25 aprile e Primo maggio,
i rimpianti di Enrico Mattei

LE INTERVISTE IMPOSSIBILI di Giancarlo Liuti

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di Giancarlo Liuti

Suona il campanello, vado ad aprire, mi trovo davanti un tipo allampanato che indossa una tuta blu targata Eni. Dice una sola parola: “Gas”. Entra, si fa indicare dov’è il contatore, si piega sulle ginocchia, trascrive dei numeri in un tabulato, si alza e fa per andarsene. Ma io ho notato una cosa che ha dell’incredibile. E’ magro, l’ho già detto. Talmente magro, però, che è addirittura trasparente. La curiosità, allora, mi spinge a trattenerlo, ad attaccare discorso. “Lei è volatile come il gas”. “Ovvio”, risponde, “sono un fantasma”. “Un fantasma?”. “Cos’altro potrei essere? Sono morto da quasi cinquant’anni!”. “E continua a lavorare?”. “E’ un incarico virtuale. Me l’hanno offerto per pura riconoscenza, considerando che la parte migliore della mia vita l’ho dedicata proprio all’Eni”. “Da controllore del gas?”. “No, da presidente”. Trasecolo, mi do un pugno in testa: “Quindi lei è Enrico Mattei!”. “Per l’appunto. Ma adesso mi lasci andare, la mia zona è vasta, debbo coprirla entro stasera”. “Non se ne vada, la prego. Lei non sa quanto le vogliamo bene, noi maceratesi. E quanto la rimpiangiamo. Mi conceda solo qualche minuto, qualche pensiero, qualche ricordo”. “D’accordo, ma sbrighiamoci”.

“Quarantotto anni fa, quello sciagurato incidente aereo”.

“Incidente? No, signore, attentato. Era la sera del ventinove ottobre, stavo tornando dalla Sicilia. La bomba era stata piazzata sull’altimetro, scoppiò non appena il pilota cominciò la discesa su Milano”.

“Lo si è sempre sospettato, presidente, ma sono mancate le prove”.

“Mancate? Non hanno voluto trovarle”.

“Chi sarà stato?”

“Erano in tanti a volermi far fuori, in Italia, Francia, Stati Uniti. Ma lasciamo perdere. Con le potentissime schiere di nemici che avevo, prima o poi sarebbe successo comunque”.

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“I maceratesi no, la consideravano un amico”.

“Lo so e gliene sono grato. Però non tutti. Questa provincia ha un’anima conservatrice e a qualcuno non piaceva che assumessi migliaia di giovani e li portassi a lavorare lontano, parecchi in capo al mondo. A Matelica, la mia carissima patria adottiva, si mormorava che in questo modo lasciavo le ragazze senza marito. E in generale, anche a Macerata, i proprietari di terre non gradivano che gli togliessi le braccia dei mezzadri”.

“Forse la città di Macerata si aspettava che lei la dotasse di un’industria”.

“Sarebbe stato un errore. Macerata non ha questa vocazione, deve restare una città di servizi. Ed ecco, allora, il Motel Agip. In altri luoghi della provincia, invece, la presenza dell’Eni è stata notevole anche sotto l’aspetto industriale. Pensi alla Lebole di Matelica e alla Pignone di Porto Recanati. Ma non sottovaluti l’occupazione. All’Eni, all’Agip, all’Anic, alla Snam e all’Italgas hanno trovato lavoro moltissimi maceratesi. Non a caso si scherzava sul fatto che la sigla Snam non significava ‘Società nazionale metanodotti’ ma ‘Siamo nati a Matelica’. O magari ‘Siamo nati a Macerata’, che in fondo è la stessa cosa”.

“Clientelismo? Sottogoverno?”

“No. Preferivo i maceratesi perché ne conoscevo l’onestà, la tenacia, l’intelligenza, il senso del dovere, il civismo”.

“In questi giorni sono cadute due date importanti per lei, il 25 aprile e, ieri, il primo maggio”.

“Sì, cadute. E’ proprio il verbo giusto”.

“Deluso?”

“Triste. Come lei saprà, io sono stato il leader nazionale della Resistenza di matrice cattolica. Soprattutto al nord, ma anche nel Maceratese. Ebbene, non avrei mai creduto che quegli ideali potessero appannarsi così presto, fra revisionismi, denigrazioni e nostalgie verso una dittatura, la nazifascista, che dopo vent’anni di sopraffazioni d’ogni genere finì col ridurre l’Italia a un cumulo di macerie”.

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“Ma bisogna guardare al passato senza pregiudizi. La storia, presidente, è sempre più complessa di come la raccontano i vincitori”.

“In Italia la seconda guerra mondiale è stata vinta, militarmente parlando, dagli Alleati. Su questo non ci piove. Ma i partigiani ebbero lo straordinario merito di restituire all’Italia l’onore perduto e di aprire la strada alla democrazia e alla costituzione repubblicana. Senza la loro testimonianza di sangue – quarantacinquemila caduti – saremmo stati una nazione sconfitta, umiliata, mortificata”.

“E’ stato significativo anche il contributo di Macerata?”

“Assolutamente sì, nelle montagne di Tolentino, San Severino, Camerino, Muccia, Cingoli, Caldarola, Serrapetrona, Sarnano, Matelica. Qui la Resistenza durò appena otto mesi ma ebbe 5.320 partigiani combattenti, 408 caduti fra cui 14 donne, 726 feriti, sette medaglie d’oro alla memoria, 26 medaglie d’argento e 2.156 patrioti nelle retrovie”.

“Mi riferivo a Macerata città. Noi siamo gente pacifica, moderata, un po’ rassegnata, un po’ fatalista. Faccio fatica a vederla imbracciare il mitra”.

“Si sbaglia. Mario Morbiducci, medaglia d’oro, fu ucciso al nord, ma era un maceratese puro sangue. Come Achille Barilatti, altra medaglia d’oro, ucciso a Muccia. Come Augusto Pantanetti, il valoroso comandante delle brigate Nicolò. Come Mario Fattorini, capo del Comitato di liberazione e organizzatore della Resistenza in tutte le Marche. Due persone che poi, a guerra finita, tornarono nell’ombra senza chiedere nulla. Per non parlare del vescovo Domenico Argnani e dei tanti sacerdoti che collaborarono coi partigiani”.

“Il tempo logora tutto, presidente”.

“D’accordo. Ma da troppe parti, adesso, si sta mettendo in discussione la Resistenza, il Risorgimento, la stessa unità nazionale. Chi avrebbe mai potuto credere, ai miei tempi, che un giorno i nipoti e i pronipoti della repubblica di Salò sarebbero diventati ministri? Io non voglio riaprire vecchie ferite, badi bene. Siamo tutti figli di mamma, c’era buona fede anche dall’altra parte. Ma bisogna stare in guardia. La vera democrazia è qualcosa di molto diverso da ciò che piano piano sta venendo fuori”.

“Il tempo cambia tutto, presidente”.

“Ed è giusto che cambi. Ma per il meglio, non per il peggio”.

“E il primo maggio?”

“Più o meno la stessa cosa”.

“In che senso?”

“L’alta finanza prevale sull’economia reale, cioè sul lavoro. Quattro giorni prima di essere ammazzato, io tenni un discorso alla Società operaia di mutuo soccorso di Matelica e dissi che bisognava impegnarsi per un’Italia solidale e fraterna, aperta al mondo, capace di guardare al futuro, non prigioniera del mito del denaro ad ogni costo. Era in corso una stagione di grandi speranze, le alimentavano tre figure di livello mondiale, Kennedy, Kruscev e Papa Giovanni, da noi si stava profilando l’alleanza di centrosinistra fra democristiani e socialisti, presto sarebbe stato varato lo statuto dei lavoratori, anche questo per iniziativa di un maceratese, Giacomo Brodolini di Recanati. Cosa dice l’articolo uno della Costituzione? Dice che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma quale lavoro si è festeggiato quest’anno? Quello precario? Quello che non c’è? Io, nel mio piccolo …”.

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“… nel suo grande, presidente”.

“…ho sempre creduto nel lavoro, nei diritti del lavoro, nella giustizia sociale che viene dalla dignità del lavoro”.

“Il lavoro lo danno gli imprenditori”.

“Lo danno e lo prendono. Così come le loro maestranze, che lo prendono e lo danno. Ci dev’essere collaborazione, unità d’intenti, rispetto reciproco. Il ruolo degli imprenditori, che sono anch’essi lavoratori, è fondamentale per il progresso sociale. Ma ci vogliono idee, coraggio, fantasia, innovazione, gusto del rischio, spirito di sacrificio, solidarietà. Io, nel mio piccolo …”.

“… nel suo grande, presidente”.

“ …queste cose le ho sempre messe al vertice dei miei pensieri e delle mie azioni”.

“Ma c’è la crisi economica, c’è il terrorismo”.

“E chi l’ha provocata, la crisi economica? La voracità, il successo personale a qualsiasi costo, l’individualismo sfrenato. Quella bomba sul mio aereo fu anche perché avevo teso una mano ai popoli islamici, l’Iran, il Marocco, la Giordania, l’Egitto, l’Algeria. Volevo che l’Italia li trattasse alla pari. Petrolio, certo, ma anche visione politica. Una politica che se l’Occidente l’avesse ampliata e rafforzata, chissà, forse il terrorismo non avrebbe avuto lo spazio che ha. Ma cosa accade, oggi, da noi? Al governo c’è un partito che si batte contro le moschee, contro le donne che indossano il velo, perfino contro i negozi e i ristoranti degli stranieri”.

“Le piace, esteticamente, la Macerata di oggi?”

“Da giovanissimo, a Matelica, cominciai a lavorare in una fabbrica di letti. Pitturavo le testate, ci dipingevo bellissimi fiori. Io sono un amante della bellezza”.

“Anche di quella femminile”.

“Alt, signore, rispetti la mia privacy. Beh, quando si spargeva la voce di certe mie scappatelle, le suore clarisse del monastero di Matelica recitavano il rosario con voce più alta del solito e si sentiva dalla strada. La bellezza, sì. Misi insieme una grossa collezione d’arte moderna, quadri di pittori famosi anche negli uffici dell’Eni, i migliori architetti a progettare le sedi, le raffinerie e perfino le stazioni di servizio, aiutai l’attuale cardinale Martini per il restauro delle opere d’arte nelle chiese di Milano”.

“Non ha risposto alla mia domanda. Macerata le piace?”

“La preferirei un tantino più bella. Ne parlerò col sindaco Carancini”.



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