luigi Cozzolino (Scienze politiche)
Elisabetta Croci Angelini (Scienze politiche)
Lucia D’Ambrosi (Scienze della comunicazione)
Cristina Davino (Scienze politiche)
Valerio Massimo De Angelis (Lettere e Filosofia)
Luca De Benedictis (Economia)
Francesca De Vittor (Scienze politiche)
Livia Di Cola (Giurisprudenza)
Marco Dondero (Scienze della formazione)
Patrizia Dragoni (Beni culturali)
Pierluigi Feliciati (Beni culturali)
Clara Ferranti (Lettere e Filosofia)
Armando Francesconi (Scienze politiche)
Chiara Francesconi (Giurisprudenza)
Claudia Giontella (Beni culturali)
Hans Georg Gruening (Scienze della comunicazione)
Sergio Labate (Scienze della formazione)
Vincenzo Lavenia (Scienze politiche)
Danielle Lévy (Scienze politiche)
Didia Lucarini (Giurisprudenza)
Anna Lukianowicz (Lettere e Filosofia)
Roberto Mancini (Lettere e Filosofia)
Natascia Mattucci (Scienze politiche)
Laura Melosi (Lettere e Filosofia)
Susanne Meyer (Beni culturali)
Raffaella Niro (Scienze politiche)
Paolo Palchetti (Giurisprudenza)
Emmanuele Pavolini (Scienze politiche)
Tommaso Pellin (Lettere e Filosofia)
Paola Persano (Scienze politiche)
Tatiana Petrovich Njegosh (Lettere e Filosofia)
Francesco Pirani (Beni culturali)
Carmelo Maria Porto (Scienze politiche)
Paolo Ramazzotti (Economia)
Isabella Rosoni (Giurisprudenza)
Carlo Sabbatini (Giurisprudenza)
Marco Sabbatini (Lettere e Filosofia)
Mauro Saracco (Beni culturali)
Luisa Scaccia (Economia)
Cristina Schiavone (Lettere e Filosofia)
Michela Scolaro (Beni culturali)
Margherita Scoppola (Scienze politiche)
Elisa Scotti (Scienze politiche)
Luca Scuccimarra (Scienze politiche)
Stefano Spalletti (Scienze politiche)
Andrea Tassi (Giurisprudenza)
Giorgio Trentin (Lettere e Filosofia)
Benedetta Ubertazzi (Giurisprudenza)
Angelo Ventrone (Scienze politiche)
Massimiliano Zampi (Giurisprudenza)
Maria Letizia Zanier (Scienze politiche)
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Già. La situazione non è bella per chi lavora nel mondo dell’istruzione, in particolare per ricercatori/docenti universitari e per gli studenti. Soprattutto chi avrebbe voluto intraprendere in futuro la carriera universitaria non ha praticamente speranze di avere opportunità concrete per riuscirvi. Aver dedicato una vita allo studio e alla ricerca, per poi trovarsi a 40 anni ancora alle dipendenze dei genitori, con stipendi che non solo non riconoscono la professionalità, ma non permettono appunto nemmeno di rendersi autonomi, non è per niente allettante.
Come mai quando certe politiche distruttive vengono prese da esponenti della coalizione al governo (pdl-lega) non c’è la stuola di lettori che interviene col solito mantra “voi li avete votati, voi ve li tenete” ?
Sto dalla parte degli sfruttati, quindi dalla parte dei ricercatori. Vorrei però capire cosa bisogna fare per entrare a testa alta nel mondo accademico. Si entra per merito? Si entra se si sgobba per il docente? Si entra se gli si fa da docile portaborse? Si entra se si appartiene a qualche illustre casato (a propsito quanti bei nomi tra i sottoscrittori del documento !) ? si entra per affiliazione a gruppi di potere? Finchè l’Università è pubblica, l’irresponsabilità sarà totale, perchè lo stipendio ai non meritevoli è comunque garantito da Pantalone. Ed in più sarà il luogo preferito per ogni sopruso. Fatte, ovviamente, le debite eccezioni che pure non son poche!
Certamente una maggiore trasparenza e pubblicità sui criteri, i tempi e le modalità di accesso al mondo accademico non potrebbero che giovare alla causa dei ricercatori.
In ogni caso hanno ragioni da vendere e il trattamento che ricevono è umiliante. Tuttavia una “sospensione dell’attività didattica di almeno due settimane” (è uno sciopero o che altro?) è un lusso che poche categorie di lavoratori si permettono, soprattutto se la protesta non colpisce direttamente il datore di lavoro ma un utenza (quella dei nuovi iscritti con affitto e mensa a carico) ancora più debole.
Solidarietà quindi ai ricercatori ma la loro protesta sia attuata cum grano salis o li farà passare dalla parte del torto.
Io non credo che il problema sia dell’università in quanto pubblica. Ho frequentato università estere che offrono molto, molto, molto di più in termini di:
A) Formazione accademica e professionale
B) Internazionalizzazione
C) Strutture per studenti
tutto questo alla astronomica cifra di… € 200 l’anno di tasse. DUECENTO. All’università di Bologna (pubblica) laurea magistrale, le tasse arrivano a sfiorare i 2000 € all’anno. Io sono fortunato perché alle spalle ho una famiglia che può permettersi questo investimento e non solo (visto che gli alloggi non sono certo gratis, i libri nemmeno, e via discorrendo).
Ma a Forlì, dov’è questa sede distaccata dell’unibo, non c’è una mensa (!!!), né un campus che offra alloggi agevolati agli studenti; i lavori sono in corso, nonostante siano stati promessi da anni (qui governa il centrosinistra, il mio non è un discorso ideologico). Il problema è che si parla sempre dell’università in negativo, dell’università dei baroni (giusto, ma i baroni mi pare siano bipartisan… o non vogliamo accorgerci di signori parlamentari/politicanti da decenni in aspettativa che fanno i loro interessi politici senza liberare il posto a chi vorrebbe veramente insegnare e che ha bisogno di lavorare per vivere, non percependo diarie, rimborsi, benefit etc. etc.?). Purtroppo in Italia non si riconosce il lavoro intellettuale svolto da studenti e professori. Non sono tutti ottuagenari rincoglioniti che stanno a prendersi il loro porco stipendio, anche se PURTROPPO questo sistema è stato sicuramente favorito dalla politica. Che dovrebbe smetterla di dissanguarci con i tagli e pensare ad amministrare meglio le risorse.
Ad alcuni atenei è stato consentito di spendere e spandere, senza controllo. Col risultato che le tasse variano enormemente a seconda dell’università frequentata(c’è chi spende 3-400 € e chi alcune migliaia) e parliamo sempre di università pubblica. Questa meritocrazia che viene tanto sbandierata, dove starebbe? Dopo le scuole di Adro col marchio della Lega vogliamo l’unviersità col marchio mediaset? E’ davvero la non-privatizzazione dell’ateneo ad incidere così tanto? Io non la penso così, mi pare che si voglia sempre scaricare il problema su chi non c’entra e non assumersi le responsabilità – in primo luogo politiche – del caso.
@ Ciccarelli,
scusami ma i tuoi due commenti forse andrebbero chiariti per la loro apparente discordanza. Condivido il tuo primo commento, specialmente quando affermi che chi intende intraprendere la via universitaria ha poche speranze se punta solo sul merito. E questo perchè il sistema è inceppato, bacato, imbrigliato da interessi di baroni, di gruppi, di partiti? Se così fosse, e cosi appare essere, il fatto che in certi atenei gli studenti paghino poco ed abbiano buoni servizi non risolve il problema dei ricercatori. Qui, come in altri campi, se non si introduce il merito, figlio della competività, non se ne esce. E a me sembra chiaro che l’Università in mano pubblica non ha stimoli appropriati per competere tra di loro. Certamente li ha per rubarsi iscritti e insediare cattedre.
A ben guardare, si tratta ancora di fare una scelta semplice, quella tra uno Stato totalitario perchè assorbente e uno stato liberale. La questione è semplice, ma questo non significa che è facile venirne a capo. Anche dentro l’università prospera una nomenklatura che tutti dicono nefasta, ma che può far comodo, specialmente a chi ne vuol conservare i privilegi.
Gli studenti stessi vanno in giro a chiedere una scuola migliore. Ma il problema e’ che non potranno mai avere una scuola migliore, sinche’ pretendono di avere percentuali di bocciati sotto il 10%. Da una scuola veramente meritocratica , che mira all’eccellenza, mi aspetto degli standard di valutazione molto alti, il che significa un numero di bocciati dal 60% all’ 80%, e probabilmente anche oltre. Altrimenti stiamo evidentemente facendo massa, non eccellenza: l’eccellenza e’ per definizione cio’ che e’ superiore alla media, quindi non possiamo pensare di fare eccellenza finche’ accettiamo il 90% della massa, non e’ pensabile dire che si faccia eccellenza per tutti; dal momento che l’eccellenza NON e’ democratica.
Mi aspetto che i professori siano CONTRO una simile scuola, dal momento che riducendo il numero di studenti e il numero di istituti e quindi di professori, molti di loro perderebbero il lavoro, compresi quelli che non sono efficienti, meritevoli o eccellenti.
( tratto da analoga discussione trovata in internet )
Come al solito tutto si concentra nell’eterno scontro pubblico – privato. Sappiamo invece benissimo che all’estero anche l’università pubblica funziona benissimo.
In Francia la scuola per dirigenti pubblici è un esempio d’eccellenza da molti decenni.
L’ istruzione, la ricerca, sono un compito fondamentale dello Stato, strumento per il progresso dei cittadini.
Se il pubblico non funziona è sì per gli interessi politici ma anche per le incursioni corruttrici del privato.
Non dimentichiamo che per ogni corrotto pubblico c’è un corruttore privato.
Purtroppo l’onestà e la serietà non derivano dalla natura giuridica dell’ente ma dalle persone che ne fanno parte.
Me fa pensà che li docenti dell’università de Macerata contestano la riforma Germini. Richiamo ai soldi per la ricerca? Produzione scientifica? Me so scaricato la valutazione delle università italiane ecco i risiultati in pubblicazioni prodotte dai docenti ricercatori compresi (2004-2009): Trieste la prinma con 10, all’ottavo posto Ancona con 7,5, al ventesimo posto Camerino con 5,3, all’ultimo posto Macerata con 0,4. E adesso commentete pure.
@Mus Rugens
Io sono d’accordo con quello che scrivi: non credo che i miei interventi siano discordanti, perché il mio pensiero è un po’ stato espresso anche dal sig. Pio Angeletti, in quanto credo fortemente che il pubblico possa funzionare. Ci sono esempi esteri dove il pubblico, in effetti, funziona. E non credo che privatizzando l’università si venga a capo di ogni male: chi garantirebbe che, in quel caso, la qualità didattica sarebbe di gran lunga migliore? E perché non si può ottenere un servizio pubblico di qualità (che non proriamente economico), nonostante l’impegno profuso e le spese sostenute? Bisogna sempre arrendersi all’idea che il pubblico non va e che bisogna pagare per avere meglio? Io non sono favorevole a questo pensiero, perché differenzia in partenza chi ha i mezzi e chi no, ed essere abbienti è diverso dall’essere meritevoli.
Poi servirebbero studi seri sulla fantomatica qualità degli istituti unviersitari privati in Italia…sarei felice di comparare, attraverso verifiche serie e test gli studenti usciti da atenei pubblici e privati, perché è chiaro che un Bocconiano che esce da lì e poi va a lavorare nell’azienda di famiglia, o nello studio legale di famiglia ecc trova subito lavoro, ed è facile poter dire “i nostri laureati trovano lavoro entro 1 anno nel 90% dei casi”, ad esempio.
Spero di aver spiegato un po’ meglio il mio pensiero!:)
@Ciccarelli, prendo atto che condividi che l’obiettivo da perseguire è la qualità dell’istruzione. Non nego che l’Università pubblica possa garantire qualità. Sono però sicuro che senza gara ( leggasi competizione ) anche in questo campo, il parametro del merito è destinato a soccombere rispetto ad altri interessi, questi sì, non pubblici. Questo crea sperequazioni tra ricchi e poveri? Non è detto, anzi, se attribuissimo, ad esempio, ad ogni matricola un coupon da spendere nella Università pubblica o in quella privata, avremmo risolto la questione alla radice, rispettato la libertà di scelta del giovane e garantito l’imparzialità della gara. Senza dire che così si elimina lo squallido spettacolo delle cattedre inutili create solo per occupare qualcuno del giro. Forse allora i ricercatori potrebbero avere qualche chance in più rispetto alla triste condizione attuale, come la chiami sostanzialmente anche tu.
Tanto per fare un esempio di come lavora bene il privato:
https://www.cronachemaceratesi.it/?p=46078
Stranamente mancano i commenti…