di Giancarlo Liuti
Suona il campanello, vado ad aprire, mi trovo davanti un tipo allampanato che indossa una tuta blu targata Eni. Dice una sola parola: “Gas”. Entra, si fa indicare dov’è il contatore, si piega sulle ginocchia, trascrive dei numeri in un tabulato, si alza e fa per andarsene. Ma io ho notato una cosa che ha dell’incredibile. E’ magro, l’ho già detto. Talmente magro, però, che è addirittura trasparente. La curiosità, allora, mi spinge a trattenerlo, ad attaccare discorso. “Lei è volatile come il gas”. “Ovvio”, risponde, “sono un fantasma”. “Un fantasma?”. “Cos’altro potrei essere? Sono morto da quasi cinquant’anni!”. “E continua a lavorare?”. “E’ un incarico virtuale. Me l’hanno offerto per pura riconoscenza, considerando che la parte migliore della mia vita l’ho dedicata proprio all’Eni”. “Da controllore del gas?”. “No, da presidente”. Trasecolo, mi do un pugno in testa: “Quindi lei è Enrico Mattei!”. “Per l’appunto. Ma adesso mi lasci andare, la mia zona è vasta, debbo coprirla entro stasera”. “Non se ne vada, la prego. Lei non sa quanto le vogliamo bene, noi maceratesi. E quanto la rimpiangiamo. Mi conceda solo qualche minuto, qualche pensiero, qualche ricordo”. “D’accordo, ma sbrighiamoci”.
“Quarantotto anni fa, quello sciagurato incidente aereo”.
“Incidente? No, signore, attentato. Era la sera del ventinove ottobre, stavo tornando dalla Sicilia. La bomba era stata piazzata sull’altimetro, scoppiò non appena il pilota cominciò la discesa su Milano”.
“Lo si è sempre sospettato, presidente, ma sono mancate le prove”.
“Mancate? Non hanno voluto trovarle”.
“Chi sarà stato?”
“Erano in tanti a volermi far fuori, in Italia, Francia, Stati Uniti. Ma lasciamo perdere. Con le potentissime schiere di nemici che avevo, prima o poi sarebbe successo comunque”.
“I maceratesi no, la consideravano un amico”.
“Lo so e gliene sono grato. Però non tutti. Questa provincia ha un’anima conservatrice e a qualcuno non piaceva che assumessi migliaia di giovani e li portassi a lavorare lontano, parecchi in capo al mondo. A Matelica, la mia carissima patria adottiva, si mormorava che in questo modo lasciavo le ragazze senza marito. E in generale, anche a Macerata, i proprietari di terre non gradivano che gli togliessi le braccia dei mezzadri”.
“Forse la città di Macerata si aspettava che lei la dotasse di un’industria”.
“Sarebbe stato un errore. Macerata non ha questa vocazione, deve restare una città di servizi. Ed ecco, allora, il Motel Agip. In altri luoghi della provincia, invece, la presenza dell’Eni è stata notevole anche sotto l’aspetto industriale. Pensi alla Lebole di Matelica e alla Pignone di Porto Recanati. Ma non sottovaluti l’occupazione. All’Eni, all’Agip, all’Anic, alla Snam e all’Italgas hanno trovato lavoro moltissimi maceratesi. Non a caso si scherzava sul fatto che la sigla Snam non significava ‘Società nazionale metanodotti’ ma ‘Siamo nati a Matelica’. O magari ‘Siamo nati a Macerata’, che in fondo è la stessa cosa”.
“Clientelismo? Sottogoverno?”
“No. Preferivo i maceratesi perché ne conoscevo l’onestà, la tenacia, l’intelligenza, il senso del dovere, il civismo”.
“In questi giorni sono cadute due date importanti per lei, il 25 aprile e, ieri, il primo maggio”.
“Sì, cadute. E’ proprio il verbo giusto”.
“Deluso?”
“Triste. Come lei saprà, io sono stato il leader nazionale della Resistenza di matrice cattolica. Soprattutto al nord, ma anche nel Maceratese. Ebbene, non avrei mai creduto che quegli ideali potessero appannarsi così presto, fra revisionismi, denigrazioni e nostalgie verso una dittatura, la nazifascista, che dopo vent’anni di sopraffazioni d’ogni genere finì col ridurre l’Italia a un cumulo di macerie”.
“Ma bisogna guardare al passato senza pregiudizi. La storia, presidente, è sempre più complessa di come la raccontano i vincitori”.
“In Italia la seconda guerra mondiale è stata vinta, militarmente parlando, dagli Alleati. Su questo non ci piove. Ma i partigiani ebbero lo straordinario merito di restituire all’Italia l’onore perduto e di aprire la strada alla democrazia e alla costituzione repubblicana. Senza la loro testimonianza di sangue – quarantacinquemila caduti – saremmo stati una nazione sconfitta, umiliata, mortificata”.
“E’ stato significativo anche il contributo di Macerata?”
“Assolutamente sì, nelle montagne di Tolentino, San Severino, Camerino, Muccia, Cingoli, Caldarola, Serrapetrona, Sarnano, Matelica. Qui la Resistenza durò appena otto mesi ma ebbe 5.320 partigiani combattenti, 408 caduti fra cui 14 donne, 726 feriti, sette medaglie d’oro alla memoria, 26 medaglie d’argento e 2.156 patrioti nelle retrovie”.
“Mi riferivo a Macerata città. Noi siamo gente pacifica, moderata, un po’ rassegnata, un po’ fatalista. Faccio fatica a vederla imbracciare il mitra”.
“Si sbaglia. Mario Morbiducci, medaglia d’oro, fu ucciso al nord, ma era un maceratese puro sangue. Come Achille Barilatti, altra medaglia d’oro, ucciso a Muccia. Come Augusto Pantanetti, il valoroso comandante delle brigate Nicolò. Come Mario Fattorini, capo del Comitato di liberazione e organizzatore della Resistenza in tutte le Marche. Due persone che poi, a guerra finita, tornarono nell’ombra senza chiedere nulla. Per non parlare del vescovo Domenico Argnani e dei tanti sacerdoti che collaborarono coi partigiani”.
“Il tempo logora tutto, presidente”.
“D’accordo. Ma da troppe parti, adesso, si sta mettendo in discussione la Resistenza, il Risorgimento, la stessa unità nazionale. Chi avrebbe mai potuto credere, ai miei tempi, che un giorno i nipoti e i pronipoti della repubblica di Salò sarebbero diventati ministri? Io non voglio riaprire vecchie ferite, badi bene. Siamo tutti figli di mamma, c’era buona fede anche dall’altra parte. Ma bisogna stare in guardia. La vera democrazia è qualcosa di molto diverso da ciò che piano piano sta venendo fuori”.
“Il tempo cambia tutto, presidente”.
“Ed è giusto che cambi. Ma per il meglio, non per il peggio”.
“E il primo maggio?”
“Più o meno la stessa cosa”.
“In che senso?”
“L’alta finanza prevale sull’economia reale, cioè sul lavoro. Quattro giorni prima di essere ammazzato, io tenni un discorso alla Società operaia di mutuo soccorso di Matelica e dissi che bisognava impegnarsi per un’Italia solidale e fraterna, aperta al mondo, capace di guardare al futuro, non prigioniera del mito del denaro ad ogni costo. Era in corso una stagione di grandi speranze, le alimentavano tre figure di livello mondiale, Kennedy, Kruscev e Papa Giovanni, da noi si stava profilando l’alleanza di centrosinistra fra democristiani e socialisti, presto sarebbe stato varato lo statuto dei lavoratori, anche questo per iniziativa di un maceratese, Giacomo Brodolini di Recanati. Cosa dice l’articolo uno della Costituzione? Dice che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma quale lavoro si è festeggiato quest’anno? Quello precario? Quello che non c’è? Io, nel mio piccolo …”.
“… nel suo grande, presidente”.
“…ho sempre creduto nel lavoro, nei diritti del lavoro, nella giustizia sociale che viene dalla dignità del lavoro”.
“Il lavoro lo danno gli imprenditori”.
“Lo danno e lo prendono. Così come le loro maestranze, che lo prendono e lo danno. Ci dev’essere collaborazione, unità d’intenti, rispetto reciproco. Il ruolo degli imprenditori, che sono anch’essi lavoratori, è fondamentale per il progresso sociale. Ma ci vogliono idee, coraggio, fantasia, innovazione, gusto del rischio, spirito di sacrificio, solidarietà. Io, nel mio piccolo …”.
“… nel suo grande, presidente”.
“ …queste cose le ho sempre messe al vertice dei miei pensieri e delle mie azioni”.
“Ma c’è la crisi economica, c’è il terrorismo”.
“E chi l’ha provocata, la crisi economica? La voracità, il successo personale a qualsiasi costo, l’individualismo sfrenato. Quella bomba sul mio aereo fu anche perché avevo teso una mano ai popoli islamici, l’Iran, il Marocco, la Giordania, l’Egitto, l’Algeria. Volevo che l’Italia li trattasse alla pari. Petrolio, certo, ma anche visione politica. Una politica che se l’Occidente l’avesse ampliata e rafforzata, chissà, forse il terrorismo non avrebbe avuto lo spazio che ha. Ma cosa accade, oggi, da noi? Al governo c’è un partito che si batte contro le moschee, contro le donne che indossano il velo, perfino contro i negozi e i ristoranti degli stranieri”.
“Le piace, esteticamente, la Macerata di oggi?”
“Da giovanissimo, a Matelica, cominciai a lavorare in una fabbrica di letti. Pitturavo le testate, ci dipingevo bellissimi fiori. Io sono un amante della bellezza”.
“Anche di quella femminile”.
“Alt, signore, rispetti la mia privacy. Beh, quando si spargeva la voce di certe mie scappatelle, le suore clarisse del monastero di Matelica recitavano il rosario con voce più alta del solito e si sentiva dalla strada. La bellezza, sì. Misi insieme una grossa collezione d’arte moderna, quadri di pittori famosi anche negli uffici dell’Eni, i migliori architetti a progettare le sedi, le raffinerie e perfino le stazioni di servizio, aiutai l’attuale cardinale Martini per il restauro delle opere d’arte nelle chiese di Milano”.
“Non ha risposto alla mia domanda. Macerata le piace?”
“La preferirei un tantino più bella. Ne parlerò col sindaco Carancini”.
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Straordinario.
Chapeau
Egregio Ingegnere Mattei,
sono sicuro che le vicende umane da lei tanto ben raccontate un giorno serviranno a capire anche la storia recente. Vengo al dunque. Alcuni anni fa sono andato alla biblioteca comunale per consultare la raccolta della “Gazzetta delle Marche” al fine di trovare qualche elemento su Dante Scorpecci, un fascista linciato nei dintorni dello Sferisterio l’11 maggio del 1945, quando mi sono imbattuto su una sorta di caso d’insorgenza verificatosi il 19 marzo del 1945. Macerata era già stata bombardata il 3 aprile e liberata il 30 giugno del 1944.
Nella Gazzetta delle Marche del 4 aprile 1945 si legge: “La Questura informa che, a seguito della conclusione parziale delle indagini in merito al complotto fascista scoperto nella nostra città, sono state denunciate all’autorità giudiziaria 21 persone, in stato d’arresto, che dovranno rispondere del delitto di cui all’art. 265 del codice penale. Esse sono: Staffolani don Enrico, Piccioni don Primo, Pupo Alberto, Verzelli Giorgio, Pagnanelli Giorgio, Emiliozi Emilia, Marchesini Maria Luisa, Domizi Canzio, Marcolini Vinicio, Pannaggi Francesco, Ciarrocchi Benito, Bellesi Antonio, Prenna Francesco, Lattanti Licio, Riccitelli Virgilio, Mancini Cataldo, Cresci Vincenzo, Bianchini Elio, Ugazio Carmela, Leombruni Marisa, Pieroni Vanda. Altre dodici persone sono state denunziate a piede libero a cagione della lievità della loro colpa e soprattutto della loro poca età”.
Questa notizia stringata mi ha sorpreso perché conosco bene l’infingardaggine dei miei compaesani, pensi che la nostra città si fregia di un “Civitas Mariae”. La notizia mi ha sorpreso perché molte di queste persone le ho conosciute bene e non mi hanno mai raccontato questa loro storia. Per puro caso nell’elenco c’è pure un mio conoscente che mi ha accennato a piccoli sabotaggi verso i mezzi polacchi, a manifesti, a volantini, al fatto che portavano i fiori sulle tombe dei tedeschi e che avevano una radio che li collegava con la Repubblica del Nord. L’organizzazione si chiamava Sas (Squadre di azione sovversiva). Fatto sta che si arrivò al processo e per alcuni ci furono condanne severe fino a 10-15 anni. Poi venne l’amnistia.
Colgo l’occasione per dirle che sono disposto a venire a Matelica per conoscerla personalmente, anche se ho la sensazione di conoscerla da sempre in quanto mi hanno parlato spesso di Lei i fratelli Mattaci di Gaglianvecchio.
Avercene di Mattei…
adesso l’imprenditoria è sinonimo di star system. Vai con i Briatore!
Come al solito, pezzo bellissimo, complimenti!
Veramente da brividi. Ennesimi complimenti a Liuti, penna d’altri tempi. E un pensiero a Mattei: fossero stati tutti come lui, i democristiani, oggi vivremmo in un’altra Italia. Davvero bello, anzi bellissimo. La più bella tra le “interviste impossibili”. Grazie davvero.
Complimenti a Liuti per la scelta di scrivere sotto forma di intervista le vicende della storia.
gazie dott.Liuti, tutti devoni conoscere la storia di Enrico Mattei il Democristiano che ha fatto la Resistenza e poi fondato l’ENI portando l’Italia al sesto posto fra i paesi più industrializzati del Mondo. Ho avuto l’onore di lavorare all’Agip Mineraria ricerca idrocarburi: Valle Padana, Abruzzo, Sinai, Sudan poi Bronte (ct) in Sicilia. Lavoro affascinante l’odore del petrolio ci induceva ad essere determinati per portare l’Italia povera ad un cetro benessere. Ci siamo riusciti ora speriamo che la politca sappia mantenere e migliorare questo grande lavoro. Lasciai l’ENI il giorno della sua morte, perchè senza Mattei, l’Eni non era più la stessa. Cefis il grande responsabile si trasferì in Canasdà portandosi dietro il peggiore attentato del nostro Paese con dubbi mai risolti. Il sottoscritto a altri amici di Matelica a Bronte (Sicilia) dovevamo stare solo zitti. per questo si è preferito tornare a casa con le nostre gambe. Grazie Liuti parliamone ancora questa storia sarà per secoli attuale. Saluti Ivano Tacconi
come al solito e come già fatto con Padre Matteo Ricci si finisce per attaccare il governo attuale….
Leggo solo oggi il bell’articolo di Giancarlo Liuti: bravo, molto bravo.
Mi domando: è colpa sua se parlando dell’opera e della vita di grandi personalità (p. Ricci e Enrico Mattei) si finisce per non parlare bene del governo attuale?