di Mauro Montali
Questo è un gioco che potrebbe non finire mai. Macerata è assente dallo spot? Oppure è potentemente ben presente grazie a Leopardi? I costi sono troppo alti e “strani” ? O, forse, non ci sono per nulla grazie ai finanziamenti europei? Il piccolo-grande uomo Dustin Hoffman (o l’immenso Alfredo, Alfredo) non va bene? Era meglio chiamare, come ha scritto domenica su “La Stampa” la cantante Mina Mazzini, icona degli anni sessanta e settanta, Popolizio o Fantastichini?
Insomma, l’operazione DH è vincente o meno? E chi è più provinciale in questa querelle? I detrattori dello spot o chi lo ha pensato affidando alla star americana il ruolo di testimonial? A Rimini, il Comune ha speso 800mila euro per lo spettacolo televisivo di capodanno, edizione peraltro minore di quelle passate, e nessuno si è lamentato, a parte la sinistra radicale, di un effimero evento musicale che dura lo spazio di una soirée.
Al bando,allora, i campanilismi. Macerata, grazie all’Infinito di Giacomino (uno dei quattro geni che l’umanità ha prodotto. Non so chi siano gli altri due ma il quarto è sicuramente Michel Platini), vivrà in eterno. Mancherà lo Sferisterio, va bene ma non dimentichiamo che Rossini era di Pesaro. Eppoi, volete mettere Dustin Hoffman che interpreta Leopardi? Altro che “uazzamerica” come scrive la cantante di Cremona. La quale vive, in clausura e in perfetto snobismo, da oltre trent’anni in Svizzera. Ed è quindi la persona meno indicata per fare la morale. Soprattutto quando scrive che “la poesia è un insolente lusso” o quando sottolinea che “continuo a mangiare di questo pane, a incrociare queste acque”. Quelle del lago di Lugano.
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Di seguito il link dell’articolo di Mina (“Leopardi bisogna meritarselo”) uscito ieri nella sua rubrica settimanale su La Stampa:
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=45
Caro amico Mauro,
forse i veri provinciali tout court sono quelli che decidono di visitare le Marche perché glielo dice la tv.
Quanto a Mina… non vive a Lugano da almeno dieci anni (sebbene abbia là la sede legale dell’etichetta) e la sua clausura è di tipo prettamente privatistico, incidendo da uno a due dischi all’anno e tenendo due rubriche (una su La Stampa e una su Vanity Fair) da almeno cinque. Non si risparmia, voglio dire: sebbene non appaia in televisione (sai che perdita, con i programmi che ci sono…) e non faccia concerti (e qui può dispiacere anche a me, ma la rispetto).
Dipenderà probabilmente dal fatto che al genio mi viene da perdonare anche le peggiori nefandezze. Ai volenterosi, qualche volta nemmeno le virtù.
Applicando l’assioma a Dustin Hoffman, a me piace anche quando storpia Leopardi. Però di Marche ce ne sono davvero poche, nello spot; sembra fatto a risparmio (ma con quei bei finanziamenti che vuoi risparmiare?), con solo due o tre passaggi inconfondibili (Urbino, Ascoli e il Conero: cartoline, per di più); troppo tempo indugiato sulle colline e i campi o in scorci anonimi che sembrano non avere sfogo. E lo sfogo, lo slargo, il defluire al mare è, se vuoi, la nostra caratteristica orografica più forte e significante.
Mi spiace, poi, dover tornare sull’argomento, servendomi dell’originale firmato Mina Mazzini.
Devo proprio farlo (capisco, anzi, perché Matteo Zallocco ha favorito la lettura dell’articolo, proponendo il link): perché letto integralmente, l’articolo offre ben pochi spunti ad un’eventuale giudizio di spocchiosità, tutt’altro. L’italianissima Mina, anziché fare la morale, si chiede:
“Dustin Hoffman, from Los Angeles, sarà anche un «nome che tira», ma non li avevamo noi degli attori al suo livello? E che parlano italiano? E che conoscono la musica dell’andamento di un’esposizione poetica? Popolizio non andava bene? Fantastichini non andava bene? Albertazzi non andava bene? Ma anche la Melato, la Proclemer non andavano bene?”.
Non solo Fantastichini e Popolizio, dunque. Ma anche Albertazzi e la Melato, che non sono propriamente due della compagnia amatoriale di Rocca Cannuccia.
Certo, la Signora non si risparmia fendenti (può anche permetterselo, per dirla: grazie al – e non a causa de – l’esilio dorato, nonostante le miliardarie profferte che da sempre ha continuato a ricevere):
“Lui, Hoffman, in fondo non c’entra granché. L’hanno chiamato, gli hanno dato una paccata di soldi, perché dire di no? Ma sì, e poi gli spaghetti, i mandolini, le belle donne, lo shopping, eccetéra eccetéra, come direbbe lui. Le Marche, anche se Dustin non conosce l’italiano, declinate come un vezzeggiativo, singolare, femminile diventano quello che, in buona sostanza, è stata la ragione di questa prestazione. Ma lui, immagino, non sa neppure cosa siano. «Di esser marchigiani bisogna meritarselo», diceva Vincenzo Cardarelli. Fierezza e selezione accurata che non sono state praticate, questa volta.”.
Anche a riguardo della poesia come insolente lusso, senza estrapolare ci si accorge che il periodo acquista – specie all’interno dell’intero articolo – tutt’un altro sapore:
«… e sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo…». Ecco, ce lo fingiamo volentieri anche noi, il silenzio. La quiete la recupereremo senz’altro. Siamo abituati a ogni tipo di ingiuria. Oltraggi ben più gravi ci assillano in questo periodo, e il nuovo anno non promette niente di buono. E la poesia ci sembra un insolente lusso.”
La poesia, cioè, ci sembra un insolente lusso di fronte al tempo che ci tocca in sorte di vivere: “ci sembra”. Non “è”. Cambia tutto, come si può facilmente capire. Idem dicasi per le acque incrociate che non sono affatto quelle del lago di Lugano:
“Ma io non mi rassegno e continuo a mangiare di questo pane (ndr.: il pane della poesia), a incrociare su queste acque. «E il naufragar m’è dolce in questo mare».>.
Si tratta, ribadito, del concetto della “nudità della poesia”, della sua assoluta compiutezza. Altro che inutili lussi: una dichiarazione d’amore a tempo pieno!
Qualche anno fa presentai un libro a Milano, avevo fatto la prefazione alla compagna di un mio amico, un noto chirurgo plastico ( anche del Milan). Alla presentazione c’erano volti noti, tra i quali Galliani e qualche giocatore, il vicepresidente di Banca Intesa ed altri. Alla fine, da marchigiano, per salutare recitai ( io non sono Gasmann o Albertazzi ) l’Infinito.Vidi che molti seguivano con le labbra le parole. Ricordi scolastici… Ebbene, a mio avviso lo spot di Dustin “funziona”. Il funzionamento è dovutyo alla sovrapposizione della sua immagine di attore alla “universalità” dei “versi”.Il tutto sul fondo della campagna ( che poteva essere qualsiasi bella campagna).Il fatto che “reciti” male e che provi e “recitare bene” può provocare interesse o, comunque, attenzione.E’ vero, manca Macerata. Ma forse l’esilio del “borgo selvaggio” è una storia per pochi.