Pablo Trincia
di Leonardo Giorgi (foto Fabio Falcioni)
Le grandi storie, a detta di chi sta sul palco del Lauro Rossi, «sono fatte di dettagli che possono cambiare il senso di un racconto, che mi fanno interessare ad un caso». La storia di ieri sera comincia effettivamente da un dettaglio preciso. Sono circa le 20 e il bancone della pizzeria di corso della Repubblica di Macerata è vuoto. La luce bianca del neon illumina le teglie tristi e nude. Scintilla a malapena qualche briciola.
Pablo Trincia e Chiara Icardi
«Stasera la gente si è mangiata tutto, se non stavo attento qualcuno mi si mangiava pure le mani» sorride il pizzaiolo. Cannibalismo? No. Uscendo affamati dal locale, il motivo sarebbe stato chiaro a chiunque: l’aria della serata maceratese è frizzante, cartellini dal colore verde chiaro rimangono aggrappati al collo di volontari e organizzatori che schizzano da una parte all’altra del centro, mentre davanti al teatro Lauro Rossi si forma un’interminabile fila di persone che fanno cena in piedi (non serve sottolineare che molte di queste persone stiano mangiando la pizza) per assicurarsi un biglietto. I dettagli ci sono tutti: è ufficialmente iniziata la 15esima edizione dell’Overtime festival e il primo asso calato sul palco è Pablo Trincia.
Sono tutti lì per lui, chiamati letteralmente dalla sua voce. Il giornalista e autore Pablo Trincia, infatti, pur essendo volto noto di Sky e, in passato, di Mediaset (Le Iene) e Rai (Chi l’ha visto), è considerato, come ribadisce Chiara Icardi, giornalista sportiva che ha accompagnato sul palco il protagonista della serata, «il podcaster numero uno d’Italia». Ancora prima che podcast (ossia, in estrema sintesi, una trasmissione radio caricata in una piattaforma web e ascoltabile in qualsiasi momento) fosse una parola di uso comune in Italia, lui c’era. Ancor prima che uno show “di solo audio” potesse avere una sua dignità nel nostro Paese, Trincia, celebre per le grandi inchieste realizzate negli ultimi anni (tra cui la storia dei “Diavoli della bassa modenese”, la Costa Concordia, la tragedia di Rigopiano, il caso Elisa Claps, la misteriosa morte del calciatore Denis Bergamini), aveva intuito il potenziale narrativo di uno strumento del genere. Un’illuminazione arrivata, in qualche modo, proprio dallo sport, elemento chiave della rassegna Overtime.
«Circa 10 anni fa ero in un momento particolare della mia vita – racconta Pablo – perché non trovavo tanta soddisfazione nel mio lavoro, mi mancava uno stimolo, una sfida. Un giorno ero nella redazione di una trasmissione di Michele Santoro e, per caso, sono andato su Twitter, cosa che non facevo mai. Mi compare sulla schermata iniziale un tweet del giocatore di basket Manu Ginobili. Nel post vedo che ha messo il link all’ultima puntata di quello che dice essere il suo show preferito. In quegli anni stavano emergendo le grandi serie televisive, quelle che hanno fatto la storia, penso a Breaking Bad per esempio. Insomma, ero interessato a vedere di quale serie stesse parlando». C’è un dettaglio, però. «Apro il link e lo show è solo audio. Non c’è video. È una donna che parla per un’ora a puntata di un cold case americano. È il podcast che cambiato tutto. Rimasi subito catturato dalla storia. In un mondo che iniziava a parlare di soglia d’attenzione diminuita e di contenuti che dovevano essere sempre più brevi per essere fruibili, il podcast stava andando contro corrente, dimostrava che la gente non era così stupida come si diceva e che c’era tempo e spazio per raccontare bene una storia».
Una storia che, ancora, è fatta di dettagli – quelli che sfuggono al primo sguardo, che costano ore e ore di lavoro, di visioni, di riletture – che riescono a trasformare un’inchiesta in una storia capace di rimanere. «Dietro due minuti e mezzo di audio che facciamo sentire in una puntata qualsiasi – spiega Trincia – ci sono in realtà migliaia di ore di ascolti, di telefonate, di materiale. Devi stare lì, davanti allo schermo, e passare mesi della tua vita a fare nient’altro che vedere una linea andare lentamente verso destra. Devi avere voglia di ascoltare tutto, anche quello che sembra inutile. È lì che spesso trovi il tesoro. La differenza la fa sempre chi sa ascoltare tutto, chi sa cercare il dettaglio che gli altri non vedono».
Pablo Trincia
Ma l’autore non nasconde ai ragazzi Unicam in platea, arrivati per fare domande e per consegnare un riconoscimento da parte dell’ateneo (che ha collaborato con Overtime per la realizzazione dell’evento), la fatica necessaria ad arrivare dov’è arrivato Trincia. «Mi sono sentito umiliato, derubato delle idee – spiega -, sottopagato, usato, deriso. Ma non ho mai smesso di crederci, sono andato avanti per la mia strada. Il successo, per me, non è guadagnare soldi o diventare famoso: è potersi svegliare ogni giorno e fare ciò che ami». Ad inizio carriera, sottolinea, «mi sono trovato a sperare che una produzione saltassi per non andare a mettermi in gioco. La produzione ti può mandare nel deserto con una tenda e un budget. Ti fidi, parti. E quando torni, non puoi dire che non hai trovato niente. Devi tornare con una storia. Ma non è facile».
È nella storia di Elisa Claps che Trincia racconta di aver capito fino in fondo il potere del racconto, del suo racconto. «Avevo lavorato per anni a storie di giustizia senza vedere mai una vera giustizia», confessa. «Gente che denunciava, che si esponeva, ma poi tutto finiva nel nulla. Pensavo: a cosa serve? A noi, per tirar fuori un prodotto da dare alle persone che stanno a casa a guardare, ma alle vittime no. Poi, nel 2023, ho raccontato la storia di Elisa. E lì è successo qualcosa». Durante la presentazione, l’autore ricorda l’immagine di una città intera ferma, in silenzio, ad ascoltare il podcast fuori dalla chiesa di Potenza dove il corpo della ragazza è stato trovato. «C’era gente con le casse, ad ascoltare in silenzio, a piangere. Lì ho capito che il racconto, quando è fatto con verità e rispetto, può restituire dignità. Non riporta in vita nessuno, ma può far sì che una comunità si riconosca, che una madre non si senta più sola. E questo vuol dire qualcosa. È questo il potere delle storie».
«Voi che studiate – dice rivolgendosi agli studenti – ricordatevi: non serve ripetere ciò che è già stato detto. Serve trovare uno sguardo diverso. Anche solo cambiare l’angolazione con cui guardate una storia può fare la differenza. Non dovete avere una storia da raccontare, dovete avere uno sguardo per raccontare». Come dimostra Trincia alla fine della serata, una storia interessante si può trovare ovunque: «La storia che più mi ha sorpreso in vita mia è quella dell’aria condizionata» confessa l’autore tra i sorrisi della platea. Ma non c’è niente da ridere: «L’hanno inventata in una tipografia americana ad inizio Novecento per evitare che l’inchiostro si sciogliesse in estate. Poi, visto che tutti gli operai andavano a mangiare nella zona dove c’era l’aria condizionata, si è capito il potenziale di una cosa del genere. Il brevetto è stato esportato agli alberghi, agli uffici, alle case. Così facendo ha cambiato le abitudini del mondo e ha sostanzialmente aiutato a bonificare aree come la Florida, da sempre destinazione per statunitensi anziani in pensione, facendo diventare lo Stato un territorio decisivo ad ogni elezione presidenziale. Tutto per l’aria condizionata».
Chiara Icardi
In linea con il tema di questa edizione di Overtime (“le scelte”), la serata si conclude con una domanda da parte di uno studente Unicam, prima che Trincia saluti tutti e dia appuntamento allo spettacolo teatrale che sta preparando (per un po’ si ritirerà dal mondo dei podcast): «Ho un dubbio per il mio futuro. Meglio scegliere di andare avanti con l’università o provare a coltivare la mia grande passione, la batteria?» «Finché ne hai la possibilità – dice il giornalista – datti uno o due anni di tempo per buttarti e provare a inseguire questo sogno. Si vive una volta sola, meglio farlo senza rimorsi. Se devi fare la fame, pazienza. Finché hai un po’ di noodles da mangiare, o qualsiasi altra cosa, vai avanti, provaci. Male che vada torni indietro». Dettagli.
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