«Io, medico di guardia per anni.
Una grande palestra
ma il problema è la sicurezza»

TOLENTINO - Silvia Castelli, pneumologa, prima di essere assunta all'ospedale di Macerata ha svolto il servizio nell'entroterra. «Ho imparato tantissimo e stretto legami indelebili. Ogni giovane dovrebbe provare questa esperienza, ma bisogna investire nelle risorse»

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Silvia Castelli

di Giulia Sancricca

Di notte, su strade deserte che si snodano tra colline e piccoli borghi, con una borsa piena di esperienza e il cuore colmo di dedizione, i medici di guardia percorrono chilometri e chilometri per portare assistenza ai pazienti che ne hanno bisogno. Non solo cure, ma anche parole di conforto, carezze e umanità. Un lavoro fatto di incontri umani profondi, gratitudine sincera, ma anche grande responsabilità, momenti di paura e di solitudine.

In un periodo in cui la carenza dei medici di guardia si fa sempre più forte, è la testimonianza di chi questo lavoro lo ha svolto per anni ad aprire la finestra su un mondo che spesso si guarda da lontano, con superficialità, senza approfondirne né il valore né le criticità. Criticità che invece rappresentano probabilmente la risposta ai tanti perché sui giovani laureati che non scelgono di iniziare dalle guardie mediche la propria esperienza sul campo.

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Silvia Castelli, 38 anni, dirigente medico a tempo indeterminato nel reparto di Pneumologia a Macerata, prima di arrivare nell’ospedale del capoluogo è stata per anni guardia medica nell’entroterra della provincia.

La passione con cui ha portato avanti il suo incarico e il bagaglio che questa esperienza le ha lasciato è tangibile dall’emozione con cui ne parla, ma anche nelle foto che sul suo profilo Facebook raccontano di legami indelebili. Amicizie vive ancora oggi e ritagli di tempo per tornare a trovare i pazienti a cui si è affezionata.

«Ho iniziato a fare le guardie mediche dopo la laurea, nel 2018 – dice il medico tolentinate -. Nel periodo del Covid ho sospeso per lavorare in ospedale e poi ho ripreso al termine della pandemia fino a quando non sono stata assunta in ospedale a Macerata. La mia esperienza ha riguardato soprattutto i territori montani, ho lavorato molto a Passo Sant’angelo e a Penna San Giovanni».

Territori che ogni giorno lottano per mantenere attivi quei pochi servizi rimasti e la guardia medica è uno di questi: «Il ruolo della guardia medica nei territori montani è sovrapponibile a quello di un medico di medicina generale – dice Castelli – e al tempo stesso, considerata la carenza di medici in quei territori, la guardia medica ne fa le veci in determinate occasioni. C’è di notte, nei giorni festivi, e per territori lontani dall’ospedale, con una popolazione prevalentemente anziana, che fa fatica a spostarsi e ad accedere ai vari istituti di cura, la guardia medica è fondamentale, perché è il primo appoggio che hai vicino casa o se serve anche a domicilio».

Un servizio essenziale quindi, una risposta concreta in una sanità che perde colpi, ma che in molti territori, proprio per la carenza di medici che scelgono di prestarsi a questo tipo di incarico, viene meno.  

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«Credo che oggi il problema maggiore riguardi la sicurezza – evidenzia Castelli -. La guardia medica è un lavoro che espone a dei rischi: si esce la notte in condizioni atmosferiche particolari, in luoghi che non conosci, entri in case che non hai mai frequentato, vai sempre da solo. Il problema della sicurezza è molto importante ed è un aspetto che può frenare nella scelta dell’incarico».

Poi c’è la questione dei tagli: «Parliamo di territori depauperati, ambulatori sprovvisti di molte cose, con pochi farmaci e pochi mezzi anche per fare al meglio il proprio lavoro. Credo che siano aspetti da tenere in considerazione e alcuni di questi incidono moltissimo nella scelta dell’esperienza». Analisi che non riguarda solo le guardie mediche, ma più in generale il sistema sanitario: «La carenza di personale? Credo che i fattori siano tanti – dice la dottoressa -: si lavora molto, tante ore e sotto uno stress davvero importante. Non dimentichiamoci poi che il rapporto con i pazienti sta cambiando: le persone sono arrabbiate verso una sanità che, secondo loro, non le tutela e non garantisce i servizi di base, quindi ci troviamo di fronte a pazienti già diffidenti e arrabbiati. Poi ci sono tanti rischi: le aggressioni in ospedale, nei pronto soccorso, ma anche quelli correlati alla professione, dal punto di vista giuridico, dei contenziosi legali. Sta venendo meno il rapporto medico-paziente a causa dei ritmi che ti impongono di offrire assistenza in poco tempo, con poche risorse e poco personale. Questo è un vero peccato, perché credo che la nostra sanità sia la più bella al mondo».

Ma quando la passione per il proprio lavoro è più forte di ogni difficoltà, a emergere sono sempre le esperienze che fanno di quel mestiere il più bello del mondo. «A Penna San Giovanni e a Passo Sant’Angelo ho stretto bellissimi rapporti con le persone del luogo – confida -. Nei territori dell’entroterra la guardia medica diventa quasi una persona di famiglia. Con il tempo avevo imparato a riconoscere il paziente alzando la cornetta del telefono. Parliamo di territori in cui i rapporti sono ancora molto veri, sentiti, c’è grande rispetto per il medico e questo ti stimola a fare del tuo meglio e a dare tutto il sostegno che puoi».

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Sono tanti i ricordi che affollano la mente e il cuore, soprattutto di coloro con cui la dottoressa si sente ancora oggi e va a trovare in occasione del compleanno o di qualche festività. «Il ricordo più caro è quello di un ospite della casa di riposo di Penna San Giovanni – dice -: la struttura si trova sopra la sede della guardia medica. Ogni sera alle 20 scendeva e passava con me la prima oretta del turno. Mi raccontava gli aneddoti del paese, se dovevo uscire mi indicava la strada e ancora oggi ci sentiamo, ci vediamo per il suo compleanno e per le feste». 

Così, al netto di tutte le difficoltà che questo lavoro può presentare, il messaggio della dottoressa Castelli ai giovani che si avvicinano alla professione è chiaro: «La guardia medica è una scuola fondamentale: non sarei il medico che sono oggi se non avessi fatto questa esperienza – spiega -. Vieni messo per la prima volta di fronte a un paziente, alla necessità di capire cosa ha e di capirlo con i tuoi soli mezzi. Per me è stata una scuola che consiglio a tutti coloro che si approcciano alla professione, perché ti arricchisce dal punto di vista medico, professionale e umano. Ti pone davanti alle prime sfide, in un ambiente che non è sicuro e protetto come quello ospedaliero. È un bagaglio enorme, a prescindere da quella che sarà la strada futura della professione».

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